(AICIS)  Ha offeso i poliziotti locali su Facebook e ora deve versare loro 15 mila euro a titolo di risarcimento del danno.  E’ il ristoro economico riconosciuto dal giudice del Tribunale di Vicenza (sentenza n. 1673 del 5 ottobre 2020, pubblicata il 15 ottobre 2020). Risarcimento che – secondo quanto scritto in sentenza – non può essere solo simbolico visto che le offese a mezzo social network recano alla vittima sofferenze morali che meritano una giusta tutela. Inoltre, la sofferenza morale arrecata dalle offese veicolate dai social network è implicita nel mezzo usato che consente una comunicazione capillare. Nel caso della diffamazione aggravata commessa a mezzo social network il danno non patrimoniale non necessita di una prova rigorosa ma può essere anche presunto. E’ ormai palese che l’utilizzo della rete internet sia veicolo di opinione, molto veloce, capillare e generalizzato. Quindi la scelta di offendere tramite social network non può essere considerata casuale, ma è voluta dall’autore per avere la massima diffusione possibile e «colpire la vittima nel modo più vasto possibile».

Un deciso monito per i “leoni da tastiera” convinti che, al riparo dei monitor di proprio computer, si possa scrivere impunemente di tutto. Compreso – come ha fatto nel caso di specie il vicentino in questione – contestare in maniera triviale il verbale ricevuto dalla sua ragazza, non limitandosi a palesare le proprie lamentele, ma pubblicando il verbale stesso e definendo «pezzenti, alcolizzati e tossici» i due agenti che avevano elevato la multa, augurandosi la morte dei loro figli. Il tutto con un post pubblico e non a visibilità ristretta alla propria cerchia di amici: elemento tenuto in debita considerazione dal giudice nella valutazione del fatto. Il comandante della polizia locale e l’agente hanno sporto una querela per diffamazione aggravata. L’agente ha poi agito anche in sede civile per ottenere il risarcimento dei danni morali, dopo aver acquisito la pagina Facebook tramite perizia informatica, in modo da dare data certa e autenticità allo screenshot allegato. In questo modo, anche se l’autore del post lo avesse rimosso, sarebbe rimasta agli atti la prova del fatto. Cosa che l’autore non ha fatto, anzi lo ha mantenuto nonostante la richiesta di rimozione avanzata della persona offesa, il che ha rafforzato la prova della sua volontà lesiva, così da incrementare l’entità del danno accertato.

Il ristoro economico – secondo il giudice- deve tenere conto delle conseguenze negative nella sfera morale, professionale e relazionale della vittima. D’altronde secondo una consolidata della giurisprudenza di legittimità le offese postate a mezzo social network sono dirette a una pluralità indistinta di persone e per questo hanno un impatto mediatico molto amplificato.

AICIS