#Fabrizio Rappini*

Non voglio addentrarmi sul tema della obbligatorietà della azione penale da parte del pubblico ministero, perché è materia complicata che lascio a chi è certamente più esperto di me e ha i titoli per farlo.

Voglio comunque esporre un episodio, che ritengo sempre attuale per il dibattito, che potrà essere commentato da chi avrà voglia di addentrarsi nella materia.

Nello specifico riguarda un giornalista e un prete. Il primo condannato per diffamazione a mezzo stampa dopo denuncia del prete. Il secondo condannato per pedofilia e prostituzione minorile quattordici anni dopo l’articolo costato la condanna al giornalista. Visto che il giornalista in questione sono io mi permetto di scrivere in prima persona

PREMESSA

Una condanna per diffamazione, per un giornalista, non è mai una cosa piacevole. Se a questo aggiungiamo il dover pagare un risarcimento di 60 milioni (di vecchie lire, naturalmente), la cosa è ancora meno accettabile. Infine, ciliegina sulla torta, se il giornale sul quale è apparsa la notizia fallisce e quinti tutte le spese sono a carico del giornalista, è quasi un dramma. Che dire, allora, di quando, una mattina, a distanza di 14 anni, ti svegli e apprendi che quella persona che ti ha querelato (un sacerdote) è stato arrestato perché implicato in un caso di sfruttamento della prostituzione e pedofilia?

“Ma come è possibile? – ti chiedi – Queste sono le cose che io avevo denunciato quattordici anni fa e per le quali sto pagando i danni”.

Eppure è possibile. Del resto posso capire un giudice che si trova di fronte un “povero” parroco, diffamato da un giornalista cannibile, magari con la voglia dello scoop. Posso capirlo, ma non giustificarlo, anche se sbagliare è umano.

I FATTI

Nel dicembre del 1992, una madre disperata di una parrocchia romagnola, si rivolge al sottoscritto, allora in servizio presso la Gazzetta di Forlì, per chiedere di fare “qualcosa affinché quel prete la smetta di essere violento con i bambini e di fare anche qualcosa di peggiore”. Quel “qualcosa di peggiore”, hanno un nome sinistro: molestie. Raccolte le accuse, molto circostanziate, decido di andare direttamente dal diretto interessato. E’ il tardo pomeriggio di dicembre quando prendo in mano il telefono e chiamo il prete. Gli spiego chi sono e gli dico che ho accuse pesantissime nei suoi confronti. E’ disposto ad incontrarmi e mi dice di andare in parrocchia, dopo le 20, perché prima deve celebrare la messa. Arrivato in parrocchia, mi trovo davanti a una persona dall’apparenza mite, che sembra essere frastornata da quelle pesanti accuse. Mi rilascia una intervista dove, ovviamente, smentisce tutto. Mi conferma, invece, di essere stato condannato a quattro anni per omicidio colposo, per l’incendio, nel 1976 di un albergo a Sappada, gestito da lui, dove morirono sei persone. Assolto poi in appello. Conferma anche di essere stato protagonista di un altro episodio, nel marzo del 1989, a Birmingham dove prese fuoco una missione italiana da lui gestita. Venne condannato al pagamento di 300mila sterline e la missione costretta a chiudere. Dopo la pubblicazione di due articoli, allontanò il prete.

LA QUERELA

Allo scadere del novantesimo giorno dalla pubblicazione degli articoli, il sacerdote, presenta querela. Vengo rinviato a giudizio e poi condannato dal tribunale di Forlì a 800mila lire di multa, ridotte poi a 600 in appello. A quel punto, mi chiede i danni, che il giudice civile quantifica in 60 milioni di lire.

QUATTORDICI ANNI DOPO

Sembra un film, se non fosse l’amara verità. Il prete, con altre due persone, viene arrestato perché accusati di approfittare di minori e favorire la prostituzione di giovani che sono ospitati presso l’associazione da lui fondata per “aiutare” i giovani in stato di difficoltà. Sarà poi condannato a 6 anni e otto mesi.

CONCLUSIONI

Mentre il prete è morto di vecchiaia, io mi sono sempre fatto una domanda alla quale penso sia difficile dare una risposta.

“Ma se il pubblico ministero – mi sono sempre chiesto – avesse avviato una azione penale nei confronti del prete, dopo l’articolo pubblicato dal giornale come sarebbe andata a finire?”.

Probabilmente io non sarei mai stato condannato, ma lo sarebbe stato il prete e, SOPRATTUTTO, avrebbe avuto quattordici anni in meno per abusare di minori.

_____________________________________

L’AUTORE

Fabrizio Rappini, è un giornalista professionista. Criminologo AICIS qualificato secondo la legge n. 4/2013.

______________________________________________________

Dello stesso autore:

https://criminologiaicis.it/casi-di-maltrattamenti-famigliari-e-affidamento-dei-minori-quando-affidi-condivisi-e-potesta-sono-un-problema/

https://criminologiaicis.it/i-servizi-sociali-hanno-troppo-potere-un-caso-in-una-citta-del-nord/

https://criminologiaicis.it/stalking-la-via-delle-misure-di-prevenzione/

https://criminologiaicis.it/violenza-sulle-donne-e-codice-rosso-una-corsia-preferenziale-che-non-sempre-lo-e/

Sullo stesso tema:

https://criminologiaicis.it/stalking-la-via-delle-misure-di-prevenzione-2/

https://criminologiaicis.it/povera-vanessa-povero-assassino-vittima-innocente-folle-delirio-narcisistico-e-inadeguatezza-degli-strumenti-penali/

https://criminologiaicis.it/violenza-in-famiglia-una-passione-per-le-lame-a-como-infilza-la-mogle-e-non-sa-spiegare-il-motivo/

https://criminologiaicis.it/si-va-verso-la-normalizzazione-del-crimine-nella-societa-liquida/

Riproduzione riservata ©

 

AICIS