di Gaetano Settembrino*

Parlare di rischio idrogeologico significa rapportare il comportamento dell’uomo ai danni dell’ambiente.

L’Abusivismo edilizio, la cementificazione, lo scavo senza criterio di cave, le estrazioni di idrocarburi e di acque dal sottosuolo, le tecniche di coltura non eco-sostenibili, l’abbandono dei terreni d’altura e la deforestazione sono le principali cause del dissesto idrogeologico al quale oggi l’uomo sta assistendo. È chiaro che se non viene stabilito un criterio di riqualificazione, i risultati da qui ad una ventina d’anni saranno irreparabili.

Sebbene già negli anni 50 del secondo scorso si parlasse di riscaldamento globale e alla fine degli anni ‘80 sia stato registrato un cambiamento climatico – caratterizzato dall’innalzamento delle temperature e da fenomeni atmosferici quali lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento del livello degli oceani, nonché eventi come alluvioni, siccità, ondate di freddo e cicloni – l’uomo non è ancora riuscito a ridurre i rischi. Piuttosto, non soltanto sta pagando per gli errori commessi con vittime e conseguenze di danni all’ambiente, bensì, dopo tutti questi anni, si parla ancora di prevenzione, una politica che sta portando il pianeta ad un lento inaridimento.

In un comunicato stampa del giugno 2023, l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha riferito che la disponibilità d’acqua in Sicilia, Sardegna e nel fiume Po ha raggiunto il minimo storico. L’anno precedente, la siccità ha colpito il 20% del territorio nazionale in siccità estrema e circa il 40% in siccità severa: facendo riferimento all’ultimo trentennio, si è registrato -80,7% per la Sicilia, -73% la Sardegna -66% il distretto idrografico del Po.

Inoltre, l’ISPRA, ha riferito che le emissioni di gas serra a livello nazionale sono aumentate dell’8,5% rispetto al 2020.

Ma vediamo quali sono le cause dell’aumento delle emissioni:

  • La combustione di carbone, petrolio e gas che producono anidride carbonica e ossido di azoto. – L’utilizzo dell’energia è responsabile del 77% delle emissioni di gas effetto serra, un terzo del quale è attribuibile ai trasporti;
  • Lo sviluppo dell’allevamento del bestiame. – L’emissione di energia è pari al 10,55%;
  • I processi industriali. – L’utilizzo dei prodotti fa registrare un’emissione del 9,10%, come per la gestione dei rifiuti si parla del 3,32%;
  • La deforestazione.  – Dovuta anche ai continui e vasti incendi spesso di natura dolosa.

Gli alberi aiutano a regolare il clima assorbendo biossido di carbonio CO2 dall’atmosfera; abbattendoli o bruciandoli, viene a mancare la CO2 immagazzinata negli alberi, che risulta invece essere rilasciata nell’atmosfera; in tal modo alimenta l’effetto serra, aggravato in caso di incendio perché le fiamme, bruciando per settimane, producono quantità notevoli di CO2 favorendo le alluvioni.

Gli alberi bruciati diventano cenere, e questo strato che si forma rende il suolo temporaneamente idrorepellente, quindi con il passaggio di forti piogge questa situazione, assieme ad una maggior precarietà di ancoraggio del sistema pianta-suolo-roccia può provocare l’innesco di importanti fenomeni di erosione, così le piogge smuovono il terreno e questo nel caso di zone in pendenza fa aumentare il rischio frane e smottamenti.

Ecco che si parla di dissesto idrogeologico, durante il quale il terreno, portato via dalle acque, va ad aumentare rapidamente la portata di torrenti e fiumi e in caso di piogge abbondanti e prolungate scende rapidamente; inoltre, la presenza di vegetazione nell’alveo dei fiumi provoca l’innalzamento del livello dell’acqua e causa il rallentamento della corrente e quando arriva in una zona pianeggiante si riduce la sua velocità e aumenta il tempo di residenza dell’acqua, il fiume esonda dal proprio alveo, favorendo e provocando disastrose inondazioni.

In breve tempo, lambisce e devasta le abitazioni distruggendo campi coltivati che non riescono ad assorbire l’enorme quantità di acqua, a maggior ragione se il terreno è arido.

Un recente rapporto del Ministero dell’Ambiente rivela che sono a elevato rischio idrogeologico il 94% dei Comuni italiani e oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad alta pericolosità. Secondo la classificazione Ispra , le regioni più colpite sono Campania, Calabria, Piemonte, Sicilia e Liguria.

Ma cosa è stato fatto per ridurre questo fenomeno?

Nel 2020, sono stati richiesti oltre 26 miliardi di euro per la messa in sicurezza del territorio, ma negli ultimi 20 anni solo7 miliardi sono stati stanziati, per un totale di 6 mila progetti.

Certamente, per poter intervenire e difendere l’ambiente dagli eventi naturali, nonché ottenere informazioni utili all’individuazione delle risorse idriche ed energetiche e di quelle minerarie, occorre conoscere l’ambiente e i pericoli di cui è a rischio. Ecco che risulta necessario realizzare una mappatura o carta geologica, che permetterebbe una idonea pianificazione urbanistica, cioè, permetterebbe di evidenziare le aree di qualità naturale e quelle a rischio di disagio. Naturalmente, per fare ciò occorrono dei finanziamenti e qui entrano in gioco le banche, che per i loro guadagni esosi (interessi bancari) spesso si perdono i finanziamenti, portando il pianeta sull’orlo del precipizio.

Ma quali possono essere le soluzioni per ridurre il dissesto idrogeologico?

In primis, bisognerebbe limitare l’effetto serra utilizzando veicoli a basso consumo di combustione. In secondo luogo, sarebbe utile sfruttare l’energia solare; in terzo luogo, la riforestazione delle aree boschive negli anni deforestate apporterebbe senza dubbio il suo contributo; in quarto luogo, la pulizia e la manutenzione dei corsi d’acqua, nonché il recupero e la stabilizzazione dei terreni d’altura. Questi sono solo alcuni dei principi da adottare.

Se non si fa nulla per arginare il surriscaldamento globale, si rischia che le temperature continuano ad alzarsi, i ghiacciai continuano a sciogliersi ed i mari continuano ad ingrossarsi.

Tutto questo non ha senso. Non ha senso che l’uomo ripari i sui suoi stessi errori.

Un’ allerta meteo richiede l’obbligo dell’attivazione della Protezione Civile, e quindi implica che si intervenga per eventi di varia natura, che siano naturali o di carattere tecnologico, implica che si intervenga per rischio idrogeologico, vulcanico, sismico, ambientale, idraulico o costiero. Insomma, prima si distrugge e dopo si cercano i rimedi. Allo stesso modo, non si riesce a fare prevenzione perché non si hanno le somme sufficienti e dopo si cercano le somme per intervenire a seguito dell’evento.

Tuttavia, va ricordato che Il D.P.R. n. 380/2001 stabilisce che i comuni devono individuare le zone a rischio idrogeologico e inserirle nel proprio strumento urbanistico generale, ovvero il Piano Regolatore Generale (PRG). Queste zone vengono definite “aree soggette a vincolo idrogeologico” e sono suddivise in tre categorie: A, B e C

• Le aree di categoria A sono quelle ad elevato rischio idrogeologico, in cui sono presenti frane, alluvioni, dissesti idrogeologici o altre forme di instabilità del terreno. In queste zone è vietato realizzare qualsiasi tipo di nuova costruzione o ampliamento delle esistenti.

• Le aree di categoria B sono quelle a medio rischio idrogeologico. In queste zone è consentita la realizzazione di nuove costruzioni, ma devono essere rispettate specifiche prescrizioni tecniche e criteri di progettazione per garantire la sicurezza delle opere.

• Le aree di categoria C sono quelle a basso rischio idrogeologico. In queste zone non sono richieste particolari prescrizioni, ma è comunque necessario rispettare le norme generali di edificazione.

Il vincolo idrogeologico è un concetto che riguarda la gestione delle risorse idriche e dei territori soggetti a fenomeni naturali soprattutto in aree geologicamente fragili che, per effetto di particolari utilizzazioni e trasformazioni, possono perdere stabilità provocando frane e, a causa di alluvioni e dissesti idrogeologici, possono subire inondazioni.

Le restrizioni o le limitazioni imposte su determinate aree in base alle loro caratteristiche idrogeologiche, sono progettate per proteggere l’ambiente naturale e la sicurezza delle persone, UNICO scopo del Vincolo.

Il vincolo idrogeologico può comportare diverse conseguenze, tra cui:

1. Limitazioni alla pianificazione urbana: le zone soggette a vincolo possono essere escluse o vincolate per attività di sviluppo urbano, come la costruzione di edifici, strade o infrastrutture -questo per evitare la compromissione delle caratteristiche del suolo e del sottosuolo che potrebbero portare a problemi di stabilità.

2. Divieto di costruzione: in alcune aree soggette a vincolo idrogeologico, potrebbe essere vietata completamente la costruzione di nuovi edifici o infrastrutture.

3. Adozione di misure di mitigazione: nelle zone soggette a vincolo potrebbero essere richieste misure di mitigazione per ridurre il rischio; misure che possono includere la realizzazione di opere di stabilizzazione del terreno, la messa in opera di sistemi di drenaggio o la creazione di zone cuscinetto.

4. Monitoraggio e valutazione: le aree interessate richiedono un monitoraggio costante delle condizioni idrogeologiche al fine di rilevare eventuali cambiamenti o segni di instabilità; questo può comportare l’installazione di strumenti di monitoraggio come piezometri, inclinometri o stazioni meteorologiche.

5. Responsabilità nella gestione del territorio: ciò implica, da parte delle autorità competenti, la pianificazione accurata, l’adozione di misure preventive, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

Ma cosa fa l’uomo per salvare l’Ambiente?

Scopriamo che l’uomo studia come fare l’Inseminazione delle nuvole. Questa tecnica viene utilizzata per incrementare la quantità di pioggia che mira a cambiare il tipo di precipitazione attraverso la dispersione nelle nubi di sostanze chimiche che fungano da nuclei di condensazione per favorire le precipitazioni.

Con questo intervento forzato è difficile capire quanta pioggia sarebbe caduta se la nube non fosse stata “inseminata”. Questa tecnica può essere impiegata sia per aumentare la piovosità in zone aride sia per prevenire la formazione di grandine in fronti temporaleschi.

Le sostanze possono essere disperse da aerei, rilasciate da dispositivi a terra, o veicolate tramite uso di razzi o cannoni antiaerei. In base alla tecnica impiegata, queste possono essere iniettate direttamente nelle nuvole, lasciate cadere al di sopra di esse oppure disperse al di sotto delle nuvole affinché siano trasportate al loro interno dalle correnti ascensionali.

Ma se tutto ciò è possibile, allora è facile parlare di Ipotesi di guerra ambientale per il controllo del clima del pianeta.

Alcuni documenti riportano che tutti gli Stati dagli inizi degli anni 60 ad oggi, hanno messo in atto tali esperimenti.

La Cina, ad esempio, usò l’inseminazione delle nuvole a Pechino prima dei giochi olimpici del 2008 al fine di liberare l’aria dall’inquinamento e di evitare la pioggia durante le cerimonie di consegna delle medaglie;

Il Marocco ha iniziato un programma di semina Nube nel 1985;

Gli Stati Uniti la utilizzano per incrementare le precipitazioni in zone siccitose e per ridurre sia la dimensione dei chicchi di grandine che si formano nei temporali, sia la nebbia negli aeroporti. Questo sistema è occasionalmente usato dalle principali stazioni sciistiche per indurre nevicate. Inoltre, l’Australia (Commissione per l’energia idroelettrica) adotta regolarmente la tecnica per inseminare varie zone dello Stato;

La Francia allo scopo di prevenire la formazione di precipitazioni di grandine; anche la Spagna ha il principale obiettivo di contrastare la formazione di grandine al fine di tutelare i raccolti (un primo esperimento, infatti, fu iniziato nel 1969). Certamente, non è da meno l’Italia che, per far fronte ad un periodo di elevata siccità nella regione della Puglia, adottò la tecnica di inseminazione basandosi sulla dispersione di ioduro d’argento da aeromobile alla base delle nuvole ad una altezza approssimativa di 800 m; il progetto fu denominato Progetto Pioggia.

E ancora, la Grecia negli anni 1984-1988 con le irrorazioni, avvenute tramite l’impiego di 3-4 aeromobili, ha coperto aree variabili nel tempo, raggiungendo un’estensione superiore ai 5000Km²; anche in Israele questi esperimenti furono considerati molto promettenti sebbene l’efficacia sia stata in seguito oggetto di dibattito sia da un punto di vista della significatività statistica sia in relazione ai possibili effetti di polveri provenienti dalle sabbie del deserto.

In India e nel sud/est asiatico è stata usata per combattere l’inquinamento prodotto dal fenomeno denominato “Haze” (l’aria resa irrespirabile dai fumi provenienti dalla

deforestazione indonesiana che ciclicamente per fertilizzare il terreno brucia le piantagioni troppo vecchie per impiantarne di nuove. Infine, in Russia nel vertice del G8 tenutosi nel luglio 2006, il presidente Putin commentò che jet militari erano stati dispiegati per inseminare le nuvole così da far piovere sopra la Finlandia, ma va ricordato che il 6 dicembre 1917, e in seguito alla rivoluzione bolscevica, la Finlandia riuscì a dichiarare la propria indipendenza dalla Russia sovietica.

Dietro tutti questi interventi, pare che alcuni scienziati abbiano dichiarato che “entro il 2025 gli USA avrebbero dominato il tempo atmosferico”. Ma per evitare quest’arma di distruzione di massa, (nella “produzione di nuvole”, creando deliberatamente forti piogge per danneggiare i raccolti dei nemici e distruggere le vie di approvvigionamento), è stato firmato un trattato delle Nazioni Unite con il quale sono stati vietati gli esperimenti di “guerra ambientale”. Nonostante ciò, alcuni esperti sono convinti che clandestinamente si stia continuando a lavorare e che le disposizioni delle Nazioni Unite siano state violate”.

Ma non è solo il tempo atmosferico ad aver attirato l’attenzione degli scienziati; infatti, pare che essi stiano studiando il modo attraverso il quale scatenare i terremoti. Producendo delle piccole scosse sarebbe possibile allentare la pressione di un fenomeno di questo tipo allontanandone la minaccia.

Gli scienziati militari, infatti, credono che sia possibile irradiare energia in zone particolarmente vulnerabili facendo spostare la superficie terrestre in modo da creare una

forte scossa. La stessa tecnologia potrebbe essere applicata alle faglie tra gli oceani in modo da produrre degli tsunami devastanti.

Secondo i sostenitori della teoria del complotto, alla base dei cambiamenti climatici e delle scosse sismiche di una certa intensità rilevate in questi ultimi anni, ci sarebbe la tecnologia HAARP, cioè un progetto di ricerca finanziato da diverse organizzazioni militari statunitensi utilizzata per scopi diversi da quelli ufficiali.

Questa tecnologia è il progetto attivo embrionale di ricerca ad alta frequenza del governo degli Stati Uniti d’America che da decenni è oggetto di discussione in tutto il pianeta.

Alcuni studiosi avrebbero infatti individuato in queste ricerche un’arma elettromagnetica ad alta frequenza fino a 350 Km di distanza in grado di creare terremoti artificiali e controllare i fenomeni climatici.

Secondo le indagini pubblicate da questi ricercatori, tali tecnologie possono, anche a distanza di migliaia di chilometri danneggiare la salute e il comportamento umano, le rotte migratorie degli animali, modificare in maniera mirata le condizioni climatiche di qualsiasi regione del globo, eseguire una penetrazione topografica terrestre provocando terremoti e maremoti di ogni intensità.

Alla luce di tutto ciò, la vera domanda è: se anche tutti i cittadini, nel loro piccolo, adottassero le piccole buone abitudini per fare del bene all’ambiente in cui vivono, si riuscirebbe a sopperire ai danni arrecati all’ambiente dai potenti?

 L’AUTORE

Dott. Gaetano Settembrino, Ispettore Capo della Polizia Locale di Catania

Riproduzione riservata ©