L’investigazione necessita di una metodologia predefinita giacché occorre osservare, dedurre, argomentare, supporre, per poter raccogliere una serie di informazioni per giungere a una verità comprovata che tenda alla certezza. L’investigazione di per sé viene impiegata in maniera funzionale per individuare una verità giudiziaria, che non costituisce di per sé l’unica verità, ma diviene la verità processuale cristallizzata in una sentenza di un giudice raggiunta attraverso percorsi strutturati.
Nel campo delle indagini è fondamentale identificare l’indagato e le persone informate sui fatti giacché il tutto è funzionale alla ricostruzione degli eventi e in alcune occasioni per l’attribuzione di responsabilità penali. Bisogna considerare che sul piano squisitamente tecnico tali operazioni, aldilà del valore legale, si delineano come rapporti comunicativi tra persone, elemento importante principalmente per due motivi: in primis ci si riferisce ai diversi ruoli che i soggetti ricoprono, il secondo concerne i limiti espressivi, psicologici e cognitivi delle persone che rendono le dichiarazioni (elemento precipuo nel campo della testimonianza). Le posizioni ricoperte dai vari soggetti considerati all’interno di una certa indagine possono delinearsi in maniera differente, il soggetto potrebbe essere terzo rispetto ai fatti in quanto avrà semplicemente assistito all’evento, ovvero potrebbe essere terzo ma comunque coinvolto, o ancora su di lui possono concentrarsi sospetti e indizi che fanno di lui l’indagato. Le distinzioni fra le varie posizioni ricoperte dai soggetti nella struttura dell’indagine non si esauriscono solo nella prospettiva assunta dal soggetto concernente l’evento ma anche in merito alle qualità del soggetto stesso. Davanti a un minore le tecniche investigative non possono seguire, essenzialmente, le linee guida che altrimenti sarebbero poste in essere dagli operatori nei confronti di un soggetto adulto. Il minore è un soggetto in crescita, che non ha del tutto interiorizzato le norme socialmente condivise del conglomerato sociale di riferimento, al fronte della cosiddetta presunzione concernente l’incapacità l’uomo acquisisce la capacità di intendere e di volere in maniera graduale, capacità che è presupposto sia di consenso legittimo dato con coscienza e volontà, sia per quanto riguarda le informazioni che il soggetto minorenne rilascerà in sede di interrogatorio, pertanto il minore non sarà in grado di comprendere pienamente il significato delle azioni poste in essere né, eventualmente, di ciò che racconterà in merito a una certa vicenda che configuri un reato. Mettendo da parte il dato squisitamente normativo sulla fascia di età che individua il minore, sul piano psicologico le difficoltà aumentano, giacché un minore di anni 4 non potrà ricevere lo stesso trattamento rivolto a un minore di anni 13.
La suggestionabilità del minore
Prima di addentrarci nelle pratiche investigative dobbiamo fare alcune considerazioni in merito alla condizione particolare che vive il minore. In ambito forense, specialmente nei casi di abusi sessuali, la testimonianza del minore diventa essenziale, laddove il bambino non sia solo vittima dell’abuso ma anche unico testimone. Considerando che l’equilibrio psico-fisico del minore è già minato dalla violenza sessuale subita, gli interrogatori possono ulteriormente creare un conseguente trauma. Molto spesso, gli operatori preposti, si lasciano trasportare dal bisogno di ristabilire il diritto leso (che in molti casi potrebbe non esserlo) e sulla base di certi sospetti inducono il bambino a raccontare una verità distorta per poter procedere nei confronti dell’adulto. Molti studi sulla “suggestionabilità del minore” ci suggeriscono una forte propensione del minore a essere influenzato dagli adulti, giungendo perfino a raccontare eventi e situazioni che in realtà non sono mai accaduti. Uno studio realizzato nel 1991 da Rudy e Goodman negli States si pose l’obiettivo di studiare la suggestionabilità dei bambini e in particolare i loro racconti qualora avessero assistito a certi eventi realmente accaduti. I ricercatori suddivisero il campione in due gruppi, “gli osservatori” e i “partecipanti” a un certo tipo di evento. Due bimbi per volta, dei due gruppi differenti, venivano condotti in una roulotte dove incontravano un uomo sconosciuto che chiedeva al bambino-osservatore di guardare con attenzione, al bambino-partecipante mostrava alcuni giochi che duravano per circa 10 minuti. A distanza di dieci giorni i bambini venivano intervistati separatamente, pochi bambini rispondevano non so o non ricordo e i partecipanti si facevano suggestionare meno di quelli osservatori mentre i bambini di 4 anni erano molto più influenzati dall’adulto rispetto a quelli di 7. Altri autori giungevano alla conclusione che le risposte errate dei bambini presentavano l’esistenza di buchi nella loro memoria, che essi tentavano di coprire compiacendo lo sperimentatore, ossia accettando le opinioni che emergevano nelle cosiddette domande suggestive. L’informazione che veniva suggerita dall’adulto veniva interiorizzata dai bambini come se fosse parte del ricordo originario. Ergo la suggestionabilità dei bambini non veniva addebitata a errori di memoria ma piuttosto a fattori sociali come compiacere gli adulti. Ancora secondo lo psicologo Lipmann, i bambini non hanno meno memoria rispetto agli adulti ma ricordano cose diverse giacché prodigano attenzione ad alcuni elementi di una certa scena e ne tralasciano altri.
I bambini cedono con facilità alla suggestione se riportano determinate qualità, se:
– sono piccoli;
– sono interrogati a distanza di tempo;
– si sentono intimoriti dall’adulto;
– sono suggestionati da domande mal poste o volutamente viziate;
– la suggestione viene esercitata da persone affettivamente importanti o
comunque da persone alle quali il bambino ammira.
I bambini più piccoli sono più suggestionabili poiché avrebbero una traccia mnestica dell’evento più fragile rispetto ai più grandi, ergo più soggetti a intrusione di informazioni esterne. Bisogna precisare che la suggestione può anche essere alimentata da semplici rinforzi positivi (come premiare, elogiare, lodare il bambino) e/o negativi (punire, disapprovare, sgridare). Il più delle volte la causa concernente la suggestionabilità è imputabile alle domande che gli adulti pongono ossia le cosiddette domande suggestive che affermano più di quanto chiedano e conducono l’interrogato a rispondere in modo che si confermi il contenuto della domanda.
Esistono delle condizioni che rendono il soggetto più adatto alla suggestione:
- il testimone, se incerto e insicuro dei propri ricordi, invece di rispondere “non so” o “non ricordo”, tende a farsi guidare dall’interrogante;
- il testimone è sensibile all’autorità di chi lo interroga;
- il testimone, fidandosi di chi gli pone le domande, accetta i presupposti delle stesse;
- il testimone ritiene di dover soddisfare le aspettative di chi lo esamina (per buona educazione, timore…);
- il testimone cede alla pressione del contesto processuale lasciandosi suggestionare da domande inducenti;
- il testimone non desidera essere valutato negativamente;
- il testimone è la vittima del reato e sa che la sua testimonianza può essere decisiva per gli esiti del processo.
Oltre alle domande suggestive vi sono le domande ripetute che possono avere conseguenze sia positive che negative sull’attendibilità della testimonianza. Se da una parte la reiterazione della domanda aiuta a ricordare particolari tralasciati, dall’altra induce il bambino a credere che la prima risposta da lui fornita non sia quella corretta e lo porta a modificare la versione con dei dettagli che in realtà sono inesistenti.
Tecniche di interrogatorio sui minori
Come dicevamo poc’anzi il pericolo che la suggestione si dipani nel contesto dell’interrogatorio dei minori è estremamente concreta. I bambini non hanno ancora interiorizzato lo schema convenzionale che consente la rievocazione di eventi avvenuti nel passato e immagazzinati nella memoria pertanto tutto dipende da come le autorità preposte guidino l’interrogatorio. Per ridurre le possibilità di errore si raccomanda di adottare procedure che consentano di minimizzare l’inquinamento dei ricordi conservati nella memoria dei bambini per incrementare la possibilità di ottenere un ricordo corretto. Dapprima è bene partire da tecniche tranquillizzanti come discutere con il bambino di argomenti di interesse del minore (giochi, scuola, amici..); descrivere l’ambiente nuovo ove si trova il minore e cercando di soddisfare la curiosità del minore; descrivere la situazione penale del minore (chiaramente in maniera semplice) chiarendo i suoi diritti, i doveri e la posizione dell’interrogante; spiegare le positività in merito al racconto della verità e specificare che l’interlocutore non si pone in maniera contraria al minore. Altre tecniche riguardano invece i comportamenti tranquillizzanti come assumere un atteggiamento calmo, offrire qualcosa da bere o da mangiare, cercare di sdrammatizzare la situazione o porla come una forma di gioco (soprattutto se il bambino è molto piccolo), far partecipare chi accompagna il minore.
Il discorso concernente la testimonianza dei bambini non è tanto legato alla loro capacità di raccontare, piuttosto la capacità di individuare fraintendimenti che sono alla base del racconto e che solo l’esperto è in grado di focalizzare. Le domande guidate, di carattere generale, possono aumentare il numero di informazioni senza aumentare il rischio di errori.
Audizione protetta
La Cassazione ha precisato che le testimonianze dei minori sono fonte legittima di prova, pertanto la responsabilità dell’imputato può essere fondata anche sulle dichiarazioni dei minori, specie se queste siano avvalorate da circostanze tali da farle apparire meritevoli di fede (Cass. Sez.III, 8 Aprile 1958). I minori di anni 14, secondo la legge, non devono testimoniare sotto giuramento ma comunque possono essere ascoltati (ex art. 498 c.p.p). Per tutelare il minore, garantirgli una situazione ove egli stesso avverte protezione, è stato introdotto l’incidente probatorio protetto (audizione protetta), disciplinato dalla legge 269/98, impiegato principalmente per i reati di natura sessuale contro minori di anni 16 e in alcuni casi particolari anche minori di anni 18. L’ascolto del minore è effettuato dal giudice che può essere affiancato da un familiare o da un esperto in psicologia infantile che di norma conduce il colloquio. Per creare un clima che ponga il bambino in uno stato psicologico sereno è consigliabile svolgere l’audizione protetta in un luogo diverso dal tribunale ad es in strutture assistenziali ad hoc ovvero presso l’abitazione del minore. Sono previsti ulteriori meccanismi di protezione, quale l’uso di un vetro/specchio unidirezionale. Nella stanza con il minore ci sarà l’esperto in psicologia infantile e uno dei due giudici. Dall’altra parte del vetro/specchio, tutti gli altri componenti del collegio giudicante. I locali dovrebbero comunicare mediante un interfono che consenta di intervenire in tempo reale a garanzia del contraddittorio e dei diritti delle parti. Vi è l’obbligo di videoregistrare l’intervista, che può essere utile, successivamente, per l’analisi del linguaggio non verbale e la qualità dell’interrogatorio come l’eloquio del soggetto o ancora il tempo di latenza tra la domanda e la risposta.
Step-Wise-Interview
Una tecnica molto interessante e che gli psicologi giuridici considerano adatta a raggiungere risultati positivi è la step-wise-interview: questa tecnica fonde la conoscenza più aggiornata in tema di psicologia evolutiva con le tecniche di memoria che possono aiutare il minore a ricordare eventi passati. Gli obiettivi principali di questa tecnica sono
- Ridurre al minimo le audizioni
- Ridurre al minino la possibilità che si crei un trauma legato all’interrogatorio
- Minimizzare il rischio che l’interrogatorio possa inquinare il ricordo legato all’evento
- Massimizzare le quantità di ricordi corretti ottenibili dal bambino
- Garantire e poter dimostrare l’integrità e la correttezza del processo investigativo
Questa tecnica è composta da diverse fasi. In primis l’intervistatore identifica se stesso e il suo ruolo. Successivamente si costruisce il rapporto cercando di creare una situazione ove il bambino si senta tranquillo e a suo agio chiedendo cose che non siano collegate all’evento per il quale il minore è chiamato a testimoniare, ma domande di carattere generale sulla scuola, sugli amici ecc. In questo modo si verificano capacità linguistiche e mnemoniche, richiedendo, inoltre, al bambino di descrivere due eventi “neutri” del passato come un compleanno o una gita e confrontando la modalità di rievocazione dell’evento neutro con quello per il quale il bambino è chiamato a testimoniare. Cercare di carpire la differenza tra verità e bugia/fantasia e realtà, specialmente se il bambino è piccolo. Successivamente si passa al racconto libero chiedendo al minore di spiegare cosa ricorda in merito all’accaduto e qui non bisogna interrompere la narrazione del minore. Successivamente si inizia con le domande aperte che dovranno partire sempre dalle informazioni fornite dal minore nella fase del racconto libero. Le domande a risposta chiuso sono da evitare e non bisogna mai fare riferimento a informazioni ottenute da altre fonti. Lo step successivo sono i chiarimenti, cercare di appianare incoerenze nelle affermazioni del bambino; indagare sulle conoscenze del bambino in materia sessuale (usare bambole anatomiche o disegni soprattutto per i bambini più piccoli). Nella fase conclusiva si ringrazia il minore per la sua collaborazione, si chiede al bambino se ha delle domande e si spiega cosa succederà in seguito all’intervista.
Regole opzionali da comunicare al bambino (da usare con precauzione in bambini sotto i 6 anni):
1 “Se interpreto male qualcosa che hai detto, dimmelo. Voglio capire bene”
2 “Se non capisci qualcosa che ho detto dimmelo e cercherò di spiegarmi meglio”
3 “Se in qualunque momento ti senti male, dimmelo o fammi segno di fermarmi”
4 “Anche se pensi che io sappia già una cosa, dimmela comunque”
5 “Se non sei sicuro della risposta, non tirare a indovinare, ma dimmi che non sei sicuro prima di rispondere”
6 “Quando descrivi qualcosa, ricordati che io non c’ero”
7 “Ricorda che io non mi arrabbierò e non sarò dispiaciuto per quello che mi dirai”
8 “Parla soltanto di cose che sono davvero successe”
Errori da evitare-Cosa non bisogna fare
- Reiterare durante lo stesso colloquio le stesse domande, giacchè la reiterazione induce il bambino a cambiare risposta data precedentemente rendendo difficile l’attendibilità delle dichiarazioni.
- Svolgere interrogatori posti in essere da intervistatori differenti, persone diverse poggino le loro convinzioni su informazioni ricevute dai precedenti intervistatori e induce il bambino, con domande che si ritengono fuorvianti, a confermare le sue stesse convinzioni
- Prolungare il colloquio oltre la soglia di attenzione e concentrazione del minore
- L’impiego di un linguaggio troppo formale che rende la comunicazione col minore maggiormente difficile
- Frasi che contengono doppia negazione come “quindi con papà, che non c’è mai, tu non giochi?”
- Mettere fretta
- Riportare al bambino la descrizione dell’evento raccontata da altri soggetti
- Dislocare la colpa sul bambino per non aver raccontato prima l’accaduto
- Mostrare emozioni durante il colloquio (come disgusto, pena)
- Fingere di credere a tutto ciò che il bambino racconta anche se vi siano delle contraddizioni di fondo
- Fare promesse rispetto alla conclusione della vicenda
- Connotare le affermazioni con aggettivi positivi e negativi (quando faceva le cose brutte si spogliava papà?)
- Comprare la collaborazione del bambino, sostenendo che se collabora c’è un regalo.
Intervista cognitiva
Il metodo validato dal punto di vista sperimentale, nasce per interrogatori posti in essere nei confronti di adulti testimoni o vittime di reato e solo in seguito viene applicato anche ai casi in cui vengono coinvolti minori. Si avvale dell’uso di tecniche orientate a favorire il recupero o la rievocazione di episodi e di dettagli dell’evento. Si basa su alcuni presupposti di teoria psicologica concernente la memoria. La traccia della memoria può essere recuperata in misura che è direttamente proporzionale: laddove si è in possesso di più indizi che concorrono al recupero dell’informazione e maggiore sarà la possibilità di recupero dell’informazione stessa. Se l’informazione risulta difficilmente recuperabile attraverso un particolare indizio, si può provare ad attivarla attraverso un suggerimento differente che si traduce in sorta di guida da parte dell’interrogante. L’intervista cognitiva segue il principio della specificità di codifica che prevede che le informazioni diventino più accessibili se il contesto e il vissuto che si vive al momento della rievocazione somiglia a quello originale, pertanto viene messa in atto una strategia volta a ricostruire il contesto facendo in modo che il testimone si metta mentalmente nella situazione da rievocare.
Prima fase (familiarizzazione)
Nella fase iniziale bisogna creare un’atmosfera rilassata e stabilire un rapporto amichevole con il bambino. Un rapporto familiare. Successivamente è necessario spiegare lo scopo dell’intervista e rassicurare il minore, ponendo domande in merito al perché si trovi in questa situazione.
Seconda fase (racconto libero)
In questa fase l’intervistatore deve cercare di ricreare il contesto dell’evento, guidando il bambino all’interno del ricordo. Le domande da porre sono in merito alla descrizione dell’ambiente, gli odori, i colori, i suoni, gli oggetti presenti e le sensazioni provate. Successivamente si lascia libero il bambino di raccontare quanto ricorda, chiedendogli di riportare i particolari. L’unico intervento permesso è quello di incoraggiarlo laddove via sia un blocco nel racconto.
Terza fase (interrogatorio)
La terza fase è la fase in cui l’intervistatore assume un ruolo attivo. Inizierà a porre domande ma consegnando al bambino alcune spiegazioni di merito: nel momento in cui non capisce di chiedere informazioni, che gli è permesso dire “non so, non ricordo”, di rispondere solo su ciò che ricorda e non di inventare nulla. Informarlo che alcune domande potrebbero venir poste più volte, ma questo non significa che la sua riposta sia sbagliata. Cercare di attivare immagini mentali specifiche (come il viso, i vestiti ecc), suggerire di chiudere gli occhi e rivivere quell’immagine come se fosse davanti gli occhi.
Quarta fase (fase del racconto con diverse modalità)
In questa fase si riprende nuovamente il racconto ma cercando di cambiare prospettiva (“fa finta ora di essere un’altra persona presente al fatto che è avvenuto e dimmi cosa ha visto questa persona”), partire da un ordine cronologico diverso, chiedere di raccontare dalla fine all’inizio. (anche se questa modalità è sconsigliata per i bambini al di sotto degli 8 anni.
Quinta fase (fase chiusura)
Nell’ultima fase si saluta il bambino con estrema serenità, senza assumere giudizi e lo si ringrazia.
E’ importante che il professionista, durante queste indagini, deve essere in grado di considerare se stesso come facente parte del processo di valutazione e lo conduca a sollevare la sua autocoscienza che lo renda consapevole della propria influenza nello sviluppo dell’indagine di merito.
Bibliografia
Guglielmo Gulotta and Daniela Ercolin La suggestionabilità dei bambini: uno studio empirico Rivista Psicologia e Giustizia Anno 5, numero 1, Gennaio – Giugno 2004
Domenico G.Bozza Le tecniche di interrogatorio
Barbara De Marchi Neuroscienze cliniche: L’ascolto del minore

Deborah Bottino Criminologa AICIS