(AICIS) Prima di mandare in archivio il fascicolo col definitivo timbro “suicidio” sul frontespizio, occorrono ancora diversi approfondimenti investigativi sulla morte dell’Agente della Polizia Penitenziaria Susy Trovato Mazza. La giovane poliziotta fu trovata il 1° novembre 2016 in condizioni gravissime accasciata in un ascensore dell’ospedale Civile di Venezia e morì nel 2019 dopo oltre due anni di coma.

Gli elementi raccolti deporrebbero per il suicidio, ma il GIP di Venezia prima di disporre l’archiviazione vuole vederci chiaro, considerate soprattutto le obiezioni della famiglia e del suo consulente Luciano Garofano, ex generale dei carabinieri, secondo cui non è possibile che Sissy si sia sparata da sola: in quel caso, infatti, ci dovrebbero essere delle tracce di sangue cosiddette “da retroproiezione” su maniche, braccio e pistola, che invece non ci sono. 

Già nell’ottobre del 2019 i familiari avevano avanzato ben ventuno richieste investigative, diverse delle quali accolte dal giudice per le indagini preliminari: la lista delle celle al quale era agganciato il cellulare, il dna sull’arma, il computer inattivo, l’assenza di sangue sulla parte finale della canna della pistola, quelle denunce per il presunto traffico di stupefacenti all’interno del carcere.

Dai riscontri della Procura sull’arma di Sissy c’era solo il suo dna, e il “posizionamento e l’unicità” delle tracce di sangue potrebbero derivare anche da un imbrattamento nelle fasi successive all’evento, ma il gip ha chiesto al pubblico ministero per la seconda volta di approfondire ulteriormente alcuni aspetti. Di nuovo l’analisi delle celle telefoniche e dei tabulati del cellulare della giovane agente, ma anche un più approfondito esame della scena del crimine e, soprattutto, di l’escussione di una collega, finora mai sentita dagli investigatori.

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