di Fabrizio Rappini*

Mi voglio occupare di un tema che, purtroppo, in un paese civile quale è il nostro, è troppo diffuso. Purtroppo la violenza sulle donne è in costante aumento. E’ un virus che sembra difficile da abbattere. Ed è proprio su questa presunta immunità che quelli che chiamano maltrattanti contano. In primo luogo ci sono le vittime che hanno paura a denunciare, vuoi per i figli, vuoi per la vergogna. Si, molto spesso, è proprio la vittima ad avere vergogna. Un po’ come capita nella violenza sessuale. Ma, anche quando la vittima prende il coraggio di denunciare il maltrattante che ha usato violenza, la strada per porre fine a tutto non è così agevole. Qualcuno dirà: “Adesso c’è il Codice Rosso che è una corsia preferenziale per le vittime di violenza”. E’ vero, c’è il Codice Rosso col quale i politici si sono riempiti la bocca, ma ha comunque un limite. La polizia, i carabinieri, le forze dell’ordine in genere, su questo terreno lavorano sodo e, spesso, anche bene. Ci sono agenti di polizia e carabinieri che, nonostante i pochi mezzi a disposizione, si fanno in quattro per presentare all’autorità giudiziaria indizi, prove, per poter emettere provvedimenti nei confronti del maltrattante di turno. Ma, purtroppo, troppo spesso è qui che si blocca qualcosa nel meccanismo e quindi poi ci troviamo a piangere una donna massacrata di botte. Se non fosse che l’argomento è talmente serio da non poterci scherzare, mi verrebbe da dire: “Fortunata la donna che viene picchiata e maltrattata da uno straniero”. Mi viene da dire questo, perché la maggioranza delle donne uccise vengono assassinate da italiani. Non credo che gli stranieri siano meno violenti. No, probabilmente, nei loro confronti si agisce prima. Ecco, il punto è proprio questo. In molti casi di denunce di violenze si aspetta di avere, come si dice nei palazzi di giustizia, qualcosa di più in mano. Intanto, però, il maltrattante va avanti nel suo intento persecutorio. Si, persecutorio, perché la violenza sulle donne non è soltanto di tipo fisico. C’è la violenza economica, quella psicologica e quella fine che cerca di isolare la vittima dal suo normale contesto sociale in modo da essere sola ad affrontare una situazione difficile. Sembrerà strano, ma i maltrattanti, sono quasi dei fini psicologi che sanno quali punti toccare per far sentire sempre più indifesa la loro vittima. Un altro aspetto poi è quello che nessuno obbliga i maltrattanti ad affrontare percorsi di cura contro la violenza, contro i maltrattamenti. Perché, nonostante il maltrattante, venga indirizzato a percorsi di cura nessuno interviene se non vi adempie. Un altro aspetto è quello della vigliaccheria del maltrattante. Sa di essere quasi un intoccabile perché se qualche familiare interviene, lui, , non aspetta altro per poter passare da vittima e denunciare intimidazioni o percosse. E allora che fare? Non sono un esperto, sono solo un Giornalista che cerca di analizzare un fenomeno e, probabilmente, in queste mie considerazioni ho detto anche qualche stupidaggine, ma credo che chi sta in alto ad amministrare la giustizia dovrebbe intervenire prima. Rispettare il lavoro delle forze di polizia e non aspettare di trovarsi di fronte a un cadavere con tante lettere e numeri attorno come capita negli interventi della scientifica. Si provi a intervenire prima che sia troppo tardi.

 A questo punto, poniamo di aver portato a processo il maltrattante. E, a questo proposito, invito ad andare in Tribunale ad assistere a un processo per questo reato.

Vedrete il maltrattante di fianco al proprio legale, sempre a testa bassa. Colui che si sentiva forte quando c’era da picchiare, stuprare, offendere, umiliare, diventa improvvisamente un “agnellino”. Un finto agnellino, che non ha il coraggio di alzare la testa e guadare chi gli sta attorno. Si conferma essere, quindi, quel vigliacco che è sempre stato. Non ha il coraggio di guardare nessuno e, se a piede libero, per raggiungere il tribunale rasenta i muri cercando di evitare chiunque. Tira un sospiro di sollievo quando incontra i suoi legali, perché, a quel punto si sente protetto. Non mi voglio dilungare oltre. Invito nuovamente, ad andare ad assistere a uno di questi processi e, dallo spazio riservato al pubblico, osservare attentamente l’imputato. Vedrà che le cose che ho scritto non sono frutto di fantasia, ma di esperienza diretta sia professionale che umana.

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L’AUTORE

Fabrizio Rappini, è un giornalista professionista. Criminologo AICIS qualificato secondo la legge n. 4/2013.

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