di Mariantonietta Deiana
Gli studiosi che si sono occupati dell’omicidio seriale hanno cercato di mettere in evidenza una serie di sintomi che, se riscontrati durante l’infanzia e l’adolescenza, possono far presagire un futuro comportamento omicidiario seriale (ovviamente bisogna essere prudenti nel formulare ipotesi di causalità diretta). Vi sono studi che cercano di mettere in relazione i fattori genetici con quelli fenotipici. Vi sono casi davvero singolari, dove è veramente difficile capire il perché un uomo o una donna divengano aggressivi e violenti, trasformandosi in esseri sadici, in predatori, in violentatori ed assassini.
L’aggressività e la violenza sono due fattori determinanti per lo studio dei comportamenti devianti. Non esiste un serial killer o un aggressore seriale che non abbia manifestato aggressività e violenza, si tratta di un binomio inscindibile.
Pertanto, l’analisi del comportamento deviante non può prescindere da affrontare in modo approfondito il tema dell’aggressività, a partire dalla sua definizione ed alle diverse modalità con cui essa si manifesta a seconda della fase dello sviluppo individuale. La propensione a livello genotipico a sviluppare un comportamento aggressivo potrà manifestarsi a livello fenotipico solo se l’ambiente sarà caratterizzato da una serie di fattori di rischio quali per esempio modelli educativi carenti, violenza familiare o vivere in un quartiere degradato.
Le variazioni fenotipiche sono un pre-requisito fondamentale per l’evoluzione e per la selezione naturale; infatti la selezione naturale incide indirettamente sulla struttura genetica di una popolazione avendo come principale riferimento il fenotipo, che determina l’adattamento di un individuo all’ambiente. Senza variazione fenotipica non ci sarebbe nessuna evoluzione per selezione naturale.
L’aggressività non deriva solo dal fattore genetico.
Sotto il profilo soggettivo non si può non tener conto di fattori essenziali per lo sviluppo della personalità dell’individuo, come il quoziente intellettivo, la regolazione emotiva, la percezione dell’autoefficacia personale, il livello di autostima e il temperamento.
Sotto il profilo oggettivo, si dovrà tener presente l’influenza che l’ambiente esterno ha sull’aspetto psicologico del minore. Per ambiente esterno intendiamo tutto ciò che si relaziona con il minore, dalla famiglia, al rapporto con i pari, al blackground culturale in cui è immerso.
L’aggressività è presente in natura, ma è sempre giustificata. L’animale è però aggressivo per istinto. L’uomo porta geneticamente dentro di sé un istinto aggressivo, che come quello degli animali, è in sostanza, finalizzato alla conservazione di se stesso e del suo gruppo dai pericoli esterni, però l’uomo diversamente dagli animali, è dotato di un intelletto superiore e di una capacità di ragionamento che dovrebbe portare a moderare la propria aggressività.
L’aggressività patologica può essere definita come quel comportamento intenzionale, finalizzato a provocare o a minacciare un danno fisico e psicologico a un essere vivente; come già evidenziato, l’aggressività può svilupparsi ed aumentare laddove l’ambiente che circonda il minore viene caratterizzato da una serie di fattori di rischio, tra i quali possiamo evidenziare quello di essere sottoposto a violenza familiare, ad abusi fisici e/o sessuali, a vivere in un ambiente degradato e a non avere modelli educativi di riferimento o averli di tipo negativo.
Tutte queste caratteristiche sono il più delle volte presenti nella storia criminogenica dei baby-killer.
Nello studio dello sviluppo dell’aggressività hanno fondamentale importanza un’altra serie di fattori che riguardano, in primis, lo sviluppo intellettivo del minore, anche se non vi è alcuna correlazione tra quoziente intellettivo ed aggressività.
In genere i serial killer hanno un quoziente intellettivo medio, o addirittura, elevato, ma mostrano comunque problemi nella sfera dell’apprendimento che spesso contribuiscono al fallimento scolastico, non riuscendo a sopportare il peso degli studi, a causa della stessa inquietudine interna che provoca la loro incostanza.
Un altro importante fattore è quello che riguarda l’autoefficacia personale, ovvero il minore valuta quanto sono efficaci le strategie che mette in atto per raggiungere i suoi obiettivi. Se l’aggresssività risulta utile al perseguimento di quello che desidera, il bambino comincerà a capire e ad adottare, sempre più frequentemente, questa condotta che gli permette di affermare la propria volontà e di ottenere con ciò, quello che desidera.
Un altro elemento importante da prendere in considerazione è osservare quanto il minore sia interessato al pericolo, alla ricerca del rischio; questo modo di comportarsi aumenta in maniera esponenziale la possibilità di trovarsi ad affrontare situazioni limite le cui ripercussioni possono essere devastanti sotto ogni profilo, fisico, sociale ed economico. Il “sensation seeker”, non pensa alle conseguenze, convinto, sulla base di un incontrollabile ottimismo che nulla di male potrà mai capitare a lui, ma, semmai, agli altri. La sfida è uno degli elementi del “sensation seeker” che ha sempre bisogno di vivere con un alto livello di adrenalina nel corpo, tanto che diversi studiosi, hanno concluso sostenendo che la ricerca di sensazioni forti negli adolescenti fosse dovuta principalmente a una grande ipersensibilità, fondata sul livello delle catecolamine (dopamina, adrenalina etc…) e sulle caratteristiche del loro metabolismo.
In alcuni baby-killer si assiste ad una continua sfida con le forze dell’ordine.
Infine, un’altra condotta che il minore potrebbe mettere in atto e non è assolutamente da sottovalutare, riguarda il modo di comportarsi che lo stesso ha con gli animali: i maltrattamenti sugli animali sono un fenomeno diffuso e rappresentano un chiaro segnale di aggressività e violenza interiori che trovano uno sfogo su esseri che non possono difendersi, sfogando contro di essi la rabbia che hanno accumulato (la rabbia intesa in tal caso come una sottocategoria dell’aggressività). Nel campione di assassini seriali esaminato da Ressler, il 36% ha mostrato segni di crudeltà verso gli animali durante l’infanzia, raggiungendo il 46% durante l’adolescenza. Proprio per questo motivo gli esperti che studiano il fenomeno consigliano di non sottovalutare mai i giochi violenti dei bambini nei confronti degli animali, perché tali comportamenti possono essere segnali di disagio che possono preannunciare lo sviluppo di una personalità violenta.
Va detto che studi effettuati in diversi paesi, tra cui anche l’Italia, hanno dimostrato che i bambini che hanno subito una qualche forma di violenza domestica, sono molto più portati a sfogare la propria aggressività nei confronti degli animali. Tra bambini e bambine sin dalla prima infanzia si può constatare una grande differenza nella manifestazione dell’aggressività: i maschi esprimono l’aggressività sia fisicamente che strumentalmente in modo più evidente rispetto alle bambine che manifestano l’aggressività in modo indiretto, per esempio con il pettegolezzo, il linguaggio o l’esclusione dal gruppo. Tutto ciò è stato dimostrato da un interessante esperimento tenuto in una scuola materna americana, nella quale con l’autorizzazione delle autorità, della scuola e di ogni singolo genitore, sono state installate, in un parco giochi, telecamere e microfoni nascosti. Il risultato ha permesso di constatare che le bambine agiscono in modo aggressivo al pari dei maschi e successivamente se intervistate negano di essersi comportate male, diversamente dai maschi che in genere ammettono quanto fatto.
E qui torniamo all’influenza che l’ambiente esterno ha sulla psicologia del minore.
Abbiamo per quanto concerne lo studio di questo fenomeno il contributo di Newton che evidenzia alcuni aspetti da non sottovalutare, tra cui l’isolamento sociale; infatti, nel campione di assassini seriali considerato dall’ F.B.I., il 71% dei soggetti riferiva di provare forti sentimenti di isolamento durante l’infanzia. Si tratta di bambini nei quali la fantasia assume un ruolo predominante e compensa una realtà povera di stimoli positivi: queste fantasie hanno la caratteristica di essere precocemente sessualizzate per cui i loro contenuti turbano profondamente il bambino, ma, allo stesso tempo, lo eccitano. Il bambino si lascia sedurre dal suo mondo fantastico e, progressivamente, si allontana da quello reale; solitamente questi soggetti manifestano un comportamento irregolare, caratterizzato soprattutto da un bisogno immotivato e cronico di mentire, parliamo di ipocondria e comportamento camaleontico, utilizzato per mascherare la devianza sociale. Da bambini, molti assassini seriali iniziano a mentire in maniera compulsiva, perché questa attività da loro una forte eccitazione ed una sensazione di potere, di frequente utilizzano un atteggiamento ipocondriaco per attirare l’attenzione di altre persone, sono bambini incapaci di tollerare le restrizioni e reagiscono in maniera estrema alla minima frustrazione; da non trascurare la sfera sessuale infatti in genere, gli assassini seriali, hanno un’attività sessuale precoce e bizzarra, iniziando a masturbarsi da bambini oppure manifestando dimostrazioni di sessualità violenta e abusiva nei confronti di altri. Anche l’utilizzo di materiale pornografico inizia in età precoce, fanno abbondante uso di pornografia, anche se non è possibile stabilire una correlazione diretta tra i due comportamenti. Da bambini, spesso, gli assassini seriali sono costretti, loro malgrado ad avere precoci esperienze sessuali, in quanto sono vittime di violenze sia intra che extra-familiari. Ciò li porta ad una forma di attrazione-repulsione per il sesso, che inizia a diventare un pensiero ossessivo nella loro mente, altre ossessioni ricorrenti sono quelle per il fuoco, il sangue e la morte; infatti spesso i serial killer da bambini sono ossessionati da fantasie distruttive che sfociano, a volte, in veri incendi dolosi che vanno oltre i normali giochi fatti da tutti i bambini. Ressler facendo riferimento ai dati forniti dall’ F.B.I., afferma che la piromania è presente nel 56% degli assassini seriali durante l’infanzia e persiste nel 52% dei casi durante l’adolescenza, in età adulta questa mania si dimezza rispetto all’infanzia. Per il serial killer, bambino o adolescente, appiccare un incendio soddisfa due pulsioni molto forti: la prima è quella distruttiva, comune a tutti i bambini, la seconda è quella sessuale. Quando durante l’infanzia, si manifesta questo tipo di comportamento, significa che il soggetto si sente profondamente inadeguato, perciò si ribella distruggendo oggetti. Per il serial killer adolescente, la piromania è un mezzo per scaricare le proprie tensioni sessuali.
Inoltre, gli assassini seriali, durante il loro periodo evolutivo, mostrano particolare attenzione nei confronti del sangue: per alcuni di loro, ciò è legato ad un vero bisogno fisico di avere un contatto con il sangue. Altra ossessione riscontrata nel periodo evoluivo è quella per la morte: questi soggetti, invece di provare una naturale repulsione nei confronti di tutto ciò che è collegato alla morte, ne sono come affascinati, tant’è vero che certi autori, parlano di “necromania”; a volte, il contatto con la morte avviene in età precoce quando il bambino è più facilmente impressionabile, alcuni assassini seriali, si sono trovati, da bambini, a dover affrontare la morte improvvisa di una persona cara, senza riuscire ad elaborare in maniera adeguata il lutto e ciò ha costituito il punto di partenza per la “necromania” successiva. Anche il furto viene considerato sintomo del vuoto emozionale del bambino e spesso rappresenta la prima tappa della carriera criminale dell’assassino seriale.
Soffermiamoci sul comportamento autodistruttivo: la “sindrome di automutilazione” può durare per decenni nel corso dei quali l’automutilazione si alterna a momenti di calma assoluta ed a comportamenti impulsivi, come i disordini alimentari, abuso di alcool e di altre sostanze e la cleptomania; nel campione dell’F.B.I., il 19% degli assassini seriali, disse di aver praticato degli atti di automutilazione durante l’infanzia. Molti di questi soggetti hanno fatto abuso in età precoce di stupefacenti, per evadere dalla realtà per darsi coraggio e sembrare dei “veri uomini”, talvolta anche per emulare il comportamento genitoriale (molto frequente), infatti spesso sono gli stessi genitori, in particolare il padre, a fornire il modello al figlio.
La grande difficoltà nel riconoscere i segnali premonitori in un bambino e/o adolescente (va detto che per ogni fase della crescita differenti sono i segnali che si devono cogliere) è che i soggetti che sono preposti all’osservazione sono in un primo momento i genitori che talvolta non hanno gli strumenti per capire se una condotta sia più o meno nella norma. Pertanto, diviene fondamentale intervenire nel momento in cui i bambini escono dall’alveo genitoriale per andare all’asilo e successivamente a scuola, cominciando così il proprio percorso di socializzazione e il confronto con i propri pari. Questo è il momento principale per capire, intervenire ed agire. I docenti e tutti coloro i quali sono a contatto con i minori dovrebbero sapere riconoscere tutti quei segnali e quelle condotte che potrebbero far presagire che il minore si stia ponendo in una situazione soggettiva ed oggettiva di rischio; a tale proposito sarebbe auspicabile, in tutte le scuole, di ogni ordine e grado, l’ausilio di un esperto in psicologia. È ovvio, che laddove il minore sia abbandonato a se stesso, si è ad altissimo rischio che vengano adottate condotte devianti, aggressive e violente non più recuperabili.
Per educare e prevenire, è necessario conoscere chi sono i giovani a rischio di oggi, riuscendo a tratteggiare i lineamenti del giovane violento e omicida e farne un ritratto che non sia una rigida maschera stereotipica, ma la rappresentazione di un volto particolare, con una sua storia personale e con un suo progetto soggettivo.
L’AUTRICE
Mariantonietta Deiana è una criminologa qualificata AICIS, educatrice professionale, mediatore familiare, lavora con bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità