APPROFONDIMENTO
di Natalia Coppolino*
Occorre creare una rete collaborativa tra organizzazioni, comunità ed operatori per incrementare la fiducia nelle forze dell’ordine attraverso un canale diretto di comunicazione, coinvolgendo: amministrazione pubblica, servizi sanitari, sociali, assistenziali, istituzioni scolastiche, legislative, giudicanti, aziende, organizzazioni no profit, gruppi di victim support, volontari.
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Partendo dall’assunto che la percezione di insicurezza sia più forte laddove si registri una penuria di relazioni interpersonali, le tecniche di sicurezza urbana contemporanea si concentrano sul fattore umano, sulla capacità dell’individuo di instaurare relazioni di buon vicinato e collaborazione attiva con amministrazioni locali e forze dell’ordine.
Il community policing vuole instaurare una collaborazione attiva tra polizia e comunità per identificare e risolvere le problematiche locali, attraverso: community partnerships, organizational transformation, problem solving.
Occorre creare una rete collaborativa tra organizzazioni, comunità ed operatori per incrementare la fiducia nelle forze dell’ordine attraverso un canale diretto di comunicazione, coinvolgendo: amministrazione pubblica, servizi sanitari, sociali, assistenziali, istituzioni scolastiche, legislative, giudicanti, aziende, organizzazioni no profit, gruppi di victim support, volontari.
Per favorire la presenza delle forze dell’ordine sul territorio occorre decentrare alcune sedi nei quartieri più a rischio, per essere accessibili e fungere da deterrente. Gli operatori delle forze dell’ordine dovrebbero possedere abilità specifiche: identificare condizioni agevolanti/frenanti per atti incivili/criminali; comunicare le problematiche alla comunità anche attraverso sms, email, app, e coinvolgerla nell’elaborare soluzioni condivise; sviluppare pensiero creativo per la risoluzione di problemi contingenti; ascoltare i cittadini; condividere le informazioni con i colleghi.
Questa tecnica è oggi utilizzata in Gran Bretagna e Spagna con programmi specifici come la Policìa De Barrio e la suddivisione degli operatori in squadre tematiche.
Il neighborhood watch si istituzionalizza negli Stati Uniti nel 1972 con l’avvio del National Neighborhood Watch Program, tuttavia, il primo gruppo di controllo di vicinato informale si era sviluppato nel 1964, a seguito dell’assassinio della studentessa Kitty Genovese.
Per creare un gruppo di controllo di vicinato è opportuno: rilevare e mappare le problematiche; studiare i modelli criminali; definire una prima strategia di intervento; organizzare incontri forze dell’ordine-residenti per creare un rapporto di fiducia collaborativa; individuare le strategie migliori.
Per far sì che il gruppo sia efficiente è necessario assegnare ruoli specifici: il coordinatore funge da ponte tra membri della comunità e forze dell’ordine; il responsabile suddivide i volontari su blocchi di 10-20 case; i membri del gruppo si occupano del controllo appiedato.
Questa tecnica è oggi diffusa in Francia con la Participation Citoyenne ed il movimento Voisins Vigilants et Solidaires, in Gran Bretagna con l’organizzazione nazionale del Neigborhood Watch ed in Italia con l’Associazione Controllo di Vicinato.
L’ultima frontiera delle tecniche di sicurezza urbana è rappresentata dalla social street, nata nel 2013 a Bologna in Via Fondazza, per rispondere alla perdita del contatto umano ed alla difficoltà ad instaurare un rapporto cordiale e collaborativo all’interno del quartiere di residenza.
Per valorizzare e far rivivere i luoghi comuni si organizzano eventi ed attività (sulla base di donazioni volontarie), stimolando la nascita di relazioni significative.
Le social street sono diffuse in: Italia, Brasile, Canada, Portogallo, Polonia, Spagna, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Stati Uniti.
Alla luce di queste esperienze se, come sottolineato da Renzo Piano, la città è il riflesso di tante storie risulta necessario, per affrontare le problematiche che la affliggono, creare una rete di collaborazione che abbracci tutti i protagonisti di queste storie.
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L’autrice
* Natalia Coppolino, è Criminologa qualificata AICIS. Laureata presso l’Università di Bologna si è dedicata principalmente allo studio delle politiche di sicurezza urbana. Ha collaborato alla stesura del documento delle buone pratiche di sicurezza urbana per il Comune di Forlì. Ha pubblicato nel secondo numero del 2019 della Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza l’articolo intitolato “Social street case study: Via Giorgio Regnoli a Forlì”
AICIS