Certi delitti non sono perfetti, ma sono le indagini successive che li sigillano per sempre. È il caso (meglio dire il cold case) dell’omicidio Cesaroni a Roma. Il famoso delitto di via Poma. Ora, dopo 33 anni, il caso è stato riaperto. Campa cavallo. La cosa strana è che molte risposte sono nelle carte, peccato che gli spunti investigativi siano rimasti solo lì nei faldoni impolverati. Cosa si legge? Primo la scena del crimine fu ripulita, da chi non si sa? La povera ragazza massacrata da 29 pugnalate stringeva ancora in una mano un ciuffo di peli: ma quali analisi furono fatte per individuarne la provenienza genetica? Nessuna e chi sa se si potranno più recuperare. L’arma del delitto non fu mai trovata: si cercò un tagliacarte ma ora i periti parlano invece di un coltello. Poi ci sono le telefonate anonime che Simonetta aveva ricevuto nei giorni precedenti e ancora quelle intercettate nel corso delle indagini e mai sviluppate fino in fondo. Per chiudere, la commissione antimafia che (stranamente) si è occupata dell’indagine, avrebbe desecretato alcuni documenti che farebbero pensare ad un depistaggio messo in atto da uomini dello Stato. Insomma, un pasticcio davvero brutto, complicato da un altro dettaglio: un’intercettazione del 30 marzo 2008 dimostra che alcune persone sapessero dell’omicidio alcune ore prima della scoperta del cadavere. In quella intercettazione ne avevano parlato tra di loro. Si tratta di tre telefonate effettuate nel tentativo di informare del tragico evento il presidente degli Ostelli della Gioventù nei cui uffici Simonetta venne uccisa. Lo cercavano per notiziarlo dell’evento, insomma, peccato che al momento il cadavere ancora non era stato rinvenuto.

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