di Mariantonietta Deiana*
La vittima dei baby-killer non è casuale, ma scelta in virtù di particolari caratteristiche. Spesso, viene identificata con una figura interna, deprivante e frustrante, capace di attivare il conflitto inconscio che spinge l’omicida ad uccidere. La vittima può essere anche una persona sulla quale il minore proietta la parte cattiva di sé: essa diventa il contenitore dei propri impulsi inaccettabili, un oggetto verso il quale riversare la propria ostilità ed aggressività. E’ come uno specchio nel quale si vede riflessa la propria immagine negativa che si vuole a tutti i costi distruggere per liberarsi dai sensi di colpa (vittima espiatoria). Considerato che i baby-killer non sono ancora dotati di forza fisica adulta, le loro vittime si presentano come accessibili e vulnerabili, al pari di amici di scuola o compagni di gioco dell’aggressore, cioè soggetti fisicamente deboli, passivi, remissivi e tranquilli. Quando, invece, la vittima è un adulto, considerando la sua superiorità fisica, essa viene attaccata in situazioni in cui diventa più indifesa: per esempio durante il sonno o quando si trova sotto l’effetto dell’alcool o di sostanze stupefacenti.
Una categoria particolare di vittime è costituita dai genitori. I padri o patrigni uccisi dai propri figli sono generalmente uomini irascibili, violenti, spesso alcolizzati ed abusanti, in genere vengono descritti come padri assenti, punitivi e poco affettuosi. Le vittime di matricidio, invece, sono di solito donne dominanti e possessive e madri rifiutanti ed ambivalenti che mostrano atteggiamenti seduttivi verso i propri figli.
L’AUTRICE
Mariantonietta Deiana è una criminologa qualificata AICIS, educatrice professionale, mediatore familiare, lavora con bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità
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