Nonostante lo sviluppo della tecnologia ha reso più semplici le attività investigative nella raccolta delle notizie e nella ricerca del presunto autore di un crimine, non può mancare, per una corretta esecuzione dell’intera macchina investigativa in quella che è la direzione verso la verità dei fatti, il contatto umano e la capacità di relazionarsi con il sospettato. Difatti solo comunicando e interagendo con l’altra persona si possono raccogliere delle informazioni aggiuntive che possono contribuire notevolmente a quelle che sono le indagini in corso. In questo senso quindi quello che è l’interrogatorio, ossia quel mezzo che adopera il pubblico ministero (personalmente o attraverso un sistema di delega) nella fase preliminare per raccogliere delle informazioni sull’indagato, deve essere svolto secondo delle precise tecniche e regole che, nella loro specificità, possono ridurre tutta una serie di problemi che potrebbero inficiare il risultato finale. Soprattutto se si considera che l’interrogatorio del PM ha una natura investigativa visto e considerato che è finalizzato alle determinazioni che si riferiscono specificatamente all’esercizio dell’azione penale.
In generale, nell’ambito delle attività criminologiche, investigative e informative, la fase di ricerca di possibili notizie ottenute dal dialogo con l’indagato o con i testimoni, può essere descritta come un atto di fondamentale importanza dacché contribuisce ad accertare quella che è la verità sui fatti per cui si indaga. Proprio per questo motivo “il codice prevede tre fondamentali modalità per mezzo delle quali gli inquirenti possono assumere informazioni da parte di colui che è incolpato di un reato: la prima è quella di ascoltare il presunto reo tempestivamente e sui luoghi ove è stato commesso il reato, la seconda opzione è quella di raccogliere e verbalizzare dichiarazioni spontanee da parte dell’indagato, ma non nell’immediatezza dei fatti (entrambe le opzioni sono regolate dall’art. 350 commi 5 e 7 c.p.p.) e poi, quella fondamentale e maggiormente regolata: l’interrogatorio”[1].
A proposito di quest’ultimo, se solo si pensasse a quelle che sono le finalità dello stesso, ci si accorgerebbe che delle mosse sbagliate possono del tutto condizionare o in certi casi manipolare (involontariamente o volontariamente) il presunto reo ottenendo delle notizie inutili rispetto a quello che è l’accertamento del fatto commesso. Secondo quanto detto quindi, quello che un buon agente deve assolutamente fare è conoscere gradualmente l’indagato (il suo carattere, i suoi stati emotivi, i suoi comportamenti ed ecc…) per poi tarare un sistema di indagine o un metodo di interrogatorio meno “condizionante” possibile rispetto a quelle che sono le sue caratteristiche. Non per niente, lo studio preliminare e peculiare degli elementi e delle fonti di prova in suo possesso (attraverso gli atti del fascicolo), assieme a tutte una serie di domande generali che gli rivolgerà durante la prima parte dell’interrogatorio, saranno essenziali per porre delle buone basi dalle quali poter partire per approfondire successivamente le dinamiche del reato. In altre parole, quello che sarà determinate fin dall’inizio è istaurare un rapporto privo di “resistenze” in grado di mettere a proprio agio l’indagato e le sue successive dichiarazioni. In questa fase quindi, domande generiche sulla sua vita, sul piano psicologico, possono avere un doppio scopo: far rilassare l’indagato e far comprendere a chi lo sta interrogando, a grosse linee, come lo stesso si mostra o si pone in essere in quel contesto (se collaborativo o distaccato). Questo primo passaggio, seppur dal punto di vista investigativo non sarà utile a ottenere delle notizie rilevanti, è importante per istaurare un clima incoraggiante in prossimità a quelle che saranno le fasi successive. In aggiunta, un’altra cosa da tenere in considerazione durante questa fase e per tutto l’intero interrogatorio, sarà l’importanza dell’atteggiamento che l’interrogatore porrà nei confronti dell’interrogato. In ossequio a ciò andrebbero rispettate delle regole base:
- Non far percepire all’indagato di voler subito arrivare al punto;
- La variabile tempo non deve condizionare l’atteggiamento di colui che si presta all’interrogatorio;
- I metodi troppo invadenti non portano da nessuna parte;
- Non farsi condizionare dalle provocazioni;
- Mantenere un clima sereno e stimolante, rispetto a quella che è la riflessione, è la chiave di svolta per ottenere delle notizie di buona qualità.
A proposito di quest’ultimo punto bisogna tenere a mente che quelle che sono le caratteristiche intrinseche della rabbia, della fretta e dell’atteggiamento di chiusura in generale dell’investigatore, annebbiano quelli che sono i processi razionali, la qualità dei ricordi e le affermazioni dell’indagato, portandolo così, verso una condizione di totale distacco dai suoi confronti e da ogni eventuale forma di confessione. Pertanto, anche di fronte a delle spudorate bugie, provocazioni o atteggiamenti reticenti, bisogna mantenere un clima sereno teso a ottenere più notizie utili da analizzare e confrontare in un secondo momento. In aggiunta all’aspetto verbale, dovranno essere valutati e annotati anche altri due canali comunicativi: il comportamento non verbale e quello paraverbale. Eventuali reazioni spropositate, parole particolari dette o ripetute o forme di reticenza su argomenti specifici possono essere utilizzati per ottenere delle notizie in più, attraverso ulteriori approfondimenti, rispetto a ciò che è stato esposto. In altre parole, quelli che sono i suoi sistemi difensivi, mimiche facciali, reazioni psicofisiche, saranno determinanti per definire il così detto punto di rottura o cedimento ossia quel momento in cui lo stesso si sente di confessare ciò che realmente avrebbe compiuto. Anche in questo caso è utile ribadire che ciò deve essere ottenuto, mediante un metodo più impeccabile possibile ovvero atto a comprendere quelle che sono le reali esigenze dell’indagato piuttosto che condizionarlo verso qualsiasi forma di confessione voluta e ricercata dall’investigatore. In questo senso un clima più tranquillo possibile, costernato da forme di ragionamento sane e ripetitive, sono da privilegiare rispetto a qualunque altra condotta possibile. Non per niente, a garanzia dello stesso indagato, vi è un legale che si assicuri che tutto l’intero iter venga svolto secondo i principi stabiliti dalla legge.
“Mentre per l’investigatore l’obiettivo dell’interrogatorio è di ottenere una piena confessione, per l’art. 188 C.p.p. l’obiettivo è il rispetto della corretta modalità con cui questa confessione è stata raccolta e di come dovrà essere poi documentata in fase processuale. In base al Codice di procedura penale le dichiarazioni non possono essere forzate, né estorte con minacce o violenze”[2].
In questo senso, ogni tecnica manipolatoria, è da considerarsi illecita.
Se ne espongono alcune:
- Solidarizzare con il colpevole attraverso tutta una serie di ragionamenti atti a incolpare la vittima;
- Knowledge-bluff: atteggiamento di chi finge di saperne di più rispetto a quello che si è mostrato.
- Fixed line-up: inventare che ci siano delle segnalazioni da parte di alcuni testimoni;
- Schema del dilemma del prigioniero: da utilizzare qualora gli indagati fossero due, in cui si cerca di fare credere all’altro che il complice abbia confessato tutto. Si gioca su quella che è la mancanza di fiducia;
- Mutt and jeff: tecnica del poliziotto buono-cattivo. Nella fattispecie essa consiste nell’alternare un interrogante brutale, rabbioso, cinico, dominatore, in visibile contrasto con uno cordiale, empatico e calmo al quale l’interrogato finirà per affidarsi e confidarsi.
- Far notare all’interrogato di provare delle reazioni inesistenti: tremolii, movimenti non naturali, pulsazioni accelerate ed ecc…
Un discorso a parte merita il metodo Koubi, ideato da Michael Koubi, per i servizi segreti interni israeliani. Dopo centinaia di colloqui con i prigionieri palestinesi, egli arrivò alla conclusione che le due qualità che fanno un buon investigatore sono il carattere e l’esperienza. Per lo stesso è necessario sapersi adattare a quelle che sono le caratteristiche dell’interrogato, con grande empatia, soprattutto attraverso un linguaggio verbale e comportamentale di tipo a specchio. È altresì importante mostrare di essere molto sicuri di se stessi soprattutto nelle strategie che si vogliono adottare: un cambio di tono (a volte anche seguito da alcune fasi di silenzio) misto all’uso di particolari parole per l’interrogato, può far crollare molti soggetti soprattutto se si conoscono tante informazioni sul loro conto (famiglia, amici, reati precedenti ed ecc… ).
“Con l’esperienza si evidenzia che durante gli interrogatori le persone si comportano in modo inaspettato, spesso quelli che di norma fanno i duri sono coloro che crollano per primi e senza effettuare alcuna pressione fisica. Se si sanno usare le carte psicologiche non c’è mai bisogno di arrivare alle pressioni fisiche, né alle pratiche della tortura”[3].
Ai fini di un buon interrogatorio un altro elemento da tenere a mente, spesso non preso tanto in considerazione, è il luogo: bisogna evitare qualsiasi oggetto di distrazione o disturbo. Il minimo essenziale (come delle sedie e un tavolo) deve essere studiato nei minimi particolari: conta la posizione, i colori e le dimensioni. Spesso per esempio il mettere una penna davanti all’indagato può essere un buon segnale di stress nel momento in cui lo stesso decida di prenderla per sfogare il suo stato di pressione. Stesso discorso per eventuali bicchieri di acqua, lo stato di tensione spesso porta a secchezza e sudorazione eccessiva. Ciò però non sempre equivale a mentire come spesso si vede nei film. Il soggetto potrebbe essere semplicemente molto emotivo e in uno stato di pressione differente da colui che sta mentendo.
Per quanto riguarda invece le domande che bisogna porre, seguendo l’iter per il quale bisogna muoversi secondo un approccio cauto dal generale al particolare, vanno tenute in mente delle caratteristiche ben definite:
- Devono essere chiare, precise e comprensibili;
- Non devono essere suggestive;
- Non devono essere chiuse (tese a ottenere delle risposte con un si o con un no);
- Assolutamente va evitato il fenomeno dell’acquiescenza.
Il tutto perché quello che si ricerca è l’oggettività dell’esposizione, qualunque apprezzamento personale da parte dell’investigatore deve essere evitato. Le domande devono essere indeterminate tranne che per alcune eccezioni volte a mettere alla prova il soggetto e la sua versione dei fatti. Di aiuto in questo caso può essere l’intervista cognitiva, specifica per ridurre al minimo la soggettività, con le sue cinque fasi identificabili sotto l’acronimo “PEACE”:
- Preparation (P): è la fase di studio preliminare di quello che è il fascicolo, delle possibili ipotesi e della strategia migliore da adottare;
- Engage (E): è quella di ingaggio ossia di inizio della conversazione con l’indagato;
- Account (A): fulcro dell’intero processo interrogatorio in quanto utile a ottenere delle notizie più specifiche e genuine riguardo agli argomenti “caldi” dell’indagine.
- Close (C): Chiusura e riassunto di quanto emerso;
- Evaluate (E): elaborazione e integrazione delle notizie (ottenute secondo i principi della valutazione investigativa).
In aggiunta quello dell’intervista cognitiva è un approccio che fa uso di alcuni assunti di base della psicologia della memoria:
- “Gli eventi da ricordare vengono ricomposti attraverso degli elementi o cue e più sono questi elementi e maggiore è la possibilità che l’evento venga ricordato;
- Molto spesso l’informazione che non può essere riprodotta tramite un cue può essere riprodotta tramite un altro elemento facilitatore;
- Alcuni ricordi vengono riprodotti più facilmente se il contesto rivissuto al momento della rievocazione è molto vicino a quello della registrazione di tale ricordo.” [4]
L’obiettivo dell’intervista cognitiva è quello di rendere più oggettive possibili le risposte dell’indagato attraverso delle tecniche che spesso prevedono il racconto all’inverso sennonché un punto di vista esterno rispetto all’accadimento dei fatti. Ciò viene spesso fatto per due ragioni: aiutare il soggetto a ricordare meglio quanto avvenuto, evitando in questo modo dei ricordi indotti, sennonché confermare ciò che da lui è stato precedentemente esposto. Difatti, a proposito di quest’ultimo punto, sarà importante notare eventuali segni di menzogna. Generalmente, chi mente è soggetto a una serie di sforzi ulteriori attraverso i quali difficilmente si riesce a ricordare la sequenza dei fatti che hanno contribuito a definire la bugia detta; soprattutto se ciò che viene chiesto è un “processo inverso” ossia un racconto dei fatti che parta dalla fine anziché dall’inizio. In aggiunta, l’ansia di essere scoperto spesso induce lo stesso ad una serie di sensazioni di disagio psicologico e fisico dovuto ad una serie di meccanismi come i seguenti:
- Sforzo di dover continuamente fantasticare su un racconto senza aver modo di “prelevare” delle notizie dalla memoria stabile;
- Timore di essere scoperto o di non far combaciare i fatti raccontati;
- Controllare continuamente l’aspetto non verbale;
- Fastidiose sensazioni corporee incontrollabili (sudorazione, tremolii, battiti cardiaci incontrollati ed ecc…)
- Distacco dalla conversazione per concentrarsi sulla menzogna.
Come per il discorso precedente, va specificato che questi segnali vanno presi “con le pinze” e valutati nella loro complessità e sistematicità. Molte volte anche un soggetto innocente può sentirsi talmente agitato o sotto pressione da presentare gli stessi disagi. Nel caso invece dovesse mentire sono due le dinamiche possibili rispetto al rapporto tra l’indagato e l’investigatore:
- Il primo tenderà a non rivelare la verità attraverso una versione dei fatti artefatta ma attendibile rispetto agli elementi rilevati sulla scena del crimine;
- Le strategie adottate dal secondo per rilevare ogni segno di menzogna che possa aiutarlo ad arrivare al punto di rottura.
Concludendo, dopo tutto ciò che si è affrontato precedentemente, si può sostenere che per svolgere un interrogatorio che sia efficace non è necessaria innanzitutto la forza, ma predisporre il contesto, prepararsi sul caso, conoscere l’interrogato, farlo ragionare sui suoi vantaggi, seguire dei modelli basilari secondo quello che è il suo carattere, affrontare e saper gestire le situazioni “atipiche” e sviluppare uno stile personale adeguato che tenga in considerazione quelli che sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere, i limiti della legge e, di conseguenza, lo sviluppo di idonei atti processuali.
[1] https://www.avvocatoflash.it/blog/diritto-penale/interrogatorio-nel-processo-penale
[2] Marco Cannavicci, ”L’interrogatorio intelligente”, polizia e democrazia.
[3] Marco Cannavicci, “metodologia e tecnica dell’interrogatorio”, Roma, 2006.
[4]Marco Strano, “Manuale di criminologia clinica”,SEE, Firenze

Angelo Alabiso Criminologo AICIS