1900. Vienna. Una ragazza di circa 18 anni cammina per le strade della città insieme al padre, un grosso industriale, la cui posizione lavorativa consente una vita agiata a tutta la sua famiglia. Dora conosce quella strada e il posto dove il padre la sta conducendo, l’ha già percorsa in altre occasioni. A otto anni, Dora aveva cominciato a soffrire di dispnea cronica, a dodici anni comparvero attacchi di tosse nervosa ed emicranie croniche. Ed è proprio per la comparsa di questa tosse nervosa che Dora percorre quella strada la prima volta. Lì incontra un dottore, un dottore della mente, è un uomo distinto con una barba folta, ha pochi capelli, uno sguardo duro e intenso, fuma spesso un sigaro il cui odore inonda la stanza. L’uomo comincia a riceverla in diverse sedute. Il dottore le parla e la ascolta. La tosse sparisce e Dora interrompe gli incontri. Quell’uomo è Sigmund Freud, padre della psicanalisi. Dora percorre quella strada nuovamente, dopo due anni, la tosse è ricomparsa e a volte la lascia completamente afona, la sua voce si dissolve nella sua gola e fa fatica a respirare. Si sente triste, vuota, irritabile e spesso desidera la morte.
Dora comincia a raccontare i sogni che fa al dottore. Sogni che ritraggono il padre in pericolo o la sua avvenuta morte e l’incapacità di Dora di recarsi a dargli l’ultimo saluto. Freud interpreta questi sogni, grattandone la superficie, e scavando fino agli abissi del suo inconscio, giungendo alla sfera sessuale. Secondo Freud è questo il substrato da cui si originano tutti i problemi di Dora. Se ne convince maggiormente man mano che Dora le racconta della sua vita. Dora ha lavorato come babysitter presso una coppia di coniugi, il Signor K e la Signora K, e la stessa racconta a Freud che il Signor K ha mostrato particolari attenzioni nei suoi confronti. Attenzioni che non si addicono a una bambina. Quando ha 14 anni, mentre sono da soli, il Signor K la abbraccia e la bacia sulla bocca e Dora racconta di aver provato repulsione e disgusto in merito a questo gesto. Ne racconta un altro di questi episodi, avvenuto nella residenza estiva della famiglia, quando il signor K le fa una proposta amorosa, episodio che viene, in realtà, riferito dal padre di Dora dopo averlo saputo dalla moglie che gli chiede di troncare i rapporti con i K, ma il padre di Dora non se la sente. La madre di Dora è una figura, piuttosto, invisibile, il cui unico ruolo è di badare alla casa mentre il padre si sollazza tra le braccia dalla sua amante la signora K, e Dora questo lo sa.
Freud interpreta i sogni di Dora e gli episodi che la stessa riferisce come un chiaro segno di repressione sessuale. In Dora esistono desideri sessuali rimossi che hanno per oggetto sia il padre, sia il signor K (del quale Dora era innamorata), sia la signora K. Così, Freud, dopo solo poche settimane indica che Dora già dai 14 anni soffre di isteria, ciò è dimostrabile perché la paziente è stata coinvolta in un’occasione favorevole all’eccitazione sessuale. Questo è un dato sufficiente per sviluppare predominantemente o esclusivamente sensazioni di ripugnanza ed ergo, diagnosticare un’isteria in presenza o meno di sintomi somatici.
Freud afferma che Dora s’indentifica inconsciamente con l’uomo ignorando cosa significhi “essere donna”. Il substrato centrale dell’isteria si esaurisce in una domanda “che cosa vuol dire essere donna?” Dora ricerca, secondo Freud, questa risposta attraverso un’altra donna, che è l’oggetto del desiderio sessuale di suo padre, che in questo caso non è identificabile nella madre, a livello inconscio prova una sorta di esperienza in cui si trova immersa in triangoli amorosi. In questo caso Freud studia il cosiddetto fenomeno del transfer nel suo aspetto negativo. La paziente deposita nel suo analista una serie di sentimenti e aspettative che in realtà prova per altri, se le aspettative hanno riscontro positivo la psicanalisi ha successo, i sintomi spariscono.
Dora interrompe la psicoanalisi dopo undici settimane di terapia con il disappunto del dottore. Poco tempo dopo, Dora si reca in visita dal dottore e gli spiega come i suoi sintomi siano completamente scomparsi. In seguito al processo di analisi, Dora decide di confrontarsi con i suoi persecutori e di rinfacciare le rispettive relazioni illecite, tutti ammettono i loro misfatti e concordano con la natura corretta delle accuse mosse contro di loro. La patologia di Dora regredisce completamente.
L’episodio dalla paziente di Freud, sia nell’insorgere sia nel decorso della patologia, è il substrato di partenza per comprendere il perché, per anni, forse secoli, l’isteria è stata vigliaccamente usata per relegare la libertà della donna.
La ricostruzione storico-medica dell’isteria
Il termine isteria deriva dalla parola greca hysteron che era usata per indicare l’organo femminile deputato alla riproduzione: l’utero. La storia della scienza medica è in grado di restituirci una chiara immagine che si ha del corpo della donna e dello stigma che la stessa è costretta a portare. Lo stesso Ippocrate considera l’utero come la fonte da cui derivavano tutte le malattie delle donne, considerandolo un corpo asciutto e cavo in grado di assorbire una quantità maggiore di sostanze rispetto all’uomo, poi espulse sotto forma di sangue mestruale. La donna, per questo motivo, avrebbe bisogno continuamente del coito in grado di riequilibrare le differenze di umidità dell’utero. Nel momento in cui s’interrompe il ciclo costante di coiti, l’utero resta asciutto, perde peso e comincia a spostarsi nel ventre provocando dolore e la cosiddetta “soffocazione isterica”, sensazione di soffocamento e confusione mentale, che si riscontra maggiormente nelle donne che non hanno avuto rapporti sessuali e in quelle anziane. Probabilmente l’intento di Ippocrate non era quello di creare uno stigma o una discriminazione sulla donna (la conoscenza medica dell’epoca non è certo quella di oggi) ma le epoche successive che le impiegarono in chiave discriminatoria.
L’isteria diviene nel tempo una conclamata malattia femminile originata dallo “spostamento” (che oggi definiremo in termini organici semplicemente “contrazioni”) dell’utero associati a vari sintomi come le convulsioni, le paralisi, il senso di soffocamento, la depressione. Dalla fine del Medioevo e per tutto il Seicento la malattia venne collegata alla stregoneria, impiegata come elemento di accusa nei processi della santa Inquisizione e i sintomi come prova della possessione demoniaca. Soltanto nel 1956 con l’apertura del Salpêtrière a Parigi, un ospedale costruito per gli accattanti della città, e ben presto trasformato in un manicomio per gli emarginati della società. In quest’ospedale, per merito del suo direttore Philippe Pinel, che oggi consideriamo uno dei primi psichiatri della storia, la malattia viene sganciata dall’approccio esoterico e religioso, abrogando le catene e gli esorcismi per i pazienti.
Nonostante un primo passo verso un trattamento diverso, medico e non superstizioso, siamo ben lontani dal cantar vittoria. È proprio in questo periodo che si comincerà a scrivere una delle peggiori pagine di storia che vedrà la donna protagonista indiscussa e substrato di partenza per la creazione di un retaggio culturale ancora presente nella società post-moderna. Proprio nell’Ottocento iniziarono a comparire i primi dubbi sulla teoria biologica dello spostamento dell’utero all’interno dell’addome, come causa precipua dell’isteria. Dall’altra parte il periodo
coincide con l’irrigidimento dei ruoli di genere separando nettamente la sfera femminile da quella maschile partendo dal dato biologico. Tra i teorici dell’epoca si distingue Jean Martin Charcot, anche lui direttore del Salpêtrière, che per onestà intellettuale, diagnostica l’isteria anche nei pazienti maschi, seppur s’impegna a produrre un manuale iconografico che illustra le pose delle donne assunte durante gli attacchi all’interno del manicomio. L’Iconographie photographique de la Salpêtrière rappresenta l’immolazione del corpo femminile alla volontà di identificare in via ineccepibile la correlazione tra isteria e utero. Con il metodo ossessivo e compulsivo di identificare cause organiche per una patologia che negli ambienti medio-borghesi si diffonde in maniera epidemica, si ricercano altrettante metodologie di trattamento come il messaggio dei genitali con il conseguente parossismo isterico (che non rappresenta nient’altro che un semplice orgasmo, ovviamente denominato con termine dispregiativo), terapia usata molto frequentemente in Europa e negli Stati Uniti. Viene inventato proprio in questo periodo il vibratore concepito come strumento medico elettromeccanico per curare e privo di intenti voluttuosi. Altre pratiche che vedono un massiccio accanimento terapeutico nei confronti delle donne sono le purghe, le iniezioni di sostanze direttamente nell’utero, il riposo, la salassi, finanche l’isterectomia e la clitoridectomia. Questi trattamenti scellerati, e senza la comprensione del piacere della donna, vengono reiterati anche successivamente fino agli anni ’50 del Novecento, quando l’eziologia della patologia viene elusa dal dato organico.
Nella seconda metà del Novecento le diagnosi di isteria subiscono un crollo statistico drastico, prediligendo diagnosi di depressione o altre disturbi inerenti alla sfera nevrotica. Solo nel 1980 la nevrosi isterica viene rimossa dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Oggi i sintomi, che nelle epoche precedenti venivano ricondotti all’isteria, trovano spazio in altre forme di disturbi quali il disturbo di conversione, una somatizzazione di un conflitto intrapsichico che viene espressa con sintomi fisici simili a una patologia del sistema nervoso, alcuni sintomi possono essere ritrovati anche nella diagnosi di disturbo di personalità istrionico, ma è chiaro che non vi è in nessuna di queste diagnosi un riferimento specifico al genere.
L’isteria come retaggio nella sfera sociale
L’isteria nel tempo, fino ad arrivare anche ai giorni nostri, è stata volgarmente impiegata per discriminare le donne alle quali si è fornita un’etichetta stigmatizzante che le ha relegate in una condizione sempre inferiore. Uno dei casi più emblematici è una delle tante opinioni contrarie al suffragio universale, le donne venivano reputate troppo instabili per partecipare alla vita politica e quindi esercitare in piena libertà il loro diritto di voto. Basti pensare che fino al 1963 alle donne era preclusa l’accessibilità al concorso per la magistratura con una motivazione apparentemente riconducibile al retaggio isterico, la donna “è fatua, è leggera, è superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testardetta anzichenò, approssimativa sempre, negata quasi sempre alla logica, dominata dal “pietismo”, che non è la ‘pietà’; e quindi inadatta a valutare obbiettivamente”.
Stigma che ancora oggi le donne continuano a portare sulle loro spalle. Esiste tutta una serie di luoghi comuni sul ciclo mestruale che vogliono la donna pazza e matta per tutta la durata del ciclo e durante l’ovulazione, luoghi comuni sulla necessità che una donna nervosa o con sentimenti di tristezza possa giungere alla calma solo ed esclusivamente con l’apporto del sesso, solo costanti rapporti sessuali posti in essere da uomini virili possono placare l’istinto isterico
della donna. È sempre molto comune udire le frasi “non scopi abbastanza” “Devi scopare di più” e tutta una serie di frasi molto più volgari che collocano la donna in una posizione di bisogno continuo della possente forza bruta sessuale dell’uomo virile. Una società sessocentrica che pone il sesso come soluzione, terapia, cura, medicina a tutti i problemi esistenti nella vita. (Vi ricorda qualcosa che è stato analizzato precedentemente nel corso di questo articolo?). La donna viene tacciata di isterismo quando si ribella a ordini precostituiti, quando esprime un’opinione svuotata da pregiudizi di ruolo, quando viene considerata frigida, non disponibile al sesso, sessualmente insoddisfatta, mamma iperprotettiva, mamma troppo libertina, donna troppo attiva sessualmente e libera di avere rapporti sessuali con diversi partner. In definitiva, la donna diventa isterica quando non soddisfa l’immagine di cui, in un certo specifico momento, l’uomo ha bisogno.
La scienza è concorde nello specificare che indistintamente sia le donne e sia gli uomini sono soggetti a sbalzi ormonali, essendo presenti in ogni corpo umano sia testosterone, estrogeni e androgeni. Tutti sono soggetti a sbalzi ormonali a prescindere dal sesso, semplicemente vi è chi riesce a gestirli meglio e chi ne risente maggiormente l’influenza. Per questo retaggio culturale, medico, sociale, il dolore fisico o psicologico che affligge una donna, non è preso sul serio. Il dolore viene ricondotto spesso a queste forme di isteria ancora largamente diffuse e ridotto a una suggestionabilità. Il dolore è spesso, ancora oggi, ascrivibile all’instabilità dell’utero. Alcune patologie organiche delle quali la donna soffre non vengono trattate per come dovrebbero essere ma ricondotte sempre al “tutto nella loro testa”.
Oggi, come nel passato, e probabilmente nel futuro, l’isteria ha rappresentato, rappresenta e rappresenterà uno strumento di potere per limitare la libertà della donna, per sottolineare la sua inferiorità intellettuale, fisica e morale. Uno strumento per controllare. Controllare ciò che è complesso, ciò che non è comprensibile in maniera semplicistica. Giacché ciò che è complesso non può essere smontabile, analizzabile nei singoli pezzi e ricomponibile, richiede uno sforzo mentale in più. Uno sforzo maggiore per indagare le tonalità della mente. Oggi la discriminazione assume strutture più subdole che trovano spazio in piccoli e impercettibili comportamenti, azioni, parole e discorsi. Si ha paura del politically correct che funziona come deterrente ma solo impiegandolo in quei comportamenti palesi e abnormi ma eludendolo nelle dinamiche più sottili e impercettibili che occultano, ancora oggi, tutta una serie di discriminazioni al mondo femminile (mondo femminile che non è più prerogativa solo delle donne nate biologicamente femmine).
Oggi abbiamo probabilmente raggiunto un livello di superamento di certe discriminazioni più elevato rispetto ai secoli precedenti, ma l’equilibrio è ancora un raggio di sole disperso dietro le nuvole all’orizzonte del nuovo domani.

Deborah Maddalena Bottino Criminologa AICIS