di Cristian Rovito*
La nascita e il progressivo sviluppo della sensibilità ambientale, certamente necessaria nella fase costruttiva del crimine ambientale, si disvelano in un elemento che è essenziale evidenziare, poiché costituisce il prodromo attorno cui viene strutturata la previsione, la normazione e l’applicazione dello strumento giuridico penalistico. Di fronte a fenomeni che destano un diffuso allarme sociale (come è stato negli anni e lo è diventato oggi!), il richiamo all’utilizzo della sanzione penale è divenuto inevitabile, certamente rassicurante per il legislatore, ovvio per l’opinione pubblica. Si attivano le sirene di quel diritto penale simbolico inteso come tipo di legislazione penale finalizzata più a mettere in evidenza le condotte da avversare che non a tutelare positivamente beni giuridici, che si risolve nella necessità di dare un segnale alla collettività in momenti di particolare tensione sociale, con la conseguenza di demandare alla legge penale la funzione strumentale di “politica generale” piuttosto che di “politica criminale”.
Nella ricerca giuridica, gli iuris prudentes prendono dapprima in considerazione le statuizioni costituzionali da cui ricavare l’esigenza di una tutela. In proposito, occorre rilevare che fino all’entrata in vigore della Legge costituzionale n. 1 del 11 febbraio 2022, nella Costituzione Italiana non vi era un esplicito riferimento all’ambiente. Tant’è che non veniva neanche nominato sebbene vi fosse una “lettura coordinata” del testo costituzionale attraverso gli indirizzi “costituzionalmente orientati” del Giudice delle leggi (Corte costituzionale) e del Giudice di legittimità (Corte di Cassazione). Il nuovo art. 9 Cost. reca una portata più ampia giacché si riferisce all’ambiente, all’ecosistema e alla biodiversità. La ratio della riforma consiste nel considerare l’ambiente non come una res ma come un valore primario costituzionalmente protetto. Una tutela, tra l’altro, rivolta ai posteri, ossia alle generazioni future, per cui una formulazione assolutamente innovativa nel testo costituzionale.
La modifica è in linea con la normativa europea in quanto la Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), all’art. 37 si occupa della tutela dell’ambiente stabilendo che: «Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile». Anche il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) all’art. 191 definisce la politica comunitaria in ambito ambientale individuando gli obiettivi da raggiungere. Inoltre, per la prima volta, viene introdotto in Costituzione il riferimento agli animali e sempre all’interno dell’art. 9, la legge costituzionale n. 1/2022 prevede una riserva di legge, stabilendo che è il legislatore a stabilire le forme e i modi di tutela. Anche in questo caso si tratta di una novità degna di nota che segue l’orientamento della normativa europea; infatti, l’art. 13 del Trattato sul Funzionamento dell’UE precisa che: «[…] l’Unione e gli Stati Membri devono, poiché gli animali sono esseri senzienti, porre attenzione totale alle necessità degli animali, sempre rispettando i provvedimenti amministrativi e legislativi degli Stati Membri relativi in particolare ai riti religiosi, tradizioni culturali ed eredità regionali».
Le innovazioni costituzionali hanno toccato anche l’iniziativa economica privata sancita nell’art. 41 Cost., ora improntato ai limiti della salute e dell’ambiente. La riforma introduce quindi due “principi” rispetto a quelli già esistenti ed entro i quali può essere svolta l’iniziativa economica privata, che pertanto non deve recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Salute e ambiente vengono anteposti agli altri, dando in tal modo attuazione al novellato art. 9 Cost. che menziona la tutela dell’ambiente come valore primario da tutelare. Per ultimo, la destinazione e il coordinamento dell’attività economica pubblica e privata avvengono non solo per fini sociali ma anche per scopi ambientali.
Ai fini penalistici si tende ad orientarsi verso una concezione pluralistica di ambiente perché il concetto deve in realtà essere interpretato non come un unicum, ma come una somma di tutele fra loro diverse rispetto all’oggetto. Vi è una tutela dell’ambiente stricto sensu, ovvero nella direzione di un equilibrio ecologico di acqua, aria e suolo nell’habitat naturale dell’uomo, da proteggere sulla scorta dei citati “principi costituzionali”; una tutela fondata sugli artt. 9 e 32 Cost. («la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…»); poi una tutela fondata sull’art. 41 Cost. dovendosi le attività economiche svolgersi preliminarmente nel rispetto della salute e dell’ambiente.
Fino all’entrata in vigore della Legge n. 68 del 22 maggio 2015, la tutela dell’ambiente era prevalentemente affidata a normative di settore, anche perché il codice penale del 1930 non prevedeva, nella sua versione originaria, norme specifiche a tutela dell’ambiente, la cui scelta per il legislatore non era dettata da finalità di tutela ambientale, quanto piuttosto da finalità di tutela di un patrimonio arboreo e floreale, da proteggere in quanto ritenuto sinonimo di ricchezza del singolo e della nazione. Il legislatore ha operato una più precisa scelta di politica criminale che ha mantenuto per anni, alla quale è rimasto fedele attraverso una legislazione penalistica di tipo complementare, iniziata in concomitanza all’affermarsi del c.d. boom economico e della progressiva e crescente consapevolezza che la produzione industriale e l’affermarsi degli impianti di riscaldamento centralizzati nei grandi centri urbani contribuivano a rendere impura l’aria. Indipendentemente dalle ipotesi criminose, è opportuno sottolineare che a partire da quegli anni, sotto il profilo della tecnica legislativa, è stato inaugurato il modello che ancora oggi è predominante nel settore ambientale. Nel nostro ordinamento si dispone di un modello basato su ipotesi contravvenzionali, di stampo autorizzativo, fondato cioè sul mancato rispetto di quanto contenuto nelle autorizzazioni rilasciate dall’autorità amministrativa, a carattere prettamente ingiunzionale. Peraltro, gran parte della disciplina ambientale, si pensi ad esempio al sistema tabellare degli scarichi, è impostata su un concetto di inquinamento formale piuttosto che sostanziale, strettamente dipendente dal momento storico – politico. Ed infatti si punisce non perché si inquina, ma perché non vengono rispettati i limiti che l’autorità amministrativa ha fissato in relazione ad un particolare tipo di scarico.
La tutela penale dell’ambiente in un senso organico e sistemico è stata sostanzialmente assente dalle preoccupazioni penali fino all’introduzione dei nuovi delitti ambientali con un nuovo titolo “Delitti contro l’ambiente” (Libro II, Titolo VI-bis, artt. 452bis – 452terdecies), all’interno del Codice penale: “inquinamento ambientale” (art. 452bis), “disastro ambientale” (art. 452quater), “traffico ed abbandono di materiale radioattivo” (art. 452sexies), “impedimento di controllo” (art. 452septies), “omessa bonifica” (art. 452terdecies).
L’intervento legislativo del 2015 è un’innovazione attesa da lungo tempo, nel corso del quale la risposta sanzionatoria a fenomeni criminali di massiccio, quando non irreparabile, inquinamento dell’ecosistema è stata affidata all’utilizzo, soventemente discusso e comunque non privo di criticità sia sul piano sostanziale che sotto l’aspetto processuale/probatorio, quindi “operativo”, del cd. disastro “innominato” previsto dall’art. 434 del Codice penale. Proprio in funzione della necessità di uscire dalle difficoltà interpretative ed applicative di una norma indiscutibilmente legata ad altri contesti di “disastro”, più immediatamente percepibili sul piano fenomenico, e allo stesso tempo volendo chiudere il cerchio del catalogo sanzionatorio presidiando penalmente ogni livello di alterazione peggiorativa delle matrici ambientali, il legislatore ha dunque introdotto nel codice penale due nuove figure delittuose (inquinamento ambientale e disastro ambientale), accompagnandole con altre previsioni incriminatrici giudicate necessarie per la tenuta complessiva del sistema e con ulteriori interventi di raccordo con il Codice dell’Ambiente e con la disciplina della responsabilità degli enti. Benché nell’articolato non vi siano espliciti richiami alle fonti comunitarie, la novella si collega a quanto richiesto dalla Direttiva dell’Unione Europea 2008/99/CE del 19 novembre 2008 sulla protezione dell’ambiente mediante il diritto penale (in corso di modifica e approvazione) , il cui Preambolo (art. 5) precisa che «attività che danneggiano l’ambiente, le quali generalmente provocano o possono provocare un deterioramento significativo della qualità dell’aria, compresa la stratosfera, del suolo, dell’acqua, della fauna e della flora, compresa la conservazione delle specie» esigono sanzioni penali dotate di maggiore dissuasività .
La Direttiva indica dunque gli elementi di offensività dei reati di cui chiede l’introduzione nei sistemi nazionali, al fine di garantire uno standard minimo comunitario di tutela penale dell’ambiente. Si tratta però di un’indicazione generale che, in sede di traduzione normativa interna, non sempre ha trovato piena realizzazione sul piano di un livello di specificazione idoneo a soddisfare i principi costituzionali di precisione, tassatività e offensività che presidiano la materia penale. Sotto questa angolazione, la lettura della novella legislativa ha palesato la difficoltà del legislatore nel raggiungere un punto di equilibrio fra istanze apparentemente antagoniste: da una parte, l’esigenza di una definizione quanto più puntuale delle fattispecie, operazione che non pare sempre centrare pienamente l’obiettivo, soprattutto quando vengono introdotti concetti a contenuto “aperto” o connotazioni modali delle condotte la cui portata potrà essere misurata solo nella pratica, quindi in fase di accertamento e di investigazione; dall’altra, la necessità di non imbrigliare l’assetto normativo in una casistica che non può a priori esaurire tutta la possibile gamma delle manifestazioni criminose e che rischierebbe, oltretutto, di vanificare la stessa praticabilità processuale della risposta legislativa.
L’attesa per una nuova direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente e per il suo recepimento nonché l’introduzione dei nuovi principi di tutela dell’ambiente e protezione della salute dei cittadini, sono tutti elementi che il legislatore dovrà tenere in debita considerazione nell’esercizio della sua funzione legislativa penale di innovazione giuridica.
In data 21 marzo 2023, la Commissione per gli affari giuridici (Juri) del Parlamento europeo si è pronunciata sulla proposta di direttiva presentata dalla Commissione UE, destinata a riformare la Direttiva UE 2008/99 sulla tutela penale dell’ambiente. La proposta di direttiva nasce dal bisogno di fronteggiare in maniera più efficace il fenomeno della criminalità ambientale fuori e dentro l’Unione europea, anche in ragione degli scarsi risultati ottenuti, sino ad oggi, dalla Direttiva 2008/99. È emersa, difatti, la necessità di definire in modo più chiaro gli illeciti penali previsti e di includere nuove fattispecie criminose, rivedere e aggiungere nuove forme di sanzioni nonché rafforzare la cooperazione fra Stati membri e oltre confine. Secondo la Commissione Juri, in sintesi, la nuova direttiva per la protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale dovrebbe allargare il campo di applicazione e prevedere sanzioni più afflittive. Difatti, il già corposo elenco dei reati previsti dalla proposta di direttiva presentata dalla Commissione UE – che comprende le discipline in materia di sostanze chimiche, tutela delle acque, gestione dei rifiuti, rischi di incidenti rilevanti ecc. – dovrebbe essere integrato con ulteriori nuove voci riguardanti anche incendi boschivi e pesca. In aggiunta, si ritiene necessario estendere ulteriormente i termini di prescrizione per i reati ambientali, poiché viene considerato difficile, entro un breve periodo di tempo, venire a conoscenza della commissione di tali reati, della loro portata e delle loro conseguenze dannose. In ambito sanzionatorio, la Commissione JURI propone di aumentare le pene pecuniarie per le persone giuridiche, in modo che il limite massimo non sia inferiore al 10% del fatturato medio mondiale dell’ente negli ultimi tre anni.
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* L’AUTORE
Cristian Rovito è un criminologo qualificato AICIS, giurista, consulente ed esperto ambientale, operatore di polizia giudiziaria del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera. Scrive per diverse riviste specializzate di settore, giornali, magazine e blog.
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