(AICIS CRIMINOLOGI)
Se non si trattasse di una vicenda tragica cioè della morte di una innocente ragazzina di Avetrana, Sara Scazzi, lo zio Michele (al secolo Michele Misseri) meriterebbe di sicuro il Nobel per le tecniche di comunicazione.
Per lunghi giorni si è autoaccusato, poi ha negato, poi si è accusato di nuovo e così facendo ha sollevato una fitta cortina di fumo fatta di bugie, di mezze verità e di verità ritrattate, il tutto per proteggere i veri colpevoli dell’omicidio: sua moglie Cosima e sua figlia Sabrina. Addirittura, Michele, si era inventato di avere usato violenza sessuale alla ragazza, versione niente di meno confermata da altro teste. Era un bufala.
Di bugie nei processi oramai ne vengono dette tante e, nonostante ciò, le testimonianze vengono sempre sopravvalutate come fossero prove regine: spesso, invece, sono solo versioni di comodo se non addirittura concordate per disegnare scenari inesistenti. Più o meno è quello che è accaduto per il caso Scazzi, dove ben dodici persone sono state condannate per calunnia o falsa testimonianza, per poi essere assolte in appello.
Fortuna che ad indagare erano investigatori di valore, di quelli che non si fanno abbagliare dalla magnifica occasione di risolvere facilmente un caso grave di così enorme risonanza mediatica. Per questo, alla fine, nonostante tutto le vere colpevoli processate per aver commesso l’omicidio il 26 agosto 2010 stanno scontando l’ergastolo.
In ogni caso lo zio Michele, con i suoi limitati mezzi culturali, è stato sicuramente un maestro della mistificazione, quasi da fare invidia agli agenti del controspionaggio ci verrebbe da dire scherzando, anche se qui da ridere c’è ben poco.
L’unica verità che ha detto, lo zio Michele, è che fu lui ad occultare il cadavere, ragione per la quale sta scontando una pena di otto anni di reclusione.
E le bugie? No per quelle – cioè per i depistaggi con cui ha tentato di confondere le acque – è stato assolto, così come tutti quelli che contrariamente ai propri doveri civici e legali in sede di indagini o di processo hanno riferito il falso.
In qualche caso la motivazione dell’assoluzione è che “il fatto non sussiste” (e allora dovevamo arrivare all’appello per accertarlo?) come appunto per la questione della presunta violenza sessuale; nella maggior parte dei casi, invece, è intervenuta la prescrizione.
Alla fine, dodici persone che per motivi vari hanno mentito ai giudici o al pubblico ministero se ne sono usciti indenni.
C’è di tutto: il ragazzo oggetto della gelosia dell’assassina, che aveva negato ogni coinvolgimento sentimentale con le ragazze (la piccola Sara e sua cugina Sabrina), per essere poi smentito da due supertestimoni (tra cui la sua ex); lui aveva detto di non aver incontrato nell’ultimo giorno di Sara le ragazze ed anche su questo era stato sbugiardato; avevano poi mentito anche sua mamma e suo fratello, probabilmente per fornirgli un alibi; aveva addirittura mentito la cognata di quel fioraio che disse e poi ritrattò di aver assistito al sequestro dei Sara; stessa cosa per un amico delle due giovani e per la cognata di Michele.
Insomma, un mare di bugie con cui l’aula di giustizia si era trasformata in un teatrino, per le quali tutti sono stati perdonati.
Per fortuna gli investigatori, in questo ginepraio di menzogne (graziate) hanno saputo districarsi assicurando, nonostante tutto, gli assassini alla giustizia.
AICIS