#Redazione
Che dire, aveva ragione Ennio Flaiano: “vivere è diventato un esercizio burocratico”, ironizzava lo scrittore, ma poi il tempo gli ha dato assolutamente ragione. Volete un esempio? Leggete il Decreto del Ministero dell’Interno datato 28 aprile 2022, fresco di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il 27 luglio 2022.
Certo, il titolo lasciava ben sperare, ma è il contenuto, subito dopo, a smorzare ogni entusiasmo: è pieno di adempimenti, competenze, passaggi burocratici, procedure che tutto fanno meno che giocare a favore di quella efficienza che i cittadini si aspetterebbero nel richiedere più sicurezza e decoro urbano.
Il titolo – “Criteri generali per il rafforzamento della cooperazione, informativa e operativa, e l’accesso alle banche dati tra le Forze di polizia e i Corpi e servizi di polizia municipale” – aveva fatto gioire soprattutto la polizia locale, preludendo alla condivisione di informazioni oramai essenziali per un controllo del territorio in sicurezza. Ma l’esultanza si è presto affievolita una volta scoperto che “la montagna aveva partorito il topolino”.Facile criticare, è vero, ma noi lo facciamo argomentando tecnicamente, sempre nella speranza che la nostra vocina possa essere ascoltata costruttivamente.Andiamo con ordine.
Il perimetro del Decreto:
Il decreto non estende le proprie determinazioni all’intero campo della sicurezza, ma ad una (pretesa) più efficace attuazione delle previsioni di cui agli articoli 9 e 10 del decreto-legge n. 14 del 2017.Di che cosa stiamo parlando? Di un nuovo strumento – introdotto appunto nel 2017 – deputato a migliorare la capacità di vigilanza in determinate aree delle città. Non su tutto il territorio comunale, ma sulle aree interne delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze (in sintesi: stazioni FF.SS o autostazioni, porti, aeroporti). A queste possono essere aggiunte, per iniziativa dei Comuni e attraverso i regolamenti di polizia urbana, altre aree su cui insistono presidi sanitari, scuole, plessi scolastici e siti universitari, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura o comunque interessati da consistenti flussi turistici, aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli, ovvero adibite a verde pubblico. E’ su queste parti delle città che gli agenti possono esercitare il potere di allontanamento di chi disturba.
Come avviene la speciale tutela e vigilanza?
Chiunque ponga in essere condotte che impediscono l’accessibilità e la fruizione delle predette infrastrutture e zone indicate nei regolamenti, in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 100 a euro 300. Contestualmente all’accertamento della condotta illecita, al trasgressore viene ordinato l’allontanamento dal luogo in cui è stato commesso il fatto. Quindi multa e invito coattivo ad alzarsi ed andarsene. Vista così la previsione parrebbe essere proprio quella che gli operatori di polizia attendevano per evitare di risultare inefficienti (non per colpa loro ma per mancanza di strumenti) agli occhi dei cittadini che segnalano il degrado.
La trappola burocratica:
In teoria tutto fila liscio, ma facciamo l’ipotesi di un cittadino che segnala la presenza di persone che, nelle zone indicate, occupano in modo indecoroso gli spazi. Chiama la polizia – di regola quella locale – che intervenendo fa due cose: ammesso che riesca a identificarlo, eleva un verbale di 100€. (pagamento in misura ridotta secondo la legge 689/1981) al soggetto indesiderato, poi gli ingiunge sempre col verbale, di allontanarsi. A questo punto il soggetto non paga, poiché generalmente incapiente e nemmeno se ne va. Cosa gli succede? Che constatata l’inadempienza la polizia ha l’obbligo di contestargli un altro verbale per una somma doppia (che lui non pagherà di nuovo) ingiungendogli per la seconda volta di alzarsi e andarsene (cosa che lui non farà). Cosa penserà il cittadino che ha segnalato la situazione degradata? Ovvio: che la polizia non risolve un bel niente, salvo compilare inutili scartoffie. E’ vero: quei verbali andranno in questura; il questore valuterà se emettere in capo al soggetto sanzionato un divieto di stazionare in quell’area (valutazione che però richiede la ricorrenza di due presupposti: la reiterazione della condotta e il pericolo per la sicurezza. E attenzione che “pericolo” è una parola forte ed il provvedimento va motivato); dopo giorni e giorni potrà emettere il decreto che però dovrà essere notificato al destinatario: vallo a ritrovare. A questo punto, se quello è ancora lì sarà passibile di denuncia in stato di libertà e rischia una pena da sei mesi ad un anno. In stato di libertà, abbiamo detto, quindi nulla toglie che continui a tenere lì il suo giaciglio in attesa delle lungaggini del processo.Insomma, tanta carta e pochi risultati per un provvedimento che in altri ordinamenti è ad nutum (in Gran Bretagna si chiama arresto amministrativo).
Il d.l. n. 14/2017 prevedeva anche che ai fini dell’applicazione della disciplina brevemente illustrata, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore, il Ministro dell’interno dovesse determinare i criteri generali volti a favorire il rafforzamento della cooperazione, informativa ed operativa, e l’accesso alle banche dati, tra le Forze di polizia e i Corpi e servizi di polizia municipale. Con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, fossero definiti i livelli di accesso alle banche dati. Da marzo 2017 (data dell’entrata in vigore del decreto Minniti convertito in legge) al 28 aprile 2022 (data del decreto) di giorni non ne sono passati 90 ma 1825 circa.
Nuovo decreto e trionfo della burocrazia. Cominciamo dalla «mappa»:
Cari sindaci, passate per la Prefettura e, se volete condividere stipulate un “patto”. Sì, perché è in quell’accordo che secondo il nuovo DM, potete predisposizione e condidere la «mappa» dei luoghi e delle aree nei quali sono vigenti, nel vostro territorio comunale, i divieti di stazionamento o di occupazione di spazi di cui all’art. 9 del d.l. n. 14 del 2017.
Un momento! Ma di che mappa stiamo parlando, dato che è il Comune ad averla disegnata attraverso il proprio regolamento di polizia urbana!?
Non basta: col patto si può prevedere l’aggiornamento da parte del comune della «mappa» elaborata, anche sulla base del parere reso in apposite sedute del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, finalizzato ad individuare pure le ulteriori aree e luoghi dove sono più frequenti i comportamenti in danno del decoro urbano o che ne impediscono l’accessibilità e la fruibilità. E secondo voi il sindaco ha bisogno di interpellare la prefettura per sapere quali sono i punti critici della sua città? Il fatto è che il d.l. 14/2017 non prevede affatto un meccanismo del genere, ma anzi assegna una competenza esclusiva al Comune. Basta leggere il terzo comma dell’art. 9 che sancisce “… i regolamenti di polizia urbana possono individuare le aree su cui insistono i divieti …” ponendo come unico limite la necessaria corrispondenza ad alcune tipologie (scuole, parchi, aree museali ecc.). La legge, a questo proposito, non parla né di patti, né di prefettura, né di comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. Fa al contrario una perfetta applicazione del principio di sussidiarietà, di differenziazione e di adeguatezza, secondo il dettato dell’art. 118 della costituzione. A riprova del fatto che si tratti di una scelta esclusiva della città, ricordiamo che il legislatore non ne ha assegnata la competenza al sindaco (organo monocratico) ma ad un regolamento, il quale è deliberato dal consiglio comunale, ovvero dell’intera rappresentanza civica (in un confronto democratico tra maggioranza ed opposizione).
Tutto il resto è statistica:
Il patto per la sicurezza può prevedere poi: 1) L’elaborazione, a cadenze periodiche di rilevazioni statistiche in forma anonima concernenti il numero di ordini di allontanamento disposti dagli uffici e Comandi delle Forze di polizia e dal Corpo o servizio di polizia municipale. La statistica può essere riferita sia al numero complessivo degli ordini adottati sia a quello degli ordini adottati nei luoghi dove sono più frequenti i comportamenti in danno del decoro urbano o che ne impediscono l’accessibilità e la fruibilità. Francamente un distinguo poco comprensibile: è ovvio che i numeri più alti dovrebbero riguardare le aree di maggior degrado.·2) La possibilità di utilizzare, per la realizzazione delle rilevazioni statistiche i sistemi di georeferenziazione. Un “crime mapping” un po’ limitato trattandosi di georeferenziare solo gli ordini di allontanamento e non l’incidenza di tutti i reati sul territorio (statistica che le prefetture dovrebbero detenere e condividere).· 3) L’elaborazione, a cura del questore, secondo le cadenze periodiche stabilite con i predetti patti, di rilevazioni statistiche in forma anonima del numero dei divieti di accesso adottati. Ma, un momento: trattandosi di provvedimenti penalmente sanzionati e soggetti a preventiva notifica al destinatario, le forze di polizia, non dovrebbero conoscerli nominativamente!? E la polizia locale che in ossequio al regolamento comunale svolgerà una vigilanza più serrata nelle aree critiche individuate dal Consiglio Comunale (e quindi si presume elevi più provvedimenti di allontanamento), dopo aver spedito il verbale al questore, non dovrebbe poter sapere se tale verbale abbia originato un “daspo urbano”!? Anche per l’elaborazione statistica si punta a burocratizzare il sistema, per fornire numeri georeferenziati che, essendo in forma anonima, dovrebbero essere portati a conoscenza dell’intera collettività, secondo i principi dell’accountability che anche l’amministrazione pubblica dovrebbe aver imparato.
Ancora meno comprensibile è la disposizione secondo cui: “Le elaborazioni statistiche, anche in forma georeferenziata … sono utilizzate, oltreché ai fini della pianificazione delle attività operative finalizzate alla salvaguardia del decoro, anche per l’individuazione da parte dei comuni di ulteriori aree da sottoporre a particolare tutela ….”. Ora, a parte constatare che in contraddizione con le procedure descritte prima, qui viene ribadita la competenza del Comune nell’individuazione delle aree c’è qualcosa che non torna: la statistica riguarda i provvedimenti di allontanamento; tali provvedimenti possono essere elevati solo nelle aree indicate nel regolamento comunale o nelle strutture di pubblico trasporto. In che modo il numero di provvedimenti elevati in aree circoscritte dovrebbe servire a capire quali altre aree poter sottoporre al medesimo regime? A parte la pianificazione delle attività operative (in quelle specifiche aree), la statistica può al massimo fungere come indicatore di risultato sull’efficienza dei servizi.
Rafforzare i servizi, ma solo quelli di polizia locale:
L’art. 3 del DM si occupa del rafforzamento della cooperazione di natura operativa finalizzata all’attuazione di un’efficace prevenzione delle manifestazioni di degrado. Come? Il termine cooperazione evoca un’azione comune di più soggetti. Secondo la norma invece si tratta di un’azione a senso unico. Infatti, il prefetto e il sindaco, sulla base delle rilevazioni statistiche, anche in forma georeferenziata, possono concordare, nell’ambito dei patti per la sicurezza urbana, mirate iniziative di controllo da eseguirsi a cura della polizia locale, finalizzate ad accertare, in particolare nelle aree e nei luoghi interessati da consistenti afflussi di persone o turistici, le eventuali condotte che ne impediscono l’accessibilità e la fruizione. Ma la polizia municipale secondo la legge 65/1986 è tenuta a seguire le linee di indirizzo formulate dal sindaco ed è il sindaco con la sua maggioranza consiliare a determinare – con regolamento – le aree critiche. Va da se che tali aree costituiscano gli obiettivi prioritari dei servizi di vigilanza della polizia locale. Quindi, di quale coordinamento stiamo parlando? La polizia locale si coordina da sola e semmai un’azione comune può riguardare il coinvolgimento di altre forze. E qui a un senso il secondo comma dell’art. 3 che prevede la possibilità servizi di controllo straordinario del territorio, definiti sentito il parere del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. Domanda? E per fare questo ci voleva il patto tra comune e prefettura? Oppure è compito del prefetto, quando ci sia la necessità di controllo “straordinario” del territorio darvi impulso senza meno.
L’accesso della polizia locale al CED:
Se il questore comunicasse alle forze di polizia i provvedimenti di “daspo urbano” gli agenti di polizia municipale ne avrebbero cognizione diretta, senza necessità di un accesso così limitato al “cervellone” del Ministero.
Invece l’art. 4 del DM prevede una facoltà d’accesso davvero poco significativa se non peggio.
Ai fini della più efficace attuazione degli artt. 9 e 10 del d.l. n. 14 del 2017 (cioè del daspo urbano), il personale dei Corpi e servizi di polizia municipale, munito della qualifica di agente di pubblica sicurezza, quando procede al controllo e all’identificazione delle persone, può verificare l’eventuale esistenza di ordini di allontanamento e di divieti di accesso nei confronti delle persone controllate, accedendo, in deroga a quanto previsto dall’art. 9 della legge 1° aprile 1981, n. 121.
Subito? No, perché le modalità devono essere stabilite con un altro decreto. Sulla base dell’esperienza, se ci vogliono altri 1825 giorni campa cavallo.
Ma il problema non è tanto il tempo, quanto la limitazione alla lettura da parte degli agenti dei soli provvedimenti di allontanamento. E se la persona controllata fosse un latitante, il destinatario di un ordine di carcerazione o più semplicemente il destinatario di un provvedimento di ritiro della patente? Gli agenti di polizia locale – non accedendo all’informazione – non potrebbero far altro che salutarlo alla visiera, sempre che la persona controllata non reagisca con violenza per guadagnare la fuga. E’ logico? E’ efficace? La risposta datela voi.
Riproduzione riservata ©
AICIS