#Redazione AICIS
La mafia al Nord non indossa la coppola e non imbraccia la lupara: piuttosto, il suo arsenale, è fatto di fatture false.
A confermarlo, proprio in questi giorni è la Guardia di Finanza con un’inchiesta che ha portato a galla gli affari della ‘ndrangheta nel settore del porfido e non solo. In esito a complesse indagini a Trento, Verona e Mantova, i militari hanno per ora eseguito alcune misure cautelari ed il sequestro di beni per un valore di oltre 9 milioni di euro.
La ‘ndrangheta fa di nuovo capolino nel nord-est, ma la cosa non sorprende poiché i segni di un radicamento delle cosche erano già chiari in esito a precedenti indagini dell’antimafia.
LE EVIDENZE PIU’ RECENTI
Secondo un sondaggio di “Libera” pubblicato nel 2019 – l’associazione anti-mafia presieduta da Don Luigi Ciotti – solo quattro cittadini su dieci intervistati dicevano che nel Nord-Est “la mafia è invisibile ed è fenomeno marginale”. Segno che la consapevolezza dei cittadini era da un lato aumentata ma non fino a percepire una presenza radicata nelle proprie regioni. Coerentemente, subito dopo, Bruno Cherchi, capo della procura di Venezia e coordinatore della Dda, aveva osservato che «c’è stata una scarsa comprensione» di questo fenomeno, non solo in veneto, ma un po’ in tutto il Nord Italia. Una tendenza a minimizzare che «ha portato ad intervenire con ritardo e forse non ancora con misure adeguate».
Il 16 novembre 2021, il prefetto di Verona Donato Cafagna durante il suo intervento introduttivo di un convegno dedicato all’argomento aveva tratteggiato un quadro della presenza mafiosa nel Nord, in particolare della ‘ndrangheta nella provincia di Verona, sottolineandone le evoluzioni storiche, le peculiarità rispetto alla visione tradizionale del fenomeno e l’attività di prevenzione e contrasto messa in campo anche dalla prefettura. «La presenza della criminalità nelle regioni settentrionali non è un fenomeno nuovo ma, nel corso degli anni, è cambiata la sua strategia di inserimento: dai singoli grandi business si è passati ad una forma di insediamento nel territorio meno eclatante ma più insidiosa e pervasiva, in cui anche i reati spia (di carattere soprattutto finanziario) si differenziano rispetto a quelli tipici delle regioni meridionali, denotando la capacità di integrarsi nel territorio e di interagire con esso» – ha dichiarato Cafagna e, per essere ancora più chiaro ha aggiunto – «Oggi nella provincia di Verona non c’è campo dell’attività economica in cui non si registri una infiltrazione mafiosa, con un rapporto significativo con il settore privato».
A fare eco al prefetto i Carabinieri avevano precisato: «Nel Nord, le mafie mostrano di essere disponibili anche a collaborare tra di loro e a definire strategie che consentano di raggiungere gli obiettivi: primo fra tutti quello del riciclo del denaro. A tale fine, sono molteplici gli stratagemmi ideati dai clan». Il quadro che ne emerge è che evidentemente i clan hanno saputo intessere delle relazioni nei territori in cui hanno agito.
Come mai? Perché gli uomini delle cosche hanno allacciato rapporti con imprenditori in difficoltà economica, i quali hanno accettato di rivolgersi alle mafie nell’illusione di riuscire così a superare i problemi di liquidità. In altri casi gli imprenditori hanno cercato i “servizi” delle organizzazioni mafiose per operazioni di recupero crediti. Il problema è che quando le mafie entrano in contatto con gli imprenditori la morsa mafiosa si stringe sempre di più intono alle loro aziende. Una delle richieste che gli imprenditori avanzano più frequentemente è quella di intervenire per abbattere i costi e distorcere la concorrenza in molteplici settori. Sul versante internazionale, il problema è ancor più serio: in ambito europeo, infatti, anche a causa della sottovalutazione del fenomeno, mancano legislazioni, prassi applicative, metodi di formazione del personale di polizia e di magistratura che siano omogenei tra loro. Alcuni Paesi addirittura rifiutano di affrontare il fenomeno e lasciano anche del tutto disapplicata la Convenzione di Palermo del 2000 che, invece, contiene tutti gli strumenti utili per combattere efficacemente le organizzazioni criminali.
COME SI RICICLA
L’ultima operazione delle Guardia di Finanza in Trentino e Veneto ha confermato le ombre – e purtroppo non solo le ombre – della ‘ndrangheta sulle regioni del nord.
Emissioni e utilizzo di false fatturazioni, riciclaggio e autoriciclaggio, il tutto aggravato dall’aver commesso tali reati con metodo mafioso e per agevolare l’attività della criminalità organizzata. Illeciti commessi tra Veneto, Trentino-Alto Adige e Lombardia.
Nel caso di specie, i reati che sono stati contestati sono di tipo tributario e questa la dice lunga sui nuovi orizzonti delle mafie che operano nell’Italia settentrionale. L’operazione delle fiamme gialle, in particolare, una società gestita dai tre soggetti arrestati, veniva strumentalmente utilizzata per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui erano beneficiarie altre imprese riconducibili ad esponenti della criminalità organizzata di matrice calabrese operanti tra Veneto ed Emilia-Romagna.
Ci si è arrivati partendo dai risultati di una precedente indagine avviando ulteriori attività investigative tali da documentare gravi indizi relativi all’esistenza anche di altre società ritenute vicine alla ‘ndrangheta, interessate alla realizzazione di lavori – anche in appalti pubblici – nel settore edilizio.
Le successive verifiche svolte dalla Finanza, avvalorate anche dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, hanno condotto l’apertura di un nuovo procedimento penale e all’esecuzione di complessi accertamenti bancari nei confronti di società esecutrici di lavori pubblici. E’ così che è emersa l’infiltrazione nel settore dell’edilizia in Veneto della ‘ndrangheta, in particolare di rappresentanti della cosca “Arena – Nicoscia” operante a Isola di Capo Rizzuto nel crotonese.
LE MODALITA’ INVESTIGATIVE
L’indagine si è basata sui controlli incrociati delle fiamme gialle, sui riscontri degli obblighi previdenziali sul personale dipendente, sull’interpolazione con le evidenze antiriciclaggio e sulle mappature delle cointeressenze societarie unitamente alle contestuali verifiche fiscali avviate in parallelo. Attraverso tale operazioni i militari hanno potuto riscontrare concreti elementi di contiguità con la ‘ndrangheta da parte di alcune delle imprese. Ma soprattutto le verifiche hanno consentito di appurare i rapporti fittizi tra alcune imprese per la realizzazione di opere o la prestazione di servizi. A chiudere il cerchio, l’accertamento sulla destinazione dei flussi finanziari a favore di imprese con sede in Calabria, rappresentate o riconducibili ad ambienti della criminalità organizzata.
I destinatari dei provvedimenti sono indagati per i delitti di riciclaggio (art.648- bis c.p.), autoriciclaggio (art.648-ter 1 c.p.), emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 e 8 DLGS 74/2000), tutti aggravati, per il caso di specie, dal metodo mafioso (art.7 d.l. 152/91, ora art.416-bis.1 c.p.) avendo agito nell’interesse delle locali di ‘ndrangheta.