Niente da fare: sulla scena c’era Dna femminile ma i reperti non sono sufficienti per attribuirlo con certezza a qualcuno. E’ questa la conclusione a cui è pervenuto il genetista Emiliano Giardina incaricato di indagare sul cold case di Nada Cella, la segretaria massacrata nel maggio 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco dove lavorava.

Il risultato non è del tutto nuovo, essendo già emerso nel 2010 quando il caso venne riaperto. Allora venne rilevato un reperto da cui venne estratto il Dna, ma la manipolazione aveva degradato i campioni rendendo difficile il confronto.    La procura dovrà adesso decidere come procedere. Due le possibilità: chiedere l’archiviazione del caso o il rinvio a giudizio di una ex insegnante sulla quale si sono concentrate le indagini due anni fa dopo la riapertura del caso. A dare nuovo impulso all’indagine era stata la mamma di Nada.

L’ipotesi è che ex insegnante abbia ucciso la segretaria, per gelosia: lei era innamorata di Soracco, voleva prendere il posto di Nada nello studio del professionista. In casa sua erano stati trovati cinque bottoni simili a quello trovato sotto il corpo di Nada. Una testimone l’aveva vista andare via con il suo motorino la mattina del delitto dalla strada dell’ufficio di Soracco. La procura all’epoca aveva archiviato la sua posizione dopo due settimane.

IL CASO

Nada Cella, 24 anni, la mattina di lunedì 6 maggio 1996 si trovava sola nello studio di via Marsala a Chiavari a Genova, dove era impiegata come segretaria presso lo studio di un commercialista, Marco Soracco. Poco dopo le 9 il principale, entrato nell’ufficio, la trovò distesa a terra in un lago di sangue. Presentava ferite in varie parti del corpo ed aveva il cranio fracassato. Trasportata d’urgenza all’ospedale sopravvisse. Sul luogo del delitto non furono trovati. Tutto era in ordine, non ci c’erano né orme né impronte, non si trovò nemmeno l’arma del delitto. Nello stabile nessuno aveva sentito grida o rumori sospetti, né notato la presenza di estranei. Secondo le dichiarazioni, inizialmente le persone che sono intervenute ad aiutare la ragazza, ossia il commercialista con sua madre e sua zia, che vivevano nell’appartamento soprastante l’ufficio, avevano pensato a una disgrazia. Durante i primi soccorsi, dunque, la scena del crimine fu alterata: la stessa madre di Soracco disse di aver pulito alcune macchie di sangue sulle scale. Tutto era stato toccato e spostato ed ogni possibile prova inquinata. Le indagini, si orientarono subito in due direzioni: l’ambiente e il passato della vittima da una parte, e l’audizione del teste principale, Soracco, dall’altra.

LA VITTIMA

Nada era stata descritta, da chi la conosceva, come una ragazza molto tranquilla, riservata ed abitudinaria. Gli inquirenti però si soffermarono su una circostanza: lei solitamente trascorreva il week-end con la famiglia fuori città, ad Alpepiana di Rezzoaglio (Genova), però il fine settimana precedente l’omicidio aveva deciso di rimanere a Chiavari. Dalla ricostruzione della giornata di sabato 4 maggio si scoprì che la giovane durante la mattinata aveva sbrigato alcune commissioni, si era vista con la madre e aveva detto alla cugina di essere stata in un’agenzia di viaggi (fatto sul quale però gli inquirenti non trovarono nessuna conferma), ma soprattutto, passaò dall’ufficio perché doveva fare alcune telefonate urgenti e importanti operazioni al computer. A testimoniare in proposito fu la madre di Marco Soracco, che l’aveva incontrata. Non era mai successo, in cinque anni, che la ragazza sbrigasse del lavoro durante il week-end.

IL COMMERCIALISTA

Marco Soracco, fu stato sottoposto a un lungo interrogatorio da parte degli inquirenti e dichiarò che quelle telefonate e quell’operazione non erano assolutamente necessarie; non c’era dunque apparentemente alcuna ragione per la quale Nada passasse la mattina di sabato in ufficio. Per parte sua la signora Soracco riferì che Nada, sempre quel sabato, fosse andata via dopo aver messo un floppy disk appena estratto dal computer nella sua borsa. Ma nessuno, Marco Soracco compreso, fu in grado di dire di quale dischetto si trattasse e che cosa contenesse.

IL GIORNO DELL’OMICIDIO

La mattina dell’omicidio la giovane, che abitualmente arrivava in ufficio intorno alle 9, era uscita di casa assai prima del solito. Si era offerta di accompagnare in auto la madre al lavoro, perché era in ritardo. Poi, tornata a casa, aveva preso la sua bicicletta rossa e, poco prima delle 8, aveva raggiunto a via Marsala lo studio del commercialista. Da quel momento in poi non è possibile dire cosa sia successo. Nessuno l’ha vista entrare, oppure udito dei rumori tra le 8:51, quando ha mandato in stampa un documento, e le 9:11, quando è sceso il suo datore di lavoro. Solo l’inquilina del piano di sotto affermò di aver sentito sbattere la porta di ingresso dello studio qualche minuto dopo le 9. Il delitto di Nada Cella rimane ancora insoluto.