(AICIS) L’omicidio risale a 33mila anni fa. I resti della vittima, ridotti a un fossile, sono stati ritrovati nel 1941 a Cioclovina (Romania), ma l’indagine è stata conclusa solo nel 2019. Il reperto è costituito dal cranio di un individuo di sesso maschile vissuto nell’Aurignaziano (Paleolitico superiore). Perché ne parliamo sul sito dei criminologi? Perché oggi, grazie a moderne tecniche forensi, è stato provato che l’antenato morì di morte violenta, probabilmente colpito con una mazza, forse di pietra, che gli ha spezzato l’osso parietale e occipitale, e poi lo ha lasciato morire. I nomi dell’omicida e della vittima non li sapremo mai. Ma ora abbiamo la certezza che si trattò di un delitto (ammesso e non concesso che all’epoca uccidere un proprio simile potesse essere considerato un crimine).
Ad ogni modo, per ricostruire la dinamica del fattaccio è stato necessaria l’opera di un eminente gruppo di archeologi di Grecia, Regno Unito, Romania e Germania, guidato dalla Eberhard Karls Universität Tübingen. Il cranio fu ritrovato con segni di fratture nell’osso frontale e parietale durante gli scavi nella miniera di fosforo di Pestera Cioclovina, in Transilvania e sono ora conservati presso il Bucharest University Laboratory of Paleontology. Tre almeno le fratture. Le due più piccole e con segni di rigenerazione ossea indicano che sono state provocate mentre l’uomo era vivo, e dunque hanno avuto il tempo di guarire. Una terza frattura, invece, mostra i segni di un colpo inferto perimortem, cioè a poca distanza di tempo dal decesso, per cui le ossa non sono riuscite a generare un callo di sutura. Per confermare che il colpo mortale è stato inferto perimortem, i ricercatori hanno verificato la presenza di segni inequivocabili: le ossa del cranio mostrano una deformazione permanente nel punto dell’impatto, con presenza di minuti frammenti ossei adesi al cranio e linee fratturali che tendono a diffondersi verso aree strutturalmente meno resistenti. Se il colpo fosse stato assegnato postmortem, i bordi della frattura si sarebbero rivelati squadrati e perpendicolari alla superficie ossea, con linee fratturali casuali. Per confermare l’ipotesi di un colpo letale inferto quando l’uomo era ancora vivo, il team di investigatori-archeologi ha fatto ricorso anche ad alcune simulazioni effettuate con sfere ossee artificiali ripiene di gelatina, a mo’ di cervello. Le sfere sono state fatte cadere dall’alto, colpite con una pietra o con un bastone, libere di muoversi o bloccate su una superficie. Tutte le prove hanno condotto alla conclusione che il colpo fu inferto con una mazza, mentre l’individuo era vivo e in piedi.