La disciplina della criminologia ha avuto il pregio nel conferire un contributo non indifferente per lo studio del soggetto reo, soggetto che pone in essere un qualsivoglia reato. Questo studio che verte su una molteplicità di fattori partendo dal substrato sociale di riferimento e vagliando l’ordinamento giudiziario che stabilisce, attraverso lo strumento della legge penale, il limite entro cui il comportamento di un certo individuo diviene reato. Solo successivamente ci si muove su un filone che abbraccia tutta una serie di variabili connessa alla personalità del soggetto. Tuttavia sul finire degli anni 40 l’attenzione si sposta su un altro soggetto ossia la vittima. Il contributo principale su si deve a Von Hentig che per primo riuscì a produrre cambiamenti rilevanti per l’avvio di un approccio scientifico che non guardasse più unicamente all’autore del reato e identificando l’evento delittuoso solo ed esclusivamente con l’azione. Sarà, però, più tardi un altro autore al quale si potrà dare la paternità di una definizione della disciplina vittimologica, Fattah: secondo Fattah “la vittimologia è una branca della criminologia che si interessa della vittima diretta di un crimine, designando l’insieme delle conoscenze biologiche, psicologiche, sociologiche e criminologiche concernenti la stessa”. Il bisogno di questa premessa nasce con l’obiettivo di voler specificare quale disciplina ci permette di disquisire dell’argomento della vittima dell’infortunistica stradale e poi successivamente di fornire alcuni strumenti utili per la comunicazione del lutto ai familiari. Quando parliamo di vittime, non ci riferiamo solo alla vittima che subisce l’evento morte ma tutta una serie di attori sociali che ne restano coinvolti. La vittima primaria è la vittima che subisce, in questo caso de quo, l’evento morte, le vittime secondarie sono tutta una serie di attori che avranno inevitabilmente a che fare con l’evento morte: in primis i familiari della vittima e tutti quegli operatori che prestano il primo soccorso e intervengono successivamente, soggetti coinvolti nel sinistro sia in qualità di feriti e/o di agenti provocatori, testimoni, operatori di polizia, personale medico, vigili del fuoco ecc.
Le vittime degli incidenti stradali
I reati che si consumano sulla strada presentano un quadro vittimologico di peculiare interesse differente da qualsiasi altra tipologia di eventi delittuosi. Il presupposto precipuo dell’incidente stradale è un accadimento, il sinistro stradale è un evento accidentale non voluto. Ergo la vittima non viene selezionata sulla base di certe caratteristiche o certi profili, non è un target scelto dall’offender. La vittima è un qualsiasi utente della strada (conducente, passeggero, pedone), pertanto il bacino in considerazione è molto ampio, è la dinamica principale che contraddistingue l’evento, è la casualità che rende, sostanzialmente, tutti gli individui assoggettabili a processi di vittimizzazione. Nello scenario proposto e immerso nella completa casualità si può, però, ipotizzare una possibile escalation nel comportamento della vittima alla realizzazione del sinistro stradale, la cosiddetta victim precipitation, ossia un’attribuzione di responsabilità in capo alla vittima che con il suo comportamento fa precipitare gli eventi, (ad es. il non rispetto del codice della strada, l’alta velocità, guida in stato di ebrezza o sotto l’uso di sostanze stupefacenti). Certo è che i soggetti che si muovono maggiormente sulla strada sono maggiormente esposti al rischio. La vittima del sinistro stradale subisce una sorta di tripla vittimizzazione: dapprima è vittima dell’incidente (vittimizzazione primaria), dell’abbandono senza soccorso (nel caso si ponga in essere l’omissione di soccorso con relativa fuga dell’offender) (vittimizzazione secondaria) e poi di una
vittimizzazione terziaria che si configura nella difficoltà di ottenere risarcimenti economici e di essere fagocitati dal sistema giudiziario senza ottenere giustizia con la condanna dell’offender. La vittima coinvolta e sopravvissuta nell’incidente subisce, dal punto di vista psicologico, tutta una serie di emozioni che mutano completamente la concezione e il rapporto con la vita stessa. Il trauma determina una gamma di emozioni e reazioni negative che variano per tipologia e intensità in base alla gravità del fatto. In primis la paura come minaccia per la vita stessa e una produzione di impotenza e vulnerabilità. Il cervello attua una serie di meccanismi di difesa, assieme all’istinto di sopravvivenza, per contrastare la paura atavica della morte, una sorta di sensazione che l’individuo percepisce considerandosi invulnerabile, sentendosi lontano da eventi che accadono solo agli altri, una percezione di intoccabilità. Il trauma dell’incidente o di qualsiasi altro evento tragico trasmuta l’individuo in “touchable” (toccabile) e il cervello non è più in grado di attuare un meccanismo di difesa essendo completamente divorato dallo shock (che può avere anche risvolti psicofisici come tremore, pallore, pianto, sudorazione, stordimento, confusione). Gli operatori di polizia che intervengono sulla scena dell’incidente registrano, quasi sempre, una perdita di controllo da parte delle vittime. I soggetti avvertono una sorta di dilatazione del tempo e dello spazio, amnesia dissociativa, fenomeni di derealizzazione e di depersonalizzazione.
La comunicazione del lutto
Uno dei compiti più ostici per un operatore di polizia è il dover comunicare la morte di un congiunto alla famiglia di appartenenza. Le cosiddette bad news che riguardano il decesso o lo stato di coma a seguito di un incidente. Una notizia del genere crea un terremoto emotivo che sconvolge l’assetto familiare e investe anche il poliziotto che veicola la notizia e che cambia definitivamente la vita della famiglia condannandola al cosiddetto “ergastolo del dolore”.
L’esperienza inglese: nel Regno Unito esiste un ente preposto sia alla comunicazione del lutto, sia a continuare il rapporto con le vittime successivamente. Il Family Liaison Officer (FLO), si inserisce in un contesto assai differente rispetto a quello italiano. La morte per incidente stradale è trattata a tutti gli effetti come una morte violenta e/o un omicidio e il luogo dell’incidente è sempre trattato come una scena del crimine e per tale vi si applicano le stesse tecniche di sopralluogo. Questo metodo di operatività sul campo della strada esprime una cultura della sicurezza stradale nata da più di vent’anni con una politica attenta e uno schema di pianificazione multidisciplinare basato sulle tre “E”: Education, Engineering (infrastrutture e tecnologia) ed Enforcement (regole e controlli) che posiziona la Gran Bretagna ai primi posti in Europa per bassa mortalità negli incidenti stradale. Il FLO non solo si occupa della comunicazione del lutto ai familiari ma il suo contributo rimane decisivo sotto il profilo investigativo, i rapporti che questo ente mantiene con i familiari possono portare a raccogliere elementi utili che la famiglia può fornire all’indagine. Si occupa di seguire la famiglia nei rapporti con i mass media (come ad esempio rilasciare delle foto previa autorizzazione da parte del responsabile delle indagini e consenso della famiglia) e di tenerla informata sullo sviluppo delle indagini e del relativo processo. Per entrare in questo “reparto” i poliziotti devono palesare il loro interesse, ergo vi è una base volontaria, e la selezione viene fatta valutando una gamma di requisiti tra cui: buone capacità comunicative e di ascolto, autostima, abilità a gestire lo stress, spirito d’iniziativa, flessibilità, affidabilità, riservatezza. Viene tenuto anche conto della storia di vita degli operatori se negli ultimi 18 mesi hanno vissuto eventi traumatici come la morte di una persona cara, un divorzio o una malattia grave di un parente, allora il conferimento di tale incarico sarebbe evitato. Il FLO detiene i rapporti con l’anatomopatologo e del medico legale per l’identificazione del cadavere (che verrà eseguita da un familiare) e accompagna gli stessi qualora volessero vedere la salma previa raccolta di informazioni e di foto da parte del FLO sulle condizioni del cadavere per informare la famiglia in maniera esaustiva affinché la scelta di vedere il congiunto deceduto sia più consapevole possibile. Il membro del FLO non deve mai obliare di essere un poliziotto e non deve assolutamente farsi coinvolgere troppo dal dolore e dalla sofferenza del dramma vissuto dalle vittime secondarie. Proprio in merito a questa motivazione l’incarico FLO è temporaneo ed è prevista una strategia “di uscita” dal rapporto instaurato con la famiglia che di solito collima con la fine del processo. Nell’eventualità di una necessaria reiterazione di intervento con la famiglia verrà valutata la sostituzione del pool originario. Inoltre, esiste una serie di associazioni private che supportano le agenzie pubbliche a disposizione di coloro che hanno subito gravi lutti.
L’esperienza americana: negli Stati Uniti vi è una lunga tradizione sulla comunicazione dei lutti ai familiari che trova origine nelle consuetudini militari nel notificare personalmente ai familiari il decesso del personale in operazioni di guerra. Nella notifica domiciliare devono essere coinvolti più soggetti: un ufficiale notificante, un religioso, un medico, un altro militare (che spesso resta in macchina e rimane in posizione pronta nel caso vi siano reazioni violente da parte dei parenti). Questo compito (essendo necessaria un’indubbia delicatezza) viene destinato a personale qualificato attraverso training specifici e metodici (Causality Notification Officers, CNO). L’ufficiale dovrà indossare l’uniforme di rappresentanza, la notizia deve essere comunicata entro le quattro ore dal suo ricevimento, dalle ore 6 alle ore 22. La procedura si articola in tre fasi specifiche:
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Fase 1: Raccolta di informazioni logistiche, designazione dell’ufficiale incaricato di consegnare la notifica e individuazione del familiare che dovrà riceverla, scelto per prossimità familiare in conformità a criteri molto peculiari
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Fase 2: arrivo presso la casa del familiare, presentazione e comunicazione dell’evento morte con una formula testuale consolidata
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Fase 3: I soggetti possono lasciare la casa solo nel momento in cui si è appurato che la situazione sia priva di reazioni emotive particolarmente violente, gravi stati d’ansia o si notano intenzioni autolesionistiche. Si presta attenzione al dolore del familiare nonostante la natura formale della notifica impedisca una strutturata capacità empatica
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Tra gli aspetti precipui delle procedure ufficiali si individuano:
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Presenza fisica al procedimento della consegna della notifica, vietate comunicazioni telefoniche o altri simil canali
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Notificare almeno in due
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Evitare eufemismi o enfatizzazioni: si reputa che non comportino nessun conforto ai familiari. Va usato un linguaggio diretto e chiaro
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Non lasciare da solo il familiare che ha ricevuto la notifica senza la presenza di altra persona che si occupi di lui
Anche negli USA viene garantita la vicinanza nell’adempimento di alcune pratiche, come le assicurazioni o l’organizzazione delle esequie e la gestione del rapporto con i media. L’esempio militare è stato traslato anche per la comunicazione del decesso di operatori delle forze dell’ordine. Stesso modello di comunicazione viene impiegato in caso di decessi di altra natura come per l’appunto negli incidenti automobilistici, in alcuni casi di morte naturale o di morte violenta. Anche nella realtà statunitense esiste l’ufficio FLO che è l’intermediario tra la famiglia e le istituzioni, aiuta nello svolgimento di varie incombenze e comunica con le associazioni che si occupano di sostegno alle vittime laddove via sia l’esigenza di supporto psicologico.
L’esperienza italiana: Chirone
La Polizia Stradale (settore specializzato della Polizia di Stato che si occupa di sicurezza stradale) ha ideato un nuovo ruolo chiamato Chirone che ha la funzione principale di gestire i rapporti con le vittime degli incidenti e i loro familiari. Chirone è una figura della mitologia greca, era un Centauro dotato di particolare saggezza, di capacità di guida notevole e di forte equilibrio, la scelta di questa figura come riferimento collima con il tentativo di identificare una nuova funzione del poliziotto vicino a una categoria particolarmente vulnerabile, i cui rapporti richiedono una certa preparazione e una certa professionalità. La scelta di questo nome per una figura così tanto professionalizzata significa dare valore a un ruolo del poliziotto che spesso viene svolto nel completo silenzio ma che ha un’importanza decisiva nella gestione del trauma da parte della vittima, un ruolo al quale viene assegnata un’identità reale e concreta e che spesso comporta per il poliziotto un carico emozionale che inficia in maniera significativa la sua professione e la qualità stessa della sua vita privata. Chirone nasce grazie a una Polizia di Stato diversa e più preparata che già dai primi anni del 2000 ha cominciato ad approfondire i temi della vittimologia, le reazioni e le esigenze delle vittime, per poter essere in grado di rispondere con innata empatia ai bisogni di sicurezza. Davanti ad una vittima di incidente stradale (deceduta o ferita) è determinante la qualità dell’intervento dell’operatore di polizia per arginare le conseguenze negative, come la vittimizzazione secondaria alla quale la vittima è esposta successivamente all’evento dell’incidente. Un atteggiamento brusco e formale dell’operatore davanti a una forte paura provata dalla vittima o la comunicazione telefonica della morte di un congiunto, sono severamente vietate. Tutto questo richiede preparazione, conoscenza e interiorizzazione di capacità che non possono essere sostituite da improvvisazione dell’approccio individuale, considerando che lo stesso operatore vive una situazione di forte stress emotivo. L’operatore con un atteggiamento empatico e qualificato può ottenere fiducia e rispetto, un simil rapporto è utile per avere maggiori informazioni utili all’indagine.
Gli strumenti utili
In realtà non esiste un prontuario che insegni quale sia il metodo giusto per poter comunicare una notizia del genere, considerando una gamma di variabili complesse e tutta una serie di diverse reazioni ed esigenze delle vittime. Si sono, però, sviluppate delle prassi e delle consuetudini al fine di evitare errori che possono acuire la già precaria situazione dei familiari. Il poliziotto al quale spetta questo compito non deve mai pensare che quell’evento morte poteva essere evitato, esso è ormai un dato e da questo dato si deve partire non a ricercare gli espedienti ma a ciò che viene dopo la tragedia. Si badi bene che l’operatore ha il compito di comunicare e non di curare, non avendo né la competenza né la funzione di uno psicologo. Ciononostante deve riuscire a manifestare comprensione e vicinanza, marcata empatia e capacità di vestire i panni della vittima senza però perdere il proprio ruolo. Non è facile individuare la persona che va avvisata per prima. Se per i minorenni e i giovani la scelta cade immediatamente sui genitori, per gli adulti non è sempre semplice l’individuazione corretta, considerando una serie di situazioni di separazioni o divorzi che non risultano nelle banche dati, oppure comunicare la notizia a figli minori della morte di un genitore o di un fratello probabilmente non sono le persone più adatte. La tempestività è urgenza precipua affinché la notizia non filtri prima dai mass media o da telefonate o messaggi di conoscenti. Nei centri più grandi è più arduo conoscere lo status familiare rispetto a centri più piccoli dove gli stessi agenti hanno più informazioni sui nuclei familiari del territorio. La comunicazione deve avvenire sempre di persona e al riguardo si pone il problema pragmatico dei familiari che si trovino a distanza dal luogo dell’incidente. In questi casi si corre il rischio che si demandi il compito ad altro reparto di polizia che comunica attraverso il mezzo telefonico a volte, per mancanza di competenze, si limitino a dare sommarie notizie sul coinvolgimento del familiare nell’incidente che aggrava la situazione. In questo caso bisognerebbe implementare la comunicazione tra i due omonimi reparti con gli operatori preposti nei luoghi differenti a demandare il compito agli agenti che possano recarsi nel luogo, ove si trova il familiare. Inoltre è assolutamente necessario che il poliziotto incaricato indossi la divisa di ordinanza e usino l’auto con i colori d’istituto per contrassegnare l’ufficialità e la serietà del momento. All’apertura della porta con il primo contatto visivo, l’agente deve presentarsi con nome, cognome, qualifica e appartenenza al corpo di polizia (giacché non tutti riconoscono l’uniforme), è bene recarsi in due, possibilmente di ambo i sessi (per le differenti sensibilità) per gestire più familiari e per la possibilità di separarsi in casa. Si deve evitare di fermarsi sull’uscio, chiedere la possibilità di entrare in casa e chiedere alla persona di sedersi prima di espletare il compito assegnato. Il linguaggio deve essere semplice, diretto, senza parole troppo tecniche ed evitare frasi di circostanza.
Esempio: Operatore di polizia: “X è stato coinvolto in un incidente”
Familiare: “E’ morto?”
Operatore di polizia: “Sì, X è deceduto circa 30 minuti fa. (pausa). Mi spiace molto. (pausa)”
Non usare espressioni come “spirato”, “non è più tra noi” sono controproducenti, rispetto a espressioni come “morto” “deceduto” decisamente più dirette e chiare. Le reazioni dei familiari possono essere disparate: freezing, sensi di colpa, pensieri controfattuali (“se solo…”), choc, incredulità, accettazione rassegnata, stoicismo, disperazione, aggressività, autolesionismo o dissociazione. In questo frangente è meglio che l’operatore non continui con le spiegazioni dell’evento, di solito le reazioni più intense avvengono nei primi 15 minuti dalla notifica. Il familiare incalzerà con diverse domande sui dettagli dell’incidente e l’operatore deve essere in grado di rispondere in maniera esaustiva e di essere disponibile ad acquisire ulteriori informazioni. Meglio non entrare troppo nei dettagli specialmente se sono cruenti. Evitare frasi “Era destino” o “La volontà di Dio”, specialmente come risposta alla domanda “perché è successo?” tentando di rispondere agli interrogativi esistenziali. La comunicazione non verbale (espressioni del volto, tono, volume della voce, pause, postura, sguardo) deve essere coerente con quella verbale. Alla vittima bisogna sempre riferirsi con il nome proprio e mai con “il morto”, “il deceduto” ecc. Fondamentale l’ascolto dei familiari con interesse autentico, anche se vi è una reiterazione delle domande. Inoltre l’operatore deve essere preparato alla possibilità che il familiare richieda un contatto fisico, come un abbraccio o una stretta di mano, questo atteggiamento non contrasta con l’autorevolezza dell’uniforme anzi connota una certa umanità e spirito solidale che rendono l’operatore attento ai bisogni di sicurezza e rassicurazione degli individui. Non sempre la comunicazione avviene presso la casa del familiare, a volte può essere il luogo dell’incidente o l’ospedale. Nel primo caso il poliziotto deve parlare poco perché si è immersi nello scenario di morte e la comunicazione non verbale dice più di mille parole. Il poliziotto deve prestare massima attenzione alla presenza del familiare, se la salma non è presentabile (smembrato, carbonizzato ecc.) occorre impedire l’avvicinamento del familiare. Da queste scene possono rimanere molti dettagli impressi nella mente come ad esempio il lenzuolo che non copriva bene il corpo della persona deceduta. In ospedale o nell’obitorio alla notizia dell’arrivo dei familiari, l’operatore di polizia deve avvertire i sanitari perché il corpo sia reso presentabile (se possibile) e si deve evitare il contatto con soggetti coinvolti nell’incidente, quando questi presentino palesi profili di responsabilità (es. guida in stato di ebbrezza).
Lo stress post traumatico dell’operatore di polizia
Ricevere la notizia di morte del proprio familiare muta per sempre la vita, si traccerà inevitabilmente un solco esistenziale tra il prima e il dopo che condizionerà ciò che resta da vivere e la stessa concezione sulla vita e sulla morte. Effetti si hanno anche sull’operatore cui grava l’ingrato di compito di comunicare l’avvenuto decesso del congiunto, che assistendo a diverse espressioni di sofferenza ed essendo il messaggero che le causa, subirà un’invisibile scossa al suo quadro psicopatologico. Uno studio del 1989 (Bartone, Ursano, Wright e Ingraham) realizzato in ambito militare, osservando gli operatori preposto all’incarico di parlare con i familiari dei deceduti: i soggetti che avevano assistito al dolore acuto dei familiari riportavano umore depresso, senso di benessere compromesso e sintomi somatici. Ovviamente il temperamento e alcuni tratti della personalità dell’operatore acuiscono o diminuiscono gli effetti negativi, ad esempio gli operatori con resilienza disposizionale subivano meno effetti negativi. Altro dato lo ricaviamo dall’organizzazione statunitense MADD (madri contro la guida in stato di Ebbrezza), ha realizzato uno studio nel 2000 di approfondire programmi formativi, del resto le madri americane avevano già capito che la comunicazione del decesso è un compito estremamente difficile. La formazione sorregge gli operatori nello svolgimento del compito in maniera meno stressante, ergo aiuta a ridurre il bornout che l’operatore si trova inevitabilmente a subire.
Fonti Bibliografiche
Prati Gabriele, Comunicare uno lutto: come aiutare un genitore ad affrontare la tragedia AA.VV. Linee guida per l’operatore di polizia nell’approccio con le vittime di incidenti stradali
Polizia di Stato, Ania Fondazione, Sapienza- Università di Roma
Ugo Terracciano, La comunicazione del decesso nei casi di omicidio stradale: gestire il dolore dei familiari, contenere lo stress post-traumatico dell’operatore di polizia, Il Centauro

Deborah Bottino Criminologa AICIS