Come in tanti misteri, il guaio – a parte ciò che di tragico è accaduto – è imbattersi in investigatori disattenti, per non dire altro. Uno dei casi in questione è quello di Mario Paciolla trovato cadavere il 15 luglio scorso in Colombia nell’abitazione dove viveva a San Vicente del Caguan. Originario del Rione Alto a Napoli, era un collaboratore Onu e si trovava nel Paese sudamericano per la verifica dei risultati dei progetti delle Nazioni Unite (lavorava per conto dell’Onu a un programma di reinserimento degli ex guerriglieri delle Farc previsto dall’accordo di pace del 2016).

Ora emerge che il cooperatore 33enne era estremamente turbato nei giorni precedenti alla sua morte. A dirlo, nell’interrogatorio davanti alle autorità la ex fidanzata del cooperante napoletano. “Non voglio più vivere”, avrebbe detto alla sua ex ragazza, Ilaria Izzo, 31 anni, ossessionato in quei giorni dall’idea di essere spiato. In quelle ultime conversazioni piangeva, urlava, “mi ha detto di non voler più vivere”. Le parole sono importanti e sarebbe interessante capirne bene il senso: non voleva più vivere o non lo facevano più vivere, dato che la sensazione di essere spiato difficilmente spinge qualcuno al suicidio. Infatti, poi, avrebbe comprato due biglietti, per lui e per la Izzo, per andare via dalla Colombia. E l’acquisto dei biglietti fa pensare più alla fuga da una minaccia incombente che all’idea del suicidio. Il 15 settembre, in ogni caso, il ragazzo è stato ritrovato morto, nel suo appartamento, impiccato, con dei tagli sulle braccia. Suicidio, dunque? L’ipotesi, avvalorata dalle autorità colombiane non ha per nulla convinto né la famiglia, né gli amici.

 

Il dossier compromettente.

Secondo alcuni conoscenti, Paciolla, era preoccupato probabilmente per via di un dossier in cui si era imbattuto su un bombardamento militare che aveva portato alle dimissioni del ministro della Giustizia Botero. Per questo voleva tornare in Italia. Non è poco, come movente di un omicidio su commissione camuffato da suicidio.

 

Dubbi investigativi.

Primo: Mario, da solo, fino a lassù non sarebbe potuto salire per appendersi. Secondo: i nodi del lenzuolo che gli stringeva il collo, quando i colleghi dell’Onu lo hanno trovato a casa, sembravano fatti particolarmente bene; una accuratezza molto sospetta: così tanto perfetti che difficilmente avrebbe potuto stringerli da solo dicono gli esperti. Inoltre, la quantità di sangue trovata sul luogo del delitto non è compatibile con le ferite superficiali riscontrate sui polsi. Infine, la ferita esaminata sul collo esternamente è troppo evidente per essere stata causata da un lenzuolo e comunque difficilmente avrebbe potuto causare il decesso. In Colombia, tra l’altro, non era stata effettuata la Tac per valutare l’entità delle ferite sul corpo restituito in pessime condizioni all’Italia. È stata ritrovata persino della segatura all’interno e sulla salma.

Sono questi i dubbi investigativi che la Procura di Roma, nell’inchiesta per omicidio aperta sul caso, dovrà sciogliere nonostante l’ipotesi del suicidio avanzata dalla Colombia.

 

Dubbi sul ruolo del contractor.

C’è un altro dato, non da poco, che non risulta chiaro: il ruolo del funzionario Onu, il contractor che si occupava della sicurezza Christian Thompson. Chi era e cosa ha fatto nella circostanza? Stando alle informazioni raccolte egli sarebbe stato tra gli ultimi a sentire Mario, tra i primi a trovarlo, a raccogliere degli oggetti di sua proprietà, e – cosa a dir poco sospetta – a tornare nell’appartamento per pulirlo prima che la polizia finisse i suoi accertamenti: episodio per il quale cinque agenti sono finiti sotto inchiesta. Paciolla non si fidava più di Thompson, lo ha confermato nell’interrogatorio anche Ilaria Izzo, la sua exragazza.

 

 

AICIS