(UNIBIOFOR) Eugenio D’orio* – Gennaoro Francione*

Premessa

La prova genetica, cd. “prova del DNA”, è uno strumento grazie al quale l’Amministrazione della Giustizia ha compiuto importanti passi avanti, sia riuscendo a definire i cold case, ovvero quei procedimenti per delitti che erano stati archiviati non essendosi trovato un colpevole, sia migliorando l’efficienza investigativa negli attuali procedimenti penali.

In più, grazie all’uso che può essere fatto delle moderne tecnologie genetiche, il DNA è stato utilizzato con successo anche in molteplici procedimenti di revisione, in cui soggetti sottoposti a condanna definitiva per un delitto sono riusciti a provare la loro innocenza proprio grazie all’esame del DNA.

Tuttavia, se da un lato l’elemento genetico è strumento assai utile per la giustizia, dall’altro va fatta massima attenzione per un suo uso congruo, ovvero che non sia “iper-valutato” o “ipo-valutato” rispetto a ciò che l’elemento genetico può realmente offrire per la ricerca della verità.

Il dogmatismo noto come “prova regina del DNA”, sotto questo profilo, è assai critico. Infatti, non sempre – necessariamente – la compatibilità genetica tra la traccia rilevata sul luogo del delitto – o su cose pertinenti al reato – e l’indagato/imputato è sintomatologia di colpevolezza di quest’ultimo.

Si descriveranno brevemente pregi e difetti – dal punto di vista giuridico e tecnico-scientifico – della prova genetica e si evidenzieranno le criticità attualmente presenti nel sistema, con la produzione di opportune proposte sanatrici.

La prova genetica: aspetti giuridici (a cura di G. Francione, Magistrato)

Un progetto chiave per una nuova interpretazione della materia conforme   a costituzione è rappresentato dalla Criminologia Dinamica che, superando la stasi riduttiva dell’impostazione classica, pone a fondamento dell’ausilio forense prove rigorosamente scientifiche, assunte secondo l’epistemologia popperiana in chiave d’interrogazione multipla del dato (Gennaro Francione – Eugenio D’Orio, Criminologia dinamica. la via di Popper al dna – prefazione di Eraldo Stefani – postfazione di Massimo Pezzuti, Nuova Editrice Universitaria ,  Roma 2019).

La criminologia statica attualmente dominante è aristotelica, apodittica e si allinea al processo indiziario. L’onnipotenza dogmatica del DNA rientra in essa.

La criminologia dinamica richiede, invece, la risposta rigorosa ai quesiti: “Quis quid ubi quibus auxiliis cur quomodo quando”. Trattasi di una locuzione latina, che tradotta letteralmente significa «chi, che cosa, dove, con quali mezzi, perché, in qual modo, quando?». È un esametro elaborato da Cicerone (citato da San Tommaso d’Aquino) nel quale sono contenuti i criteri da rispettare nello svolgimento di una composizione letteraria: considerare, cioè, la persona che agisce (quis); l’azione che fa (quid); il luogo in cui la esegue (ubi); i mezzi che adopera nell’eseguirla (quibus auxiliis); lo scopo che si prefigge (cur); il modo con cui la fa (quomodo); il tempo che vi impiega e nel quale la compie (quando).

 Orbene noi utilizziamo il brocardo con l’aggiunta del quantum per attuare la sequenza ricostruttiva di un delitto in chiave di “criminologia dinamica”, chiamata a rispondere in maniera inflessibile a ogni singolo quesito in verifica e falsificazione dei dati secondo l’insegnamento di Popper.

Utilizzando lo schema sopra detto a un soggetto di cui sia stato trovato il DNA sul corpo di una persona uccisa, una volta sicuri dell’identificazione della persona, per la correttezza nella procedura di acquisizione della traccia, catena di custodia e analisi di laboratorio non basta quell’elemento per attribuirle il delitto. Bisogna stabilire in maniera precisa “come” quella traccia sia arrivata sul corpo, “quando”, e soprattutto che rapporto abbia con l’eventuale azione omicidiaria, non potendosi escludere una contaminazione accidentale, ad arte o un lascito da parte del soggetto incriminato al di fuori del delitto di omicidio (casuale o rapportata ad altri eventi come occultamento di cadavere).

 Quanto alla procedura la Criminologia Dinamica sostiene che bisogna riformare i sistemi di acquisizione dei dati genetici e delle prove in genere, anticipando il processo come contraddittorio reale sin dalla fase preliminare delle indagini.

“In tema di indagini preliminari – ha sostenuto la Cassazione penale n. 52872/2018 – gli esiti del prelievo di tracce biologiche e delle successive analisi genotipiche finalizzate ad eventuali confronti sono utilizzabili quando il procedimento si svolga contro ignoti e non sia possibile osservare le garanzie di difesa previste per gli accertamenti tecnici irripetibili compiuti dal pubblico ministero”.

La nostra esegesi è nettamente contraria a questa interpretazione, essendo quanto meno la norma relativa da rivisitare in quanto incostituzionale.

Bisogna nominare un difensore e un consulente pro-noto e pro-ignoto per assicurare fin dagli atti preliminari d’indagine la parità delle parti e il dovuto controllo di un contraddittore reale di difesa secondo l’art. 111 della Costituzione.

La prova si forma pro forma al dibattimento ma nella sostanza si costruisce proprio in quegli atti preliminari e solo assicurando garanzie irrefragabili per l’indagato conosciuto o sconosciuto si realizza il dettato della costituzione di un giusto paritario processo.

La prova genetica: aspetti tecnico-scientifici (a cura di E. D’Orio, Perito di Biologia Forense)

Sotto il profilo tecnico, il DNA, per tale intendendosi l’esame genetico in laboratorio di una traccia, è l’ultimo di una serie di passaggi. Grazie alle moderne tecniche, la cui efficienza è sempre più accurata, l’analisi genetica può – sussistendo date condizioni – portare all’identificazione personale del/i soggetto/i che depositarono traccia biologica di sé.

Ad oggi, la valutazione del profilo genetico viene svolta con kit che hanno un minimo di 17 marcatori. Con questi, se il profilo genetico che deriva dall’analisi tecnica è privo di anomalie o fattori critici, è possibile identificare il profilo genetico ed anche calcolare il “grado di unicità del profilo genetico all’interno della popolazione” (T.Billie, J.A.Bright, J.Buckleton T.Billie, J.A.Bright, J.Buckleton,  Application of random match probability calculations to mixed STR profiles,  Journal of Forensic Science, 2013).

 Con i kit analitici oggi comunemente utilizzati – quelli a 17 marcatori – si è in grado di stimare l’unicità del profilo e, i calcoli biostatistici, consentono di arrivare a numeri ben oltre il miliardo.

In termini agevoli, ciò significa che il profilo genetico riscontrato dall’analisi è “unico”, ovvero la probabilità casuale di trovare un soggetto con questo stesso profilo genetico (che non sia il donatore della traccia) è di 1 su svariati miliardi.

Le tecniche di nuova generazione, di derivazione sperimentale, sono in grado verosimilmente anche di stimare caratteristiche fenotipiche del soggetto che lasciò la traccia biologica (ciò è particolarmente utile nei casi – frequenti – di indagini a carico di ignoti da identificare) (M.Kayser,  Forensic DNA Phenotyping: Predicting human appearance from crime scene material for investigative purposes, Forensic Science International Genetics, 2015).

 Altre tecnologie mirano a migliorare l’ambito della ricerca delle tracce biologiche; infatti, è noto che l’occhio umano può percepire solo il 15% circa del totale delle tracce biologiche presenti (molte sono latenti perché spesso sono di quantità troppo esigua per essere apprezzate dall’occhio umano) (E.D’Orio, H.S.Mogensen, F.T.Petersen, H.J.Larsen, N.Morling  Detection of biological stains using the Lumatec Superlite 400 Alternative Light Source, Conference “Human Identification Solutions” HIDS, Rome 2018).

Queste tecnologie rappresentano il futuro in quanto consentono di far entrare nel procedimento informazioni scientifiche che, attualmente, potrebbero essere disperse, non essendo in grado la strumentazione di operare il loro rilievo ed acquisizione.

Conclusioni

Come si è detto, identificazione non è sinonimo di colpevolezza del soggetto (spesso indagato/imputato) che viene individuato. Questo binomio può essere corretto ed incorretto.

La modalità opportuna per operare – da parte del giudice – questo discernimento sta nell’applicare una serie di criteri oggettivi per la corretta assunzione probatoria del senso dei dati genetici riscontrati.

La valutazione del rapporto di contestualità tra traccia genetica e fatto delittuoso deve sempre essere operata dal giudicante.

I parametri per svolgere ciò correttamente consistono in: valutazione preliminare formale in ordine alla corretta acquisizione delle fonti di prova biologica; valutazione dell’integrità della catena di custodia; valutazione del grado di identificazione offerto dalla risultanza genetica; valutazione del numero di tracce biologiche rinvenute; valutazione sierologica (ossia inerente al tipo di tessuto biologico umano dal quale la traccia biologica proviene);  valutazione dei dati medico-legali (quando disponibili); valutazione congiunta con le altre informazioni derivanti da altre discipline tecnico-forensi.

Sia chiaro che, laddove sono riscontrate irregolarità formali o omissioni nella documentazione che non consentono la verifica delle modalità di acquisizione/trattamento della fonte di prova biologica o il tracciamento non è possibile in tutti i suoi passaggi, l’elemento probatorio è – in concreto – processualmente inutilizzabile (tale vizio è di natura insanabile) (Corte di Cassazione, Sezione V penale, Sentenza Nr 36080/2015).

Quanto alla procedura l’intervento di un consulente pro-noto o pro-ignoto già sulla scena del delitto è una garanzia di corretta applicazione dei protocolli, utile sia per proteggere gli stessi operatori da eventuali involontari errori o omissioni, sia per assicurare una scientificità assoluta e rigorosa del dato.

Eugenio D’orio, Biologo Genetista Forense, Presidente della Unibiofor

Gennaro Francione, Magistrato

AICIS