APPROFONDIMENTO
di Angelo Alabiso e Lucia Iannilli*
La pedofilia è un fenomeno che da sempre suscita preoccupazione, sgomento ed evoca in noi una serie di sensazioni spiacevoli. Nonostante questo, c’è ancora molta noncuranza e superficialità da parte della collettività, convinta che questo sia un problema di competenza esclusiva delle forze dell’ordine, degli psicologi e di figure esterne all’individuo stesso.
La percezione della minaccia come “lontana” genera un sentimento di distacco, di fittizia protezione, di “immunità” all’evento e questo fa sì che il livello di “allerta” si abbassi, al contrario di quanto accadrebbe qualora la si avvertisse vicina e concreta. In questo senso, per poter sperare in una maggiore consapevolezza e collaborazione da parte della comunità, è necessario partire dall’analizzare, seppur sommariamente, l’argomento dalla sua origine.
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Cos’è la pedofilia?
La pedofilia può essere considerata un vero e proprio disturbo sessuale classificabile all’interno della categoria delle parafilie, quell’ampio universo di impulsi, fantasie, comportamenti sessualmente eccitanti e anche violenti volti nei confronti di un oggetto, un’attività, uno specifico soggetto o una situazione inusuale. Nel caso specifico di un “Children predator” (predatore di bambini), la fantasia e l’impulso erotico ruotano attorno ai più piccoli, solitamente di età uguale o inferiore ai 13 anni.
Le vittime, di qualunque estrazione sociale, razza o cultura, sono quindi esposte ad un grande pericolo, atto a sfruttare la vulnerabilità intrinseca della giovane età. Difatti, le tecniche utilizzate dai predatori sono meticolosamente scelte e spesso rappresentano un misto tra promesse, giochi, premi, competizioni all’interno di un gruppo, minacce, di qualunque tipo, qualora si rendesse necessario far desistere la vittima dal ribellarsi o denunciare l’accaduto.
Le “prede” non hanno una precisa e oggettiva classificazione, ma la tendenza è rappresentata da bambini più fragili, vulnerabili e facilmente disponibili (caratteristiche non sempre visibili, ma molto spesso mascherate da atteggiamenti del tutto contrari). In altri casi invece, l’impulso e la fantasia possono essere elicitate da una peculiarità fisica, caratteriale o comportamentale, che attrae il predatore.
Da un punto di vista investigativo, infatti, soprattutto quando ci si trova davanti ad una scena del crimine, comprendere e analizzare le abitudini, le particolarità, le caratteristiche della vittima, è di grande importanza per tracciare, in particolar modo nel caso di omicidi seriali, un probabile profilo del pedofilo e cercare di arrivare al perché di una scelta specifica (fixation decision).
Sulla base di diversi studi, è possibile fare una distinzione tra due principali tipologie di pedofili:
- Pedofilo sadico: trae piacere dal rapporto con il bambino, mediante la violenza fisica o psicologica;
- Pedofilo ludico: utilizza un approccio meno violento e più volto a trasformare l’aspetto sessuale in un gioco.
Ripartizione quest’ultima, che però non esclude la possibilità di evidenziare in uno stesso soggetto le caratteristiche di entrambi i profili.
Da un punto di vista criminologico e investigativo, è possibile invece fare una differenza più sostanziale tra il “Child molester situazionale” e il “Child molester preferenziale”. Se, nel primo caso, l’attore in questione non ha una vera propria attrazione per i bambini, ma abusa di loro una o più volte a causa di particolari problemi dovuti per esempio all’alcool, a un lutto, a problemi economici, a un principio di ribellione o per insicurezza, nel secondo vi è una chiara preferenza per i più piccoli, con un “craving” (desiderio, bramosia) sempre alto anche in termini di continui rischi da correre per trovare il profilo ritenuto adatto. Solitamente è più quest’ultima tipologia di pedofilo ad essere meticolosa e attenta ai propri sforzi, movimenti o piani di rapimento.
Cosa accade nella testa di un pedofilo
Perché la scelta dei bambini? Non c’è ad oggi una risposta precisa corroborata da elementi certi che permettano di determinare uno schema oggettivo e universale. Le ragioni possono essere diverse, da un disturbo psicosessuale, a problemi di impotenza, ad uno comportamentale che ruota attorno al sentimento di inadeguatezza nei confronti del proprio partner o di un individuo adulto, in cui per esempio l’idea di confrontarsi con persone più grandi, anche dal punto di vista sessuale, provocherebbe un carico ansiogeno rilevante, inaccettabile soprattutto in termini di un possibile giudizio o rifiuto. Forse proprio per questo motivo la scelta ricadrebbe sui più piccoli: vittime su cui è possibile esercitare un controllo e uno sfogo delle proprie pulsioni in modo più libero da carichi mentali eccessivi. La sessualizzazione del rapporto, con tutte le sfaccettature ludiche o violente sopraesposte, fortificherebbe il pedofilo, ora padrone della situazione e della vittima: è proprio questo senso di potere ad alimentare ancora di più le sue fantasie.
Luciano Di Gregorio (psicoterapeuta e autore del libro “La voglia oscura. Pedofilia e abuso sessuale”) sostiene che alla base della pedofilia risiederebbe un trauma manifestato in età precoce (esempio abuso/ maltrattamento da parte dei genitori) che predisporrebbe verso quella che è una perversione sessuale insaziabile, orientata verso le giovani età. Nello specifico, spiega l’autore, si tratta di traumi pervasivi e ripetuti caratterizzati dal dominio e controllo psicologico della personalità. Secondo questa tesi, il “child molester” dopo un primo approccio affettuoso verso la propria vittima, si identificherebbe nell’aggressore di cui lui stesso è stato vittima, attuando, di conseguenza, un “modus operandi” similare: distaccato, attento, atto ad usare la manipolazione, l’umiliazione, il dominio, la prevaricazione, ma con una certa parsimonia.
Secondo altri studi, sono stati riscontrati invece dei deficit a livello del lobo frontale e delle anomalie all’amigdala e all’ipotalamo, ma la casistica è così bassa da non poter generare una apprezzabile correlazione tra pedofilia e danno organico.
Da un punto di vista cognitivo, invece, non è raro individuare predatori pedofili che giustifichino le loro perversioni adducendo problemi familiari, lavorativi, sociali o, addirittura, attribuendo la causa proprio al bambino e al suo modo di essere o di fare. Il pedofilo risulta spesso convinto della liceità delle sue inclinazioni sessuali e dei suoi desideri più profondi e, di conseguenza, si oppone ad una società ingiusta, sbagliata ed eticamente scorretta, che gli impedisce di godere a pieno del bambino e a quest’ultimo di provare l’amore donato dall’adulto.
Non si tratta di raptus nella maggior parte dei casi, spesso vi è un piano o almeno una serie di consapevoli strategie da usare nel caso in cui la situazione dovesse essere favorevole allo stupro o al rapimento. Dal punto di vista dei meccanismi di difesa, i principali utili a ridurre l’ansia, l’empatia e sensi di colpa, al di fuori degli aspetti più psicopatologici, sono i seguenti:
- Razionalizzazione: tentativo di “giustificare”, attraverso comportamenti specifici, ragionamenti o anche argomenti un fatto o un aspetto relazionale che il soggetto ha trovato angoscioso. In altro modo, è possibile definire la razionalizzazione come quel costruire attribuzioni, ipotesi o ragioni esplicative “di comodo”, per poter contenere e gestire l’angoscia, i sensi di colpa o la paura (esempio: “non ho fatto nulla di male, era una cosa che volevano anche loro”).
- Proiezione: meccanismo per il quale il soggetto riesce a spostare sentimenti e caratteristiche proprie su altri soggetti o oggetti (esempio: “loro mi hanno provocato!”).
- Sublimazione: la semplice trasformazione di pulsioni sessuali o aggressive, socialmente poco accettate, in concetti o comportamenti più accettabili dalla società (ho donato loro amore!).
- Regressione: meccanismo per il quale il soggetto ritorna ad uno stadio precedente dello sviluppo (anche di tipo infantile), anche in risposta ad una frustrazione della soddisfazione libidica, per non accettare tutta una serie di responsabilità che il mondo adulto solitamente spinge ad assumere (esempio: “tra bambini ci capivamo”).
Si tende a credere che queste azioni siano portate avanti da individui estranei alla propria cerchia di conoscenze, ma non è così, anzi, studi dimostrano come a perpetrare questi crimini siano soprattutto persone appartenenti sfera famigliare e amicale. Ciò, tuttavia, non deve generare allarmismo psicotico, ma un incentivo a voler acquisire maggiore consapevolezza tramite una più attenta e indirizzata osservazione degli eventi.
A tal proposito occorre fare una distinzione tra un “sex offender” che ha un ruolo privilegiato per poter iniziare un rapporto con la vittima (familiare, insegnanti, babysitter, istruttori, etc…) e quello che si ritrova invece ad approcciarsi per le prime volte senza nessun tipo di preconoscenza o contatto. Come è facile intuire, la distinzione principale ricadrebbe proprio nella fase di ricerca e di approccio, per la quale il secondo ha bisogno di una ricerca più meticolosa per trovare la vittima ideale.
Un pedofilo, soprattutto di tipo preferenziale, è in grado di individuare la vittima più fragile da manipolare, di selezionare quella appartenente alla famiglia più problematica o disgregata, di immedesimarsi nella situazione in maniera ottimale, presentandosi come buon genitore o amico di cui fidarsi. La sua tecnica si affina con l’esperienza, fino a farlo diventare un vero e proprio esperto di seduzione.
Pedofilia e web
Dovrebbe essere ormai superfluo rimarcare che, ad oggi, il mezzo più utilizzato per l’adescamento è proprio il web. Con una tecnologia social a portata di tutti, è molto più facile apprendere informazioni (quali nomi dei componenti della famiglia, la presenza di eventuali animali domestici, professione dei genitori, nonché passioni, cibi o giochi preferiti della ipotetica vittima) grazie alle quali elaborare strategie atte a convincere la potenziale vittima a relazionarsi con un lontano parente o un amico storico di famiglia. Internet si ritrova ad assumere così la funzione di una “vetrina” utile per scegliere e adescare (tramite chat dei principali social network, piattaforme di giochi online),premendo sui principali tasti emotivi e caratteriali dei giovani (curiosità sessuale, presenzialismo, voglia di trasgredire le regole, narcisismo, etc…) e con lo scopo di costruire legami pseudo-affettivi, preparando così il terreno verso le prime richieste di immagini e azioni sessuali virtuali, sino ad arrivare ad incontri reali.
In altre parole, non è raro che lo stesso “child predator” si vesta da ragazzino e che, grazie a un linguaggio ammaliante e all’utilizzo delle informazioni rinvenute (chiamate in gergo “spinte”) o ottenute dal ragazzino/a stesso/a, riesca ad ottenerne la sua fiducia, in modo da spingersi verso richieste di contenuti multimediali più “intimi”. Quest’ultimi, come si può intuire, oltre che incrementare le sue pulsioni e fantasie sessuali, assumono una rilevanza importantissima per il predatore in termini di ricatti e minacce nei confronti della vittima stessa.
L’isolamento dovuto alla recente pandemia ha incrementato inevitabilmente l’utilizzo della rete come mezzo di “fuga” e in qualche modo, di “salvezza” grazie al quale poter mantenere contatti con il mondo esterno; di contro però ha facilitato questo tipo di reato.
Gli approcci ad oggi principalmente utilizzati dai pedofili dovrebbero far riflettere ancor di più sulle azioni che consapevolmente o meno, attuiamo nella vita di tutti i giorni: post incredibilmente dettagliati su profili social, adesivi dietro il lunotto posteriore delle proprie auto con i nomi dell’intera famiglia, poco controllo dei mezzi di comunicazione dei propri figli e la quasi totale perdita del dialogo.
L’iconica frase “non accettare caramelle dagli sconosciuti” dovrebbe essere sostituita o meglio, espletata, da un dialogo molto più proficuo volto a infondere al bambino un maggiore spirito critico dinnanzi a certe situazioni, nonché sviluppare un solido senso del limite (evitando così la possibilità di imbattersi in avvenimenti spiacevoli come quello del revenge porn).
C’è da dire che non tutti i pedofili entrano in contatto fisico con la vittima; tuttavia, un rapporto virtuale prolungato può aumentare le probabilità di un’azione nella vita reale. È innegabile che il perpetrarsi di questa tipologia di reati online sia sempre più diffuso e metodologicamente avanzato. Nascondersi dietro una tastiera può essere un valido motivo anche per mascherare più facilmente la propria identità e valutare con calma la vittima, per non parlare dell’anonimato fornito dal dark web, che “protegge” reati e figure connesse al mondo della pedopornografia e non solo. Certo è che non tutti sono in grado di avventurarsi nel web sommerso, difatti sono richieste conoscenze informatiche superiori alla media che dimostrerebbero anche un’istruzione elevata e non trascurabile dal punto di vista investigativo e di sottovalutazione della minaccia.
In un’epoca caratterizzata dall’esibizionismo, dall’immagine istantanea e dal protagonismo adolescenziale, spiegare ai propri figli quanto possano essere dannose alcune azioni all’apparenza innocue, come postare o inviare foto, soprattutto se intime e se è presente un segno distintivo della persona (viso, tatuaggio, cicatrice) oppure intraprendere una conversazione con uno sconosciuto, può prevenire episodi traumatici e pericolosi. Sarebbe utile, per i più piccoli, far uso dello strumento educativo del gioco per insegnare loro a non fidarsi degli sconosciuti e delle loro lusinghe.
Far fronte a questo problema si può
Per quanto riguarda i siti pedopornografici, alcuni reparti della polizia in collaborazione con l’Interpol e l’Europol, definiscono continuamente una “black list” dei siti più pericolosi, da fornire agli “Internet Service Provider”, affinché ne venga inibita la navigazione mediante complesse attività di filtraggio.
“Stop.it” è invece un servizio che permette agli utenti di segnalare in forma anonima, mediante internet, la presenza sul web di materiale pedopornografico. Non si dimentichi l’importanza di tale gesto: dietro ogni download si nasconde un nuovo processo di vittimizzazione.
Sui più piccoli sarebbe inoltre utile usare il “Parental control”: esso prevede dei filtri o delle limitazioni utili ad escludere la consultazione o l’utilizzo di siti o social pericolosi. Non come in questo caso è utile ricordare che non esiste uno scudo protettivo al cento per cento, il ruolo del genitore come educatore è fondamentale.
Infine, per quanto riguarda le strategie di contrasto al fenomeno attraverso un approccio più fisico, molto utile è il “Signal for help”: un gesto della mano per chiedere aiuto, in sicurezza, a qualcuno quando si è in compagnia di un soggetto che è solito praticare della violenza domestica. Quel pollice della mano piegato e le quattro dita in alto chiuse a modo di pugno (alternando il movimento) possono, anche nel caso di un bambino minacciato e rapito da un pedofilo, essere fondamentali per chiedere aiuto senza rischiare la propria vita. Ovviamente, anche in questo caso, la conoscenza del significato di un simile gesto è fondamentale, soprattutto se si vuole usufruire della potenza “dell’osservazione collettiva” contro la violenza e l’abuso. Purtroppo, la divulgazione di queste informazioni risulta ancora insufficiente.
Un altro gesto molto utile, e noto oggi soprattutto a seguito di alcuni fatti di cronaca, è quello di richiedere in farmacia una “mascherina 1522”: questa semplice frase è in realtà una richiesta di aiuto in codice volta a denunciare casi di violenza domestica o sessuale.
Le vittime
Nonostante si stiano mettendo in atto diversi metodi per facilitare la richiesta di aiuto, è ancora alto il numero delle vittime che tendono a mantenere nascosto quando subiscono o hanno subito violenza.
A tal proposito, diverse potrebbero essere le motivazioni e ruotano attorno a concetti variegati: paura, vergogna, timidezza, confusione, ulteriori ripercussioni anche da parte dei propri cari, il non venire compresi o, nel peggiore dei casi, creduti.
Per quanto riguarda le conseguenze psicologiche di simili gesti di abuso sulle vittime è possibile, anche in questo caso, citarne svariate: disturbo dissociativo, depressione, ansia, panico, disturbo post traumatico da stress, abusi di sostanze, propensione al suicidio e, in una non troppo bassa percentuale, diventare loro stessi carnefici. A ogni modo, non è così insolito che la vittima abbia bisogno di anni prima di essere consapevole dell’atto subito e del trauma che si nasconde dietro a tutto ciò.
Come si è visto, la tematica trattata in questo articolo non è per nulla semplice, di conseguenza anche il poter individuare un pedofilo dal suo modo di agire o di pensare risulta essere pressoché improbabile. In diversi casi i soggetti vivevano da soli o con la propria madre, in altri possedevano case molto appariscenti (come a voler rievocare un lunapark), mentre altri ancora erano soliti recarsi nei parchi giochi per fotografare bambini e poi utilizzare quelle fotografie per fomentare fantasie e pulsioni. Molte volte, a differenza di quello che si può pensare, siamo difronte a persone con titoli di studio elevati, lavoratori, persone distinte, facilmente mimetizzate tra i soggetti insospettabili.
Certo è che trovare tante fotografie di bambini non direttamente collegabili al soggetto, senza giustificato motivo, può essere un buon segnale d’allarme.
Considerazioni finali: risveglio di una coscienza collettiva
Riassumendo, per cercare di contrastare questo fenomeno, oltre a contare sulla deterrenza della legge e l’intervento essenziale delle forze di polizia, occorre svolgere delle campagne di sensibilizzazione più proficue e soprattutto rivolte ai giovani (in accordo alla loro maturità, fascia di età, con gradualità e fuoriuscendo dalla nuvola del tabù nel quale tentiamo di nascondere il peso della tematica in questione). Lì dove il controllo sfugge alla sfera intra/perifamigliare, la scuola, soprattutto in simili circostanze, gioca un ruolo ancora più importante e si potrebbe pensare di inserire simili tematiche, gradualmente e con il giusto tatto, all’interno di un programma scolastico di educazione sessuale.
Si potrebbe ipotizzare inoltre di avviare progetti strutturati che vadano anche al di fuori degli istituti scolastici o convegni e che si muovano sui mezzi di diffusione più consultati dai giovani di età a rischio (forum online, social).
I bambini e i ragazzi necessitano di essere istruiti dal principio in termini di possibili minacce, rischi e soluzioni.
Far passare la tecnologia come un mostro da temere è però un approccio errato; molto più produttivo sarebbe guidare i giovani nell’utilizzo sicuro e consapevole di tutte quelle applicazioni che fanno parte ormai della loro quotidianità, a partire dalle più conosciute quali TikTok, Whatsapp, Telegram, Fortnite (gioco online), fino ad arrivare a quelle meno “famose” quali ThisCrush, Tellonym, F3, Yolo, Omegle, Azar, etc., ma potenzialmente più dannose proprio perché (se non in sporadici casi di ricerche o se si sta costantemente al passo dello sviluppo tecnologico e delle sue forme) sono difficilmente conosciute da soggetti adulti, che dovrebbero rappresentare la prima “forza in campo” per tutelare, seguire, proteggere i più giovani (a tal proposito si consiglia la lettura dell’articolo al seguente link: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/le-app-amate-dagli-adolescenti-e-che-gli-adulti-non-conoscono/).
La conoscenza e la consapevolezza continuano ad essere e saranno sempre le prime barriere contro questo tipo di reati.
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GLI AUTORI
* Angelo Alabiso, Criminologo e Cyber Security Analyst
*Lucia Iannilli, Ricercatrice in ambiti affini alla Criminologia, Criminalistica e all’Investigazione
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Bibliografia:
- https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/1079063220965953
- https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1375/pplt.2002.9.1.79
- https://www.commissariatodips.it/approfondimenti/pedofilia-online/adescamento-online/index.html
- http://magazine.familyhealth.it/2020/05/18/figli-iperconnessi-aumento-rischio-adescamento-online-cosa-attenzione/
- Luciano Di Gregorio, “La voglia oscura. Pedofilia e abuso sessuale” Giunti editore, 2016.
- https://profilicriminali.it/2018/11/21/pedofilia/
- Gianmarco Cifaldi, “Pedofilia tra devianza e criminalità”, Giuffrè, 2004
- Gianandrea Serafin, “Il profilo criminologico del pedofilo, O.N.A.P, 2010.
AICIS