(Deborah Bottino) Pochi giorni fa un noto imprenditore del milanese è salito alla ribalta mediatica come soggetto coinvolto in un’aggressione sessuale ai danni di una ragazza di diciotto anni. Secondo la ricostruzione degli investigatori la giovane vittima, durante una festa in un attico di Milano, è stata costretta a subire ripetuti abusi sessuali e coartata ad assumere varie sostanze stupefacenti tra cui cocaina e ketamina. Il presunto colpevole aveva intenzione di cancellare le immagini dello stupro riprese delle telecamere a circuito chiuso e pianificava la fuga. Sulla scia di questa denuncia da parte della 18enne, si è fatta avanti un’altra ragazza che dichiara di aver subito, da parte del sospettato, uno stupro a Ibiza con lo stesso modus operandi.
La vicenda nel dettaglio
Ad A.G., 43 anni, vengono contestati i reati di violenza sessuale, detenzione e cessione di stupefacenti, sequestro di persona e lesioni. Durante l’interrogatorio, il sospettato ha raccontato di essere dipendente dalla cocaina da quattro anni e di non essere più in grado di comprendere il limite tra ciò che è legale e ciò che è illegale (un maldestro tentativo di accedere, in seguito, all’istituto dell’imputabilità? [ns]. Per gli investigatori la sua versione non sembra molto credibile, sono sicuri, grazie a intercettazione telefonica, che A.G. avesse intenzione di fuggire con il suo jet privato in Sudamerica (ove, guarda caso, è una zona con Paesi privi di estradizione verso l’Italia [ns]). Le indagini vengono condotte dalla Squadra Mobile di Milano, avviate dopo il ricovero della ragazza presso il nosocomio milanese a seguito di una violenza sessuale. Violenza consumata lo scorso 10 ottobre in un appartamento al centro di Milano, dove si svolgono delle feste particolari in cui si invitano gli ospiti a lasciare all’ingresso i cellulari affinché non venga ripreso nulla di ciò che accade all’interno dell’appartamento. Secondo gli investigatori la ragazza, priva di sensi, è costretta dall’uomo a subire reiterati abusi sessuali per diverse ore in una stanza cui un bodyguard impedisce l’accesso, anche all’amica che la cerca. Soltanto il giorno successivo la ragazza si riprende dallo stato di incoscienza, ritrovando il cellulare e potendo, così, dare l’allarme. Apparentemente sembra che sia scappata in strada, semi svestita e addirittura senza una scarpa. All’ospedale, la giovane è dolorante, con evidenti segni sul corpo e con 25 giorni di prognosi. Dopo la denuncia e l’ascolto della vittima, gli investigatori prelevano le immagini delle telecamere di sorveglianza che sono sottoposte al vaglio della polizia scientifica (le stesse immagini che l’imprenditore ha cercato di cancellare).(1)
Resta tutto da accertare, tutto da confermare, tutto da ricostruire e forse si potrà accedere in aula, dove la vittima, forse, subirà un secondo processo di vittimizzazione, perché spesso oltre alla possibilità di sviluppare un PTSD, un disturbo da stress post traumatico, e una macchia indelebile nella vita di una donna, di una ragazzina, c’è il rischio che venga ulteriormente vittimizzata sulla base dei soliti luoghi comuni “se l’è cercata”, “perché era lì”, “indossava una gonna”.
La violenza sessuale: prospettiva giuridica
Seconda la disciplina odierna, la violenza sessuale è considerato un reato contro la persona sancito dagli artt. 609 bis e seguenti. “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe qualcuno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona”.
Il legislatore ha previsto due fattispecie precipue:
- La violenza sessuale per costrizione
- La violenza sessuale per induzione
La violenza sessuale prima della 1996
L’originaria disciplina della materia contemplata nel codice penale, inquadrava la violenza sessuale nei delitti previsti nel Libro II, Titolo IX, Capo I denominato “Dei delitti contro la libertà sessuale”, nella macro-categoria dei Delitti contro la moralità e il buon costume”. L’originaria collazione mostra in maniera palese l’intento del legislatore di tutelare il bene giuridico non in capo alla vittima (lesa dalla violenza) ma la moralità e l’etica della società, a dimostrazione dell’impronta dell’ideologia fascista del codice Rocco che dava priorità alla tutela del sistema Stato e alla persona solo in funzione dello stesso e non alla persona in quanto essere umano, centro della comunità. La disciplina distingueva due tipologie di delitti:
Articolo 519 c.p. Della violenza carnale. “Chiunque con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione carnale è punito con la reclusione da tre a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi si congiunge carnalmente con persona che al momento del fatto:
Non ha compiuto gli anni 14
Non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole ne è l’ascendente o il tutore, oppure è un’altra persona alla quale il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, d’istruzione, di vigilanza o di custodia
È malata di mente, ovvero non è in grado di resistergli a cagione delle proprie condizioni d’inferiorità psichica o fisica, anche se questa è indipendente dal fatto del colpevole
È stata tratta in inganno, per essersi il colpevole sostituito ad altra persona”
La congiunzione carnale violenta si presentava come reato a due azioni, la prima delineava la costrizione violenta o intimidatoria, la seconda azione, invece, l’atto materiale della congiunzione carnale.
Articolo 521 c.p. Atti di libidine violenti “Chiunque, usando dei mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due articoli precedenti, commette su taluno atti di libidine diversi dalla congiunzione carnale soggiace alle pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo. Alle stesse pene soggiace chi, usando dei mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due articoli precedenti, costringe o induce taluno a commettere gli atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri.”
Gli atti di libidine violenti si differenziavano dalla violenza carnale nell’elemento materiale del reato e la condotta concerneva tutte quelle azioni, in ambito sessuale violente, che non rientrassero negli estremi della fattispecie della violenza carnale. La condotta era punita con la medesima pena edittale dell’art. 519 c.p., ridotta da un terzo.(2)
Nel 1996 fu emanata una legge (Legge 15 febbraio 1996, n. 66) che modificava l’assetto originario del Codice, editando il bene giuridico tutelato, ossia la libertà della sfera sessuale dell’individuo ed ergo il diritto di autodeterminarsi sul piano sessuale ed eliminando la distinzione fra violenza carnale e atti di libidine. Delineando una fattispecie con riferimento a una condotta più generica, in cui inserire qualsiasi azione violenta sessuale, ponendo ogni atto sullo stesso piano e sanzionando in egual misura, ferma restando la diminuzione della pena per i casi di minori gravità. Condizione necessaria è, dunque, la coartazione di volontà, ossia costringere il soggetto passivo alla violenza. Il reato si configura con l’assenza di consenso al rapporto sessuale, laddove manchi il dissenso viene meno la tipicità del fatto.
Dopo la riforma del 1996 l’assetto assume tutt’altra connotazione in linea all’evoluzione societaria e soprattutto alla tutela di quelle categorie, obiettivo di discriminazioni, come ad esempio le donne, è chiaro che la violenza sessuale non si consuma in via esclusiva su una vittima di sesso femminile ma nel passato le donne sono state oggetto di violenze reiterate, come tutt’ora, ma con la differenza che la violenza era accettata al livello sociale e non demonizzata come oggi. Ergo, la riforma si inserisce in quelle dinamiche che modificano l’ordinamento giuridico sulla base del dato culturale (in maniera lenta, purtroppo, con un sistema di Civil Law che fatica ad adeguarsi ai cambiamenti socio-storico-culturali a differenza di sistemi di Common Law che dispongono di strumenti che consentono di stare al passo con i cambiamenti sociali).
L’investigazione del reato di violenza sessuale
Le violenze sessuali sono reati di difficile perseguibilità, principalmente perché molti processi sono costruiti sulla base di testimonianze e di prove indiziarie. Elemento principale che giova alla fattibilità del processo è la tempestività in cui si denuncia. Più si ritarda questo momento e più le prove scientifiche si deteriorano, rischiando che poi il processo si basi esclusivamente su testimonianze e sia invalidato. Se la vittima denuncia subito dopo aver subito l’aggressione, l’ostetricia legale forense (una sotto-disciplina della medicina legale) può repertare le prove attraverso il cosiddetto kit stupro. Il kit stupro è un kit di indagine sui crimini sessuali volto al repertamento delle tracce del sospetto: è un set di strumenti sterili (in confezione sigillata) che consentono di raccogliere e conservare le prove di un reato sessuale. All’interno della confezione si trovano delle buste di carta per il repertamento di mutandine, abiti, peli; contenitori per la saliva che può essere raccolta sotto le unghie; reperti pubici con uso del pettine; reperti orali; reperti vaginali; reperti rettali; reperti cutanei con l’impiego di bastoncini ovattati; raccolta di sangue della vittima; lo schema di disegno anatomico uomo-donna per documentare le lesioni subite dalla vittima (che possono essere interne o esterne); blu di toluidina che è un agente chimico che consente di eseguire dei test catalitici basati sull’ossidazione chimica che avviene quando a una sostanza cromogena viene aggiunto un agente ossidante, il quale, in presenza di emoglobina (ossia di sangue) funge da catalizzatore e produce una risposta colorata; dei sigilli di sicurezza per la chiusura ed etichette per il materiale organico. Il kit stupro viene poi consegnato alla polizia giudiziaria, analizzato e conservato come fonte di prova per il processo. La vittima deve volontariamente essere disposta a sottoporsi a un kit stupro (salvo che non sia un minore, in questo caso la decisione tocca al tutore legale dello stesso).
Essere sottoposto al kit stupro, è una procedura medica invasiva e può assumere agli occhi della vittima un significato particolare dopo che il corpo è stato già violato dalla presunta aggressione.
Le lesioni riscontrabili
Dopo aver subito uno stupro, la medicina legale può riscontrare alcune particolari lesioni direttamente riconducili all’aggressione subita e quindi sintomi confermativi dell’avvenuta aggressione:
- Lesioni extragenitali
- Lesioni genitali
- Sintomi psicologici
- Malattie a trasmissione sessuali (ad es. sifilide, gonorrea, infezioni da clamidia, tricomoniasi)
- Epatite
- Infezioni da HIV
- Vaginosi batterica
- Gravidanza (4)
È chiaro che il kit stupro deve essere eseguito nella quasi immediatezza del fatto. Se si ritarda in maniera importante, la sua efficienza diventa quasi nulla, perché molte tracce, con il passare del tempo, essendo lesioni e patologie, possono regredire e quindi sparire dal corpo della vittima. Ergo la tempestività è elemento precipuo dell’indagine dei reati di tipo sessuale. Chiaramente si è molto fortunati quando sono rilevate tracce di DNA come sperma, spermicida, saliva, sangue che potranno essere comparate con il DNA dei possibili sospetti.
Importante, oltre, alla prova di tipo scientifico organico, sono le prove di tipo materiale come filmati da telecamere a circuito chiuso, intercettazioni telefoniche e anche testimoni oculari.
L’approccio con la vittima
Le vittime di violenza sessuale sono vittime da trattare con particolare cura. L’approccio non deve essere eccessivamente invasivo, la vittima è già terrorizzata, sottoposta a particolare stress, e l’eccessivo carico di domande volto a ricostruire il ricordo della violenza può causare ulteriori danni psicologici. Le domande vanno calibrate, vanno misurate ed è necessario che l’operatore instauri una sorta di rapporto che avvicina la vittima all’operatore. È chiaro che l’obiettivo dell’operatore è di ottenere maggiori informazioni per completare il verbale ma deve ricordare che davanti si trova un soggetto particolarmente provato nel corpo e nello stato mentale. I ricordi potranno essere confusi, molto spesso costituiti da flashback che causano ulteriori traumi, a volte la memoria potrebbe essere completamente danneggiata temporaneamente a causa dello stress subito.
I reati sessuali presentano molte difficoltà, a volte la violenza non è mai avvenuta ma vi è stato un rapporto consensuale, anche violento, e il kit stupro potrebbe rilevare delle tracce utilizzabili come prova, ma il nocciolo dell’indagine è volto ad accertare l’assenza del consenso e una gogna (anche volta mediatica) di un soggetto che viene indicato come sospetto offender di stupro può essere condannato a portarsi uno stigma perenne, anche risultando, poi, innocente da certe accuse. Dunque è un paesaggio molto complesso, ove a volte anche la migliore preparazione degli operatori di polizia giudiziaria, di avvocati e di giudici non basta a districarsi in ogni singolo caso.
Deborah Maddalena Bottino, Criminologa AICIS]
NOTE:
- https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/08/ragazza-drogata-stuprata-e-segregata-fermato-lex-ceo-di-facile-it-alberto-genovese-voleva-scappare-in-sudamerica-col-suo-jet-privato/5996017/
- https://www.diritto.it/il-reato-di-stupro/#:~:text=Il%20reato%20di%20stupro&text=La%20violenza%20sessuale%20%C3%A8%20un,e%20seguenti%20del%20codice%20penale.&text=Articolo%20519%20c.p.%20Della%20violenza,da%20tre%20a%20dieci%20anni%E2%80%9D.
- https://www.ostetricalegaleforense.it/kit-stupro-e-raccolta-prove/
- https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/ginecologia-e-ostetricia/violenza-domestica-e-stupro/esame-medico-della-vittima-di-violenza-carnale
AICIS