E’ legittimo l’utilizzo di “trojan”, cioè dei “virus spia” che, inviato per via telematica si auto-installa in telefoni e computer per intercettarne le comunicazioni, quando si tratta di indagare su fatti di corruzione. Le risultanze dell’intercettazione effettuata con tali mezzi sono perciò utilizzabili sia nei procedimenti penali sia in quelli disciplinari.
Lo ha statuito la Cassazione penale nella sentenza n. 741/2020.
La prima normativa a disciplinare la materia dei trojan è stata il d.les.vo n. 216 del 2017. Per quanto riguarda i reati contro la pubblica amministrazione, compresa la corruzione, la possibilità di utilizzare il ”virus spia”, è stata introdotta dalla legge “spazzacorrotti”, la n. 3 del 2019 che prevedere l’utilizzo dei trojan, se si ipotizzano pene non inferiori nel massimo a 5 anni. Secondo le Sezioni Unite, il decreto del 2017 già prevedeva l’utilizzo dei captatori informatici nelle indagini per reati contro la pubblica amministrazione. Ne limitava però l’utilizzo nel domicilio, in assenza di sospetti sullo svolgimento di attività criminale. La successiva legge “spazzacorrotti” ha cancellato la limitazione sul domicilio, allargando quindi un impiego che, però già era possibile.