(AICIS CRIMINOLOGI

“Caravaggio ultimo approdo” è il titolo di una mostra inaugurata il 18 luglio scorso a Ladispoli che, attraverso le opere dei maestri Guido Venanzoni e Massimo Mancini, ricostruisce la vita di Michelangelo Merisi, in arte detto appunto il Caravaggio. Perché Ladispoli (“Palo”, al tempo di Caravaggio)? Perché propio lì una mostra esattamente 511 anni dopo la morte del pittore? E, soprattutto, perché ne parliamo su un sito di criminologi?

Il fatto è che la fine di Caravaggio rappresenta uno dei grandi gialli della storia dell’arte. Un giallo che si infittisce proprio nel piccolo Comune del litorale romano, dove, stando a un resoconto dell’epoca, “morì malamente come appunto male aveva vivuto”, quando l’artista non aveva ancora compiuto 39 anni.

Tuttavia, il certificato di morte rinvenuto nei registri della parrocchia di Sant’Erasmo a Porto Ercole, in un libro dei conti del 1656, colloca gli ultimi giorni del pittore nella località toscana e non a Palo. Il certificato recita testualmente “A dì 18 luglio 1609, nel ospitale di S. Maria Ausiliatrice morse Michel Angelo Merisi da Caravaggio dipintore, per malattia”. Notare la data: come è possibile che fosse morto nel 1609, quando altri documenti ufficiali attestano che era sbarcato da una feluca a Palo (Ladispoli) nel luglio del 1610 dove fu arrestato e ristretto nel castello degli “Orsini”? Ora. Sembra certo che le sue spoglie giacciono a Porto Ercole, sul litorale toscano al confine con il Lazio.

 “Morse malamente come appunto male aveva vissuto”: – Di sicuro c’è che era un tipo rissoso. Geniale nell’arte e a dir poco sregolato nella vita. Le cronache raccontano che a Roma, la sera del 28 maggio nell’anno 1606, in Campo Marzio, una partita al gioco della pallacorda si concluse in rissa durante la quale Caravaggio uccise tale Ranuccio Tomassoni. Con una condanna a morte pendente sul suo capo fu quindi costretto a scappare, iniziando una fuga affannosa dalla giustizia che durò ben quattro anni. Da Roma raggiunse Napoli e successivamente Malta, dove nel 1607 sfiorò l’investitura a cavaliere dell’ordine di Malta (e con essa una sicura impunità), ma una nuova rissa lo portò dritto nelle prigioni di La Valletta, da cui tuttavia riuscì ad evadere per poi raggiungere la Sicilia. Sull’isola si fermò rispettivamente a Siracusa, Messina e Palermo, per poi fare ritorno nuovamente a Napoli.

Arriviamo così al mese di luglio dell’anno 1610, quando per intercessione della potente famiglia Colonna, sembrava che la richiesta di grazia fosse in procinto di essere accolta. Così, Caravaggio prese nuovamente il mare a bordo di una feluca che da Napoli era diretta a Porto Ercole, allora territorio dello Stato dei Presidi Spagnoli. Il pittore portò con i suoi bagagli tre preziose tele (il San Giovannino Battista, il San Giovanni Battista disteso e la Maddalena in estasi) che erano a tutti gli effetti un salvacondotto per la salvezza, data la sua intenzione di donarli al cardinale Scipione Borghese, nipote di Papa Paolo V, per ringraziarlo dell’interessamento dimostrato.

Una lettera del Nunzio Apostolico Gentile (oggi custodita negli archivi Vaticani), però, avvisò il Cardinale Scipione Borghese che Caravaggio “arrivato che egli fu nella spiaggia, fu in cambio fatto prigione e posto dentro le carceri ove per due giorni ritenuto e poi rilassato, sì che postosi in furia, come disperato andava per quella spiaggia sotto la sferza del sol levante a vedere se poteva, in mare, ravvisare il vascello che le sue robe porta …”. In verità, non sono mai state chiarite le ragioni per le quali fu fatto sbarcare a Palo, né perché fu trattenuto in carcere per soli due giorni. E’ chiaro, però, che durante la sua detenzione il vascello scomparve ed il prezioso carico d’arte pure.

Successivamente – come sostengono coloro che si dicono sicuri che il pittore non morì a Ladispoli – Caravaggio tentò di recuperare le sue tele dirigendosi alla volta di Porto Ercole, dove sarebbe arrivato stremato e senza riuscire a ritrovare la feluca. A dar credito a questa tesi  il pittore non potè più riprendere il cammino perché, come attesta il registro parrocchiale, morì di malattia a Porto Ercole il 18 luglio 1610 all’età di trentanove anni.

Eppure, la lettera del Nunzio Apostolico diretta al Cardinal Colonna dice altro perché descrive un uomo che, in preda alla furia, calca la spiaggia di Ladispoli (Palo) per giorni e giorni fino a quando: “ultimamente, arrivato in un luogo della spiaggia, misesi in letto con febbre maligna e, senza aiuto umano, tra pochi giorni, morì malamente come appunto male aveva vissuto”.

Un suo studio del professor Vincenzo Pacelli, dell’Università di Napoli, condotto col supporto di documenti dell’archivio di Stato e dell’Archivio Vaticano, giunge addirittura alla conclusione che il pittore non morì di malattia, ma fu assassinato proprio a Palo, l’odierna Ladispoli, da emissari dei cavalieri di Malta con il  “tacito assenso della Curia Romana”.

Morì a Paolo, oppure a Porto Ercole, dunque? E se morì a Palo come mai le sue spoglie giunsero nella famosa località della maremma Toscana? Infine, come mai è lì che si trova il certificato (con data errata) di morte del Caravaggio?

Un vascello che prende il volo e tre preziose tele scomparse e poi riapparse: – Uno dei tanti misteri irrisolti riguarda il destino delle tre tele che Caravaggio aveva con sé. Alla morte del pittore tutti le volevano: vennero rivendicate da Scipione Borghese (a cui erano destinate), dalla Marchesa Costanza Colonna, dal Priore di Capua dei Cavalieri dell’Ordine di Malta e da Pedro Fernàndez de Castro conte di Lemos e vicerè di Napoli dal 1610 al 1616. A Scipione Borghese arrivò solo una tela (il San Giovannino oggi esposto a Roma nella Galleria Borghese), probabilmente il secondo, San Giovanni (San Giovanni Battista disteso oggi appartenente ad una collezione privata a Monaco di Baviera), lo ottenne il conte di Lemos, mentre La Maddalena in estasi (oggi conservata in una collezione privata) andò alla marchesa Costanza Colonna.

Come mai tutti si sentivano in diritto di rivendicare le preziose opere?

C’è chi adombra il sospetto che l’arresto del Caravaggio a Palo venne preorganizzato e la mitica feluca non raggiunse mai Porto Ercole, ma da Palo fece ritorno a Napoli, attesa dalla marchesa Costanza Colonna.

I resti mortali: tecniche di archeologia forense in azione: – Che sia morto a Palo, che abbia esalato l’ultimo respiro a Porto Ercole, appare abbastanza verosimile che effettivamente le spoglie del pittore riposino in terra Toscana. Sulla spiaggia della Feniglia, nella riserva naturale di Porto Ercole, c’è una stele che ricorda la morte dell’artista.

All’epoca della morte, gli stranieri di misere condizioni venivano sepolti nel cimitero di San Sebastiano di Porto Ercole e probabilmente lì venne sepolto il Caravaggio. Tuttavia, nel 1956 a causa dei lavori per l’ampliamento della strada di accesso al paese, gli scheletri dell’antico camposanto vennero trasferiti in una cripta dell’attuale cimitero, e qui oggi si sono concentrate le ricerche del gruppo di scienziati, che dopo aver sondato anche le cripte di Forte Filippo e la cripta della chiesa di Sant’Erasmo, hanno selezionato gli scheletri rinvenuti ed effettuato numerosi test scientifici di assoluta attendibilità. Il 16 giugno 2010 l’equipe di ricercatori ha ufficialmente sostenuto che le ossa ritrovate, con una percentuale di sicurezza pari all’85% sono quelle di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.
L’arca funeraria in cui nel luglio 2014 sono state deposte le ossa, inizialmente era stata collocata nel centro del borgo (tra via Nuova e via Principe Umberto) accanto al monumento dedicato al celebre pittore, attualmente invece si trova nel cimitero di Porto Ercole dove è stata collocata nel giugno 2019.

“Caravaggio ultimo approdo”, chi può si goda la bellissima mostra dei maestri Guido Venanzoni e Massimo Mancini. A Ladispoli (non al Porto Ercole!)

 

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