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Si chiama «sharenting» ed è la crasi fra sharing e parenting: riguarda la diffusa pratica dei genitori di postare le tenere immagini dei propri piccoli: una cosa che riempie il cuore dei genitori, ma che è anche pericolosa.

Recenti indagini sul fenomeno hanno concluso che circa il cinquanta per cento delle fotografie che circolano sui forum di pedopornografia è stato inizialmente pubblicato dai genitori sui loro social, spinti da un comprensibile orgoglio e nessuna colpa apparente.

«Nonostante Facebook consenta l’impiego di numerosi filtri che limitano le visualizzazioni dei post ai soli ‘amici’ il pericolo derivante dalla pubblicazione di foto che ritraggono i propri figli, resta elevato». A parlare è Deborha Bottino, Criminologa AICIS in un articolo pubblicato sul nostro sito nel 2020 (https://criminologiaicis.it/perche-e-sbagliato-postare-le-foto-dei-bambini-sui-social-networks/). «Esporli realisticamente a un numero potenzialmente elevato di amici – continua la Criminologa – non limita il rischio reale legato alla pedofilia. La conoscenza dei contatti non è poi così mirata, fra gli amici Facebook possono nascondersi tutta una serie di contatti che passano inosservati e potrebbero avere pensieri o compiere azioni poco ortodosse nei confronti dei bambini. Non solo, non è irrealistico pensare che persone che presentano quadri psicopatologici legati al disturbo parafilico di pedofilia (attenzione il disturbo è diverso dal reato, non esiste il ‘reato di pedofilia’, esiste il ‘reato di abuso su minore’, sottile differenza ma molto importante), possano realmente avvicinarsi ai vostri figli avendoli osservati attentamente sui vostri profili. Non pensante che i vostri “amici Facebook” siano tutte persone fidate, il disturbo parafilico di pedofilia può essere anche latente, sconosciuto quindi allo stesso pedofilo che può essere a conoscenza o meno di provare impulsi sessuali alla vista di bambini».

IL PUNTO DI VISTA DELLA GIURISPRUDENZA ITALIANA:

E’ ormai consolidato nella giurisprudenza di merito il principio della necessità del consenso di entrambi i genitori alla pubblicazione delle foto dei figli sui social (v. Tribunale di Mantova 2017 e Tribunale di Ravenna 2019). Nel caso di Mantova, nonostante l’opposizione manifestata dal padre, una madre persisteva nella condivisione di immagini dei figli: il giudice ha disposto l’inibitoria di questo comportamento e la rimozione delle foto già inserite sui social. Nel caso ravennate la questione riguardava un minore infra-quattordicenne in regime di affidamento condiviso e il giudice ha ribadito che, anche in questo caso, non bastava il consenso di un solo genitore. Nel 2017 il Tribunale di Roma ha deciso una questione che riguardava un sedicenne la cui madre pubblicava immagini che lo ritraevano, nonostante la sua opposizione: in questo caso, avvenuto prima dell’entrata in vigore del GDPR (quindi prima dell’istituzione dell’età del consenso digitale) il minore era affidato a un tutore e la pubblicazione delle fotografie da parte della madre era lesiva della sua dignità. Il Giudice, valutando il primario interesse del minore, ha disposto la cessazione del comportamento e ha condannato la madre al pagamento di una penalità di mora in caso di persistenza della violazione.

UN’OTTICA EUROPEA:

In Olanda ha fatto notizia il caso di una nonna che pubblicava immagini dei propri nipoti sui social network e che è stata condannata a rimuoverle perché non aveva il consenso della madre dei minori: il comportamento della signora violava il GDPR e la legge di attuazione olandese. La Corte ha ritenuto che l’attività di pubblicazione delle foto non rientrasse nelle attività consentite dalla household exemption (attività puramente private, cui non si applica il GDPR) perché le foto erano pubblicate sui social media dove una platea indeterminata di soggetti poteva prenderne visione.

Basterebbe quanto detto a dissuadere e consigliare maggiore cautela. Ma non è tutto perché in realtà i rischi permarranno anche quando quel bambino sarà adulto.

Pensate se poi, una volta diventato maggiorenne, quel bambino reclamizzato dalla prima ecografia fino alla prima comunione rivendicasse la propria intimità? Oppure, con lo strumento della OSINT intelligence (profilazione web) oramai molto utilizzato dalle aziende in fase di selezione del personale, quel ex bambino non venisse assunto o si vedesse rifiutare un mutuo per l’eccessiva esposizione sul web in età prescolare? Oppure se per via di quelle foto diventasse vittima di bullismo?

Non sono questioni banali come potrebbero apparire, tanto che la politica francese ha aperto un’approfondita riflessione sul tema ed ha depositato in Parlamento una apposita proposta di legge per scoraggiare appunto lo «sharenting». Il vizio di postare compulsivamente foto e video dei propri figli è una vecchia preoccupazione del presidente Emmanuel Macron. A spingerla in Parlamento, dove è già iniziata la discussione, è stato Bruno Studer, un deputato di Renaissance, partito di maggioranza. Studer è un insegnante di storia. Ha visto quali reazioni può scatenare un’immagine innocente pubblicata da mamma e papà sulle comunità dei ragazzini (di rado lasciata senza commenti) del piccolo che cade dall’altalena o gira per casa in pigiama a pois.

Tutte situazioni che la legge proposta intenderebbe limitare anche con misure forti: addirittura l’articolo 4 del disegno di legge arriva a ipotizzare di togliere loro il diritto all’immagine dei figli per affidarla a un terzo.

IN FRANCIA IL TEMA DELLA PRIVACY DEL BAMBINO

«Contro la tentazione della viralità bisogna privilegiare l’imperativo dell’intimità», spiega il deputato francese. «Il messaggio per i genitori in una società sempre più digitalizzata è che il loro compito sia anche quello di proteggere la privacy dei figli, imprescindibile per la sicurezza, il benessere e lo sviluppo».

A sostegno della propria iniziativa Bruno Studer un rapporto del Children’s Commissioner for England: si stima che un bambino appaia in media in 1.300 fotografie pubblicate online prima dei 13 anni, sui propri account, su quelli dei genitori o dei famigliari. Alcuni debuttano nel web prima ancora di nascere, vista la moda di postare le ecografie mese dopo mese come scatti d’autore. Leggerezza adolescenziale. Adulti maturi e istruiti buttano i figli nella rete per un po’ di consenso e di gloria (ma lo vedi com’è carino? L’ho fatto io). Dimenticando che un figlio è più prezioso delle coordinate bancarie, che i furti d’identità sono all’ordine del giorno. La tutela della privacy è un rischio, ma c’è di peggio. Già nel 2017 la professoressa Stacey Steinberg dell’Università della Florida citava il caso di una mamma blogger sconvolta dopo avere scoperto che le foto della figlia erano oggetto di scambio tra pedofili. Quel clic ai giardinetti, sì. Con dentro l’innocenza perduta e troppi metadati, cioè le informazioni che consentono di identificare e localizzare il bambino. Riguardo alla Francia, secondo Open (Observatoire de la Parentalité & de l’Éducation numérique): il 53% dei genitori francesi ha già condiviso contenuti riguardanti il proprio figlio, per il 43% tutto è iniziato alla nascita e per il 91% entro i 5 anni. Già con la vigente legislazione, in Francia, gli attori inconsapevoli, una volta maggiorenni, possono denunciare mamma e papà, che rischiano fino a un anno di detenzione o 35mila euro di multa. E in caso di divorzio le foto pubblicate da uno dei due genitori possono essere citate nelle cause per sottolineare l’inaffidabilità dell’ex o chiedere l’affidamento esclusivo del bambino.

 

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