di Lara Ghiglione*
La criminologia e la psicologia sociale hanno di fatto dimostrato come la gran parte dei crimini si verifichino a causa di condizionamenti sociali; nascere e crescere in un contesto famigliare e sociale con certe caratteristiche non è dunque ininfluente rispetto alla persona che diventeremo e ai comportamenti che assumeremo. Abbandonata definitivamente la teoria che tutto dipenda da caratteristiche innate, riscontrabili addirittura in alcuni tratti somatici ben definiti, di “lombrosiana” memoria, si è ritenuto utile provare ad indagare gli effetti di alcuni condizionamenti sociali e di come questi tendano a influenzare i nostri comportamenti, sino a portarci ad assumere decisioni che mettono a repentaglio la nostra sicurezza e quella altrui.
Tra i tanti esperimenti sociali, orientati a verificare le cause e gli effetti del nostro agire, uno in particolare è riuscito a dimostrare quanto gli atteggiamenti discriminatori, agendo sull’autostima individuale, siano in grado di determinare una brusca caduta dell’autostima che si tradurrà, inevitabilmente, in risultati peggiori e talvolta in comportamenti devianti o, addirittura, antisociali.
Su questo versante, uno dei più significativi esperimenti della storia è stato condotto nel 1968 da Jane Elliott, insegnante elementare, antirazzista, promotrice dei diritti LGBT e femminista; a seguito dell’uccisione di Martin Luther King, attivista per i diritti degli afroamericani, la Elliot decide di organizzare, all’interno della propria classe, un vero e proprio esperimento sociale denominato “Blue eyes/Brown eyes”, per mostrare ai propri studenti gli effetti provocati da atteggiamenti discriminatori. Lo scopo era quello di dimostrare che quando si utilizza una “differenza” come pretesto per attuare comportamenti ghettizzanti, l’effetto che si verifica può indurre forti reazioni emotive e comportamenti ostili, nonché determinare una netta contrapposizione tra due fazioni opposte, quella delle vittime e quella dei carnefici.
L’esperimento consisteva nel fingere di considerare gli studenti con gli occhi castani un “gruppo inferiore”, rispetto agli studenti con gli occhi azzurri, e nell’indurre questa convinzione in loro stessi e nell’altro gruppo messo in competizione; gli studenti con gli occhi castani vennero spostati dal loro banco e collocati in fondo all’aula, mentre agli studenti con gli occhi azzurri venne concesso di sedere nelle prime file. Inoltre gli studenti con gli occhi azzurri avevano diritto a una doppia razione di cibo, ad utilizzare la palestra migliore e a un intervallo più lungo, durante il quale venivano incoraggiati a interagire tra loro e ad emarginare i compagni con gli occhi marroni. Ma l’effetto più dirompente scaturì proprio dagli atteggiamenti discriminatori dell’insegnante che iniziò a svalutare e disprezzare gli alunni con gli occhi marroni, determinando gravi effetti sul loro umore. La Elliot, infatti, iniziò a sminuire le loro capacità e dimostrò di non avere fiducia in loro, scoraggiandoli nello svolgimento delle attività scolastiche; allo stesso tempo iniziò a lodare le abilità degli alunni con gli occhi azzurri, facendoli sentire superiori. Per rendere più efficace l’esperimento, la docente spiegò alla classe che la melanina aveva un effetto diretto sull’intelligenza e sulla capacità di risolvere i problemi. Questo fu determinante: anche gli alunni che avevano sempre manifestato un comportamento socievole e sicuro, cominciarono a diventare remissivi nei confronti dei compagni del “gruppo superiore” e a manifestare insicurezza e disagio. Anche le prestazioni scolastiche ne risentirono: i risultati raggiunti furono molto più bassi rispetto al loro standard. L’autostima degli studenti con gli occhi marroni era precipitata a causa delle discriminazioni subite, mentre gli alunni con gli occhi azzurri erano diventati più sicuri e fiduciosi nelle proprie potenzialità sino ad assumere, in alcuni casi, comportamenti arroganti; alcuni sembravano addirittura provare soddisfazione nel discriminare l’altro gruppo. Reazione che non può non farci pensare, ad esempio, a ciò che accadde durante il nazifascismo, quando l’intero popolo ebraico, anche sulla base di caratteristiche fisiche che lo distingueva dai cosiddetti “ariani”, venne perseguitato e condotto nei campi di sterminio, dove subì violenze psicologiche e fisiche inaudite da parte di alcuni individui convinti di possedere, nel proprio DNA, le caratteristiche adatte ad essere inseriti all’interno di una presunta “razza superiore”.
Al di là delle critiche che la Eliott ricevette per aver esposto i propri alunni ad un tale stress psicofisico, l’esperimento ha dimostrato sia quanto le nostre prestazioni e la nostra autostima dipendano solo in parte delle nostre reali capacità e abilità, essendo queste così tanto influenzate dal giudizio e dalla fiducia che gli altri ripongono in noi, sia come i condizionamenti sociali siano in grado di trasformare gli individui in vittime e carnefici. Considerare qualcuno inferiore, svalutarlo per una ragione qualsiasi, lo convincerà che quella discriminazione sia corretta e questo avrà effetti non trascurabili sull’autostima e sulle prestazioni di quell’individuo. Ciò che Robert Rosenthal chiama effetto pigmalione o della profezia che si autoavvera.
Le consapevolezze scaturite da questi esperimenti sociali dovrebbero indurci a contrastare con decisione tutte le forme di discriminazione e intolleranza anche nell’ottica di una migliore convivenza tra gruppi sociali, di un efficace contrasto ai comportamenti criminali e quindi ai fini di una maggiore sicurezza sociale.
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L’AUTORE:
Lara Ghiglione: Nata alla Spezia, ora vive a Roma. Criminologa iscritta al registro nazionale AICIS al n. 225. Docente, dirigente nazionale della CGIL e criminologa per l’area area di ricerca, formazione e legale. È autrice, oltre di alcuni articoli in ambito criminologico, di due saggi “Così parlano le mafie. Viaggio nei linguaggi mafiosi di ieri e di oggi” (Città del sole) e “Corrotti. Dentro gli affari criminali di élite e mafie” (Armando editore).
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