di Fabrizio Rappini*

Si può morire ammazzate perché qualcuno è in ferie? Non si dovrebbe, ma si può. E’ quello che è successo ad Alessandra Matteuzzi, 56 anni di Bologna. Ad ammazzarla a colpi di martello, è stato il suo ex. Lei lo aveva denunciato perché “è violento a mi ucciderà”. Un delitto atroce, l’ennesimo nei confronti di una donna, che era stato abbondantemente annunciato. Nel mese di giugno, perché il suo ex aveva iniziato a dare di matto, erano stati chiamati i carabinieri. La denuncia vera e propria, Alessandra, l’aveva fatta verso la fine del mese di luglio. La donna stava aspettando notizie dalla Procura che, però, non sono mai arrivate. E’ arrivato prima il suo assassino. Inevitabili le polemiche su fatto che chi avrebbe dovuto proteggerla non lo ha fatto. Quello che sconcerta e che, per certi versi, fa sentire le donne vittime di stalking è la giustificazione data dalla Procura di Bologna. “Siamo arrivati tardi – ha detto il Procuratore capo – perché i testimoni erano in ferie. Quello che potevamo fare – ha aggiunto – lo abbiamo fatto. In questo caso non si può parlare di malagiustizia. Dalla denuncia – ha concluso il procuratore non emergevano situazioni di rischio concreto di violenza. Era la tipica condotta di stalkeraggio molesto”. E’ allucinante. Ora la Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha inviato gli ispettori a Bologna per capire cosa ha fatto sì che una donna, l’ennesima, non sia stata protetta e abbia trovato la morte. Si, perché, purtroppo, sono molti i casi derubricati in “stalkeraggio molesto” che hanno avuto come conseguenza vittime che hanno perso la vita.

Quasi negli stessi giorni, in un’altra città emiliana, si è consumata una storia simile che, per fortuna, si è conclusa in modo meno tragico. Anche qui centrano le ferie, ma non dei testimoni, ma di un sostituto procuratore. Cosa è successo? Una donna con due figli, separata dal compagno era praticamente costretta a incontrarlo per portargli i figli in quanto non era mai stato emesso nessun provvedimento di non avvicinamento. Lui continuava a minacciarla e lei aveva presentato più di una denuncia ai carabinieri. Denunce arrivate in Procura e, inspiegabilmente, senza provvedimenti. A un incontro concordato con l’ex compagno, la donna si era presentata insieme al fratello. Al culmine di una accesa discussione, lo “stalker molesto” aveva accoltellato la donna e il fratello. Successivamente si era recato in caserma per denunciare quanto aveva fatto. Nessun provvedimento e l’uomo a piede libero. A far scoppiare il caso era stato un collega giornalista che il giorno seguente aveva scritto che “nonostante la donna avesse denunciato l’uomo non era stato avviato il Codice rosso”. La mattina seguente la Procura aveva telefonato al giornalista cercando di mettere una toppa che si era poi rivelata peggio del buco. In sostanza la difesa della Procura era stata: “il Codice rosso è scattato, ma non erano stati presi provvedimenti”. La realtà è che il sostituto che aveva in mano le denunce della donna era, appunto, in ferie. Poi, forse per farsi “perdonare”, il collega che aveva preso in mano il caso, da lesioni aveva fatto passare in tentato omicidio e fatto arrestare l’uomo che è ancora in carcere. In questo caso era andata bene non grazie a chi avrebbe dovuto proteggere la donna, ma alla tanta vituperata stampa perché, senza l’intervento del giornalista, l’uomo sarebbe ancora in libertà.

La morale di queste due storie simili è una sola: “Chi indaga deve saper riconoscere i pericoli. Serve più preparazione”.

E serve agire in fretta perché di atti di “stalkeraggio molesto” in giro ce ne sono tanti in ogni angolo d’Italia che rischiano di trasformarsi in femminicidi. Nella formazione dei magistrati un programma sulla violenza di genere dovrebbe essere obbligatorio.

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L’AUTORE

Fabrizio Rappini, è un giornalista professionista. Criminologo AICIS qualificato secondo la legge n. 4/2013.

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