La notizia del giorno riguarda una indagine antimafia che gli inquirenti hanno denominata ‘Billions’. L’inchiesta ha permesso di scoprire “un’organizzazione che, con una metamorfosi criminale, ha sostituito i tradizionali reati con un complesso sistema finalizzato alla commissione di reati di natura finanziaria“.
In altri termini, abbiamo capito che al nord Italia la mafia è soprattutto mafia economico-finanziaria.
Neanche a dirlo tra i destinatari di una delle misure detentive risulta un soggetto di spicco della criminalità calabrese: uno dei protagonisti della guerra di ‘ndrangheta combattuta a Reggio Emilia negli anni ’90. La polizia di Stato e la guardia di finanza hanno eseguito numerose misure cautelari personali per frode fiscale, bancarotta e riciclaggio e sono stati sequestrati beni e disponibilità finanziarie per un totale di 24 milioni di euro nei confronti dei presunti membri di un’organizzazione criminale avente base a Reggio Emilia e operante su tutto il territorio nazionale. Per inciso, alcuni degli indagati risultano beneficiari di reddito/pensione di cittadinanza.
Ndrangheta emiliana:
La più grande inchiesta antimafia del nord Italia, denominata “Aemilia, portò nel 2015 all’arresto di 160 persone tra Calabria ed Emilia. A dominare la scena gli esponenti della famiglia Grande Aracri che, secondo gli investigatori, erano riusciti a infiltrarsi nel tessuto sociale di Brescello, arrivando a influenzare direttamente il sindaco, la sua famiglia e molti professionisti del paese. Indagini e ricerche hanno dimostrato che nella provincia di Reggio nell’Emilia la ‘ndrangheta e la camorra hanno puntato soprattutto a riciclare i proventi del traffico di droga in attività legali, come il settore delle costruzioni e in particolare quello del movimento terra. Non mancano però anche attività criminali più tradizionali, come il traffico di droga, l’usura e l’estorsione.
Le origini dell’infiltrazione:
Come in molti altri centri del Nord, la presenza delle organizzazioni criminali meridionali a Brescello iniziò negli anni Ottanta, con il soggiorno obbligato di un boss della ‘ndrangheta in un paese vicino. Introdotto nel 1965, il soggiorno obbligato era una misura pensata per cercare di rescindere i legami tra boss criminali e il tessuto sociale dal quale provenivano. Le indagini di magistratura e commissioni parlamentari antimafia hanno dimostrato la debolezza di un tale intento: la misura finì anzi con favorire l’espansione delle organizzazioni criminali in territori diversi da quelli del loro tradizionale insediamento, spesso sfruttando l’aiuto dei loro compaesani, arrivati negli stessi anni in cerca di lavoro nelle fabbriche del Nord.
Il “soggiornante obbligato” che diede inizio all’insediamento criminale nella zona di Brescello si chiamava Antonino Dragone, boss della cosca di Cutro e inviato nel 1982 a Quattro Castella, un piccolo paese a trenta chilometri da Brescello. Poco dopo arrivò nella zona anche la famiglia di uno dei suoi principali collaboratori, Nicolino Grande Aracri, il fratello di Francesco, che negli anni successivi sarebbe divenuto una sorta di “padrone della città”. A Brescello e dintorni era presente una numerosa comunità di emigrati calabresi: brave persone salite al nord per lavorare soprattutto nell’edilizia. Per i boss è stato come “giocare in casa”. La zona dove risiedevano i calabresi venne scherzosamente ribattezzata Cutrello.
Da semplici luogotenenti del boss Dragone, i Grande Aracri divennero i capi della cosca di Cutro. Approfittando del fatto che il boss si trovava in carcere, alla fine degli anni Novanta lanciarono un’imponente campagna di reclutamento nei confronti degli uomini di Dragone e molti di loro scelsero di cambiare fazione. Quando Dragone e suo figlio furono uccisi in due agguati, rispettivamente nel 2004 e nel 1999, i Grande Aracri divennero i capi assoluti della cosca e Nicolino poté creare il suo personale capitolo locale della ‘ndrangheta.
Tra le principali attività del clan, oltre a quelle legali come l’edilizia, c’erano il traffico di droga, l’estorsione (soprattutto nei confronti di altri imprenditori calabresi) e il controllo degli appalti pubblici, che riuscivano a ottenere grazie ai loro buoni rapporti con la politica locale. Nel controllare Brescello, infatti, i Grande Aracri usarono una mano molto leggera. Consideravano la cittadina la loro nuova casa e, in quanto tale, la trattarono con particolare riguardo. Come spiegò un collaboratore di giustizia, gli ‘ndranghetisti non «sporcano» il territorio dove abitano: evitano di compiere crimini o altre attività che potrebbero destare allarme o preoccupazione tra gli abitanti.
Dragone, invece, non aveva sempre esercitato la stessa cautela. Nel 1992 a Brescello avvenne il primo, e fino a oggi unico omicidio di ndrangheta. Un immigrato calabrese venne ucciso nella sua abitazione per vendicare un altro omicidio, commesso a Cutro, in Calabria, da un suo parente. In pieno stile ‘ndranghetista gli assassini arrivarono a casa del loro bersaglio travestiti da carabinieri e lo uccisero non appena gli venne aperta la porta.
I Grande Aracri non taglieggiavano gli imprenditori locali ma si limitavano a farlo con i loro conterranei o con quelli di zone distanti dalla cittadina e cercavano di ingraziarsi la popolazione locale. Così, si appoggiavano a professionisti della zona (l’avvocato e sindaco di Brescello Ermes Coffrini difese in diverse occasioni Francesco Grande Aracri, successore di Nicolino alla guida della cosca). In occasione di un’alluvione regalarono al comune diversi quintali di sabbia e ghiaia con cui costruire argini temporanei. In generale la strategia basata sul “soft power” ha ripagato la famiglia.
Come hanno scritto i ricercatori dell’Università di Milano: «Le modalità non violente di presenza ʼndranghetista sul territorio non hanno provocato allarme sociale, nonostante l’amministrazione e le forze dell’ordine dai primi anni Duemila, se non prima, fossero consapevoli del problema».
AICIS