#di Cristian Rovito*

Nei giorni scorsi è stata pubblicata la relazione della DIA relativa al secondo semestre 2021, scaricabile direttamente dal sito istituzionale [Home – DIREZIONE INVESTIGATIVA ANTIMAFIA (interno.gov.it)]. Di interesse criminologico (e non solo!) è quanto relazionato sulle mafie italiane, che deve essere oggetto di studio ed approfondimento del criminologo. Il documento tratta del fenomeno criminale nella sua evoluzione adattiva alle contingenze, nei suoi effetti sull’assetto economico – produttivo del paese, e ne analizza le modalità con cui persegue i suoi scopi nell’esercizio di un potere che è forte, ben radicato e strutturato secondo diversificate logiche e prassi criminogene.

Sulla scorta degli esiti delle più rilevanti inchieste conclusesi nel semestre di riferimento, è stato possibile delineare “l’immagine di una ‘ndrangheta silente ma più che mai pervicace nella sua vocazione affaristico imprenditoriale, nonché costantemente leader nel narcotraffico”. Persistente risulta la preoccupazione legata ad un modello collaudato che vede la criminalità organizzata calabrese proporsi ad imprenditori in crisi di liquidità offrendo forme di sostegno finanziarie parallele e prospettando la salvaguardia della continuità aziendale con l’obiettivo, invero, di subentrarne negli asset proprietari e nella governance. Tale approccio metodologico persegue un duplice obiettivo: da un lato riciclare le risorse economiche di provenienza illecita; dall’altro impadronirsi di ampie fette di mercato inquinando l’economia legale. A cristallizzare tale modus operandi concorre l’abilità dei sodalizi calabresi di avvicinare e infiltrare quell’area area grigia (Rocco Sciarrone, Luca Storti, Le mafie nell’economia legale. Scambi, collusioni, azioni di contrasto, Il Mulino, 2019) che annovera al suo interno professionisti compiacenti e pubblici dipendenti, la cui azione “coordinata e sistematica” favorisce l’inquinamento del settore degli appalti e l’infiltrazione nei più ampi gangli gestionali della cosa pubblica.

Il settore sanitario, ad esempio, peraltro fortemente caratterizzato da ataviche criticità, soprattutto negli ultimi due anni e mezzo è stato sottoposto a forti pressioni a causa degli effetti e delle esigenze causate dalla pandemia. In effetti, il COVID-19 non ha fatto altro che renderlo ancora più debole sotto il profilo strutturale, sistemico, organizzativo ed economico – finanziario. Come noto, il fenomeno mafioso calabrese è perimetrato su una forte connotazione familiare, dacché proprio tale prerogativa l’ha reso quasi del tutto immune dal fenomeno del pentitismo, sebbene si sia registrato comunque un inedito impatto nei contesti giudiziari dell’avvento di un numero sempre crescente di ‘ndranghetisti collaborazionisti. Meritano un cenno quelle inchieste giudiziarie con cui è stata provata la sistematica attitudine delle ‘ndrine a relazionarsi agevolmente sia con le sanguinarie organizzazioni del narcotraffico sudamericano, sia con politici, amministratori, imprenditori e liberi professionisti potenzialmente strumentali al raggiungimento dei propri obiettivi (i white collar di Sutherlandiana memoria) [Sutherland, Edwin H. (1924) Principles of Criminology, Chicago: University of Chicago Press]. La diffusa corruttela condiziona fortemente i rapporti istituzionali con gli Enti locali con il fine di ricavare indebiti vantaggi nella concessione di appalti e commesse pubbliche sino a controllarne/determinarne le scelte.

L’inquinamento mafioso produce seri effetti tanto sulla gestione della cosa pubblica, quanto sulla competizione elettorale. I tentacoli della ‘ndrangheta, attraverso una conclamata capacità imprenditoriale, si estendono in maniera rilevante con il narcotraffico. Che è pertanto performante strumento di accrescimento di ingenti risorse economico – finanziarie.

Sotto altro verso, la capacità di adattamento e addirittura di “resilienza” dei sodalizi criminali calabresi favoriscono enormemente forme di dinamismo criminogeno tali da facilitarne il rapido conformarsi ai diversi contesti territoriali e sociali, acquisendo, anche al di fuori dai confini nazionali, assetti strategici di sommersione in linea con il progresso e con la globalizzazione. Oltre ad insidiare le realtà economico-imprenditoriali di altri territori, le cosche perseguono l’intento di replicare sic et simpliciter i modelli mafiosi originari facendo leva sui valori identitari posti alla base delle strutture ‘ndranghetiste.

Per ciò che concerne la criminalità organizzata siciliana, siamo dinanzi ad un sodalizio con caratteristiche diverse nelle varie aree della Regione sicula. Nell’isola cosa nostra si conferma strutturata in mandamenti e famiglie. Improntata secondo schemi meno rigidi rispetto al passato per ciò che interessa la ripartizione delle competenze territoriali delle supra citate articolazioni mafiose. Cosa nostra si conferma organizzazione tendenzialmente unitaria sempre più tesa alla ricerca di una maggiore interazione tra le varie articolazioni mandamentali in mancanza di una struttura di raccordo di “comando al vertice”. Seguendo questa strutturazione, l’indirizzo mafioso si sviluppa attraverso la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione operative da parte di anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà. Agli “anziani” si affiancano giovani criminali che forti di uno sponsor parentale “di spessore” vanno a ritagliarsi nuovi spazi territoriali e criminali in funzione di supplenza dei boss detenuti. Rispetto agli anni bui degli attentati e delle stragi mafiose, nonché delle “rese dei conti”, il ricorso alla violenza da parte di tutte le organizzazioni mafiose continua, tuttavia, a mantenersi su tassi minimali. Ciò in ragione della centralità del business che le vedrebbe, a volte contrapposte, a convivere sullo stesso territorio per la spartizione degli “affari”. Rispetto al passato, siamo dinanzi ad una mafia sempre più silente e mercantilistica tendente a privilegiare un modus operandi collusivo-corruttivo nel quale gli accordi affaristici non sono stipulati per effetto di minacce o intimidazioni ma sono il frutto di patti basati sulla reciproca convenienza. Cosa nostra catanese, ad esempio, si contraddistingue per la sua vocazione di penetrare e di confondersi nel tessuto economico legale, in quello imprenditoriale e nelle dinamiche della gestione locale della cosa pubblica. Nel tempo anche le altre organizzazioni di tipo mafioso hanno perseguito la medesima strategia abbandonando il più possibile l’idea di affermarsi sul territorio mediante azioni eclatanti e destabilizzanti per la sicurezza pubblica. Si preferisce pertanto individuare, all’interno delle amministrazioni pubbliche locali e delle professioni o delle imprese, soggetti di riferimento in grado di garantire il perseguimento dei propri interessi illeciti. La strategia mafiosa è indirizzata al rafforzamento dell’interlocuzione con professionisti ed ambienti istituzionali che, abbandonando il tradizionale ricorso a metodi cruenti per il controllo del territorio, privilegia l’approccio corruttivo. L’azione spregiudicata e violenta del passato ha ceduto il passo alla necessità di adottare strategie silenti di contaminazione e di corruzione. Accanto al controllo del territorio, che resta comunque un’esigenza primaria dell’organizzazione, il percorso intrapreso dalle mafie è quello di inserirsi nel panorama sociale ed economico di riferimento “coinvolgendo” la pubblica amministrazione tramite manovre corruttive. In questo scenario di stagnazione economico-produttiva che risente ancora della crisi pandemica e che aggrava le aspettative soprattutto della popolazione giovanile trovano terreno fertile le consorterie criminali che potrebbero infiltrare le risorse della Regione anche in considerazione dei fondi del PNRR [https://www.governo.it/it/approfondimento/pnrr-gli-obiettivi-e-la-struttura/16702 ] destinati all’Isola. Sempre alta rimane l’attenzione nei riguardi dell’indebita percezione dei contributi comunitari per il sostegno allo sviluppo rurale. Frequenti sono le attività di contrasto all’attività criminale riconducibile alla c.d. mafia agricola nel contesto della quale si è delineata l’attività volta all’acquisizione di contributi pubblici per l’agricoltura a seguito di false dichiarazioni e frodi in danno dell’U.E. Una certa similitudine con quella che gli storici del crimine organizzato hanno definito “mafia gialla” e “mafia verde” [Salvatore Lupo, La mafia. Centosessant’anni di storia, Donzelli, 2018].

Infatti, nell’entroterra siciliano, il comparto agro-pastorale è il settore di traino per l’economia che di conseguenza attira l’interesse delle consorterie mafiose che si avvarrebbero di prestanome e professionisti compiacenti. Il fenomeno continua a manifestarsi in tutta la sua gravità interessando le aree agro-pastorali del cuore della Sicilia, deviando ingenti flussi finanziari che, di fatto, risultano sottratti al reale sostegno delle attività produttive ed allo sviluppo del comparto che è destinato quindi a divenire sempre più marginale. La “mafia affaristica” si avvale di società di comodo e di imprenditori compiacenti/assoggettati e che continua a confermare il proprio interesse su settori nevralgici per l’economia dell’Isola.

L’accumulo di ingentissime risorse finanziarie quale profitto delle poliedriche attività-reato poste in essere dai sodalizi necessita, come peraltro si registra la ‘ndrangheta” di opportuni processi di “ripulitura” dei capitali. Per soddisfare tale esigenza i sodalizi criminali individuano soluzioni sempre più raffinate finalizzate a rendere difficili le operazioni di accertamento della effettiva titolarità dei cespiti illegalmente acquisiti.

Per ultimo, occorre dissertare sulla mafia pugliese, in merito alla quale coesistono espressioni delinquenziali in continua evoluzione; tradizionalmente distinte in mafia foggiana, camorra barese e sacra corona unita, che hanno saputo sviluppare una politica di consolidamento e di espansione territoriale caratterizzata sia da una penetrante e pervasiva capacità di controllo militare del territorio, sia da una spiccata vocazione relazionale finalizzata all’attuazione di un più evoluto modello di mafia degli affari. In ragione della necessità di dare la giusta attenzione a tali fenomeni di criminalità organizzata di stampo mafioso, nonché per contrastare l’infiltrazione criminosa nell’attività pubblica, anche tramite la collaborazione con altre amministrazioni territoriali, istituzioni, organi della magistratura, forze dell’ordine e rappresentanze della società civile, il 20 luglio 2021 è stata istituita la Commissione Regionale di studio e di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata in Puglia.

Tra le mafie pugliesi, le mafie foggiane sono quelle che diverse ed autorevoli fonti istituzionali definiscono più pericolose, essendo, tra l’altro, particolarmente violente e pervasive. Sono molto strutturate e compatte, quindi in grado di fare proficuamente rete e di creare interconnessioni sia con le mafie storiche, campane e calabresi, sia con quelle trans adriatiche, non disdegnando l’adozione di efferati programmi di espansione territoriale extraregionale. A ciò si aggiunge la disponibilità di un vasto bacino di criminalità comune composto da giovani leve, il ricorso spregiudicato alla violenza e la pronta disponibilità di ingenti quantitativi di armi ed esplosivi. Riuscendo a coniugare tradizione e modernità hanno manifestato una crescente propensione affaristica ed una capacità di interagire nella cd. zona grigia o “borghesia mafiosa” in cui convergono gli interessi della criminalità e di alcuni esponenti infedeli della pubblica amministrazione e dell’imprenditoria.

Anche nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto le operazioni di polizia giudiziaria confermano in un panorama assai variegato l’esistenza sul territorio di organizzazioni mafiose. Infine, ma non per ultime, le complesse dinamiche criminali che caratterizzano la città metropolitana di Bari riverberano sui precari equilibri mafiosi di volta in volta raggiunti dai potenti clan che da sempre si contendono il predominio territoriale nel capoluogo pugliese e in quello della provincia. Il risultato è quello di un perdurante stato di fibrillazione del contesto criminale in alcuni periodi latente ed in altri, come nel periodo in esame, accentuato e con manifestazioni violente. Lo scenario del narcotraffico in continua evoluzione è fortemente influenzato dalla vicinanza dell’Albania e dai traffici di stupefacenti provenienti dai Balcani. Nei rapporti tra la criminalità pugliese e le consorterie albanesi appare consolidato il ruolo di punta assunto da queste ultime che tendono ad utilizzare i canali gestiti dalle cosche pugliesi per il trasporto delle sostanze stupefacenti anche oltre Regione verso il mercato internazionale.

Sul piano dell’azione di contrasto, si è lavorato a livello socio – culturale, con iniziative e campagne di informazione, comunicazione e diffusione della cultura della legalità; e soprattutto sulle attività di accertamento, di controllo e sulle azioni preventivo – repressive con il ricorso a nuovi modelli di analisi e di sviluppo correlate ad un costante adeguamento dell’applicativo informatico di riferimento ovvero il sistema “EL.I.O.S. – Elaborazioni Investigative Operazioni Sospette”, al fine di renderlo più aderente alle mutate esigenze di carattere investigativo.

Si tratta di un sistema in grado di processare in tempo reale tutte le segnalazioni destinate alla DIA per rendere tempestiva la fruibilità dei relativi dati e degli elementi sul piano operativo. In aderenza agli iter di raccordo info-investigativo definiti nell’ambito di intese protocollari sottoscritte dalla DIA nel rispetto delle previsioni normative, tutte le SOS che, agli esiti di tre processi di analisi (analisi massiva, fenomenologica e di rischio), risultano potenzialmente attinenti alla criminalità organizzata vengono evidenziate alla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo-DNA, che le trasmette alle DDA competenti qualora attinenti a indagini in corso ovvero le sviluppa destinandole ad un apposito gruppo di lavoro, di cui fa parte anche personale della DIA, ai fini dell’esercizio del potere d’impulso attribuito al Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo dall’art. 371 bis c.p.p.. Nel delineato contesto, attenendosi al solo secondo semestre 2021, la DIA ha proceduto all’analisi di 68.955 segnalazioni di operazioni sospette riconducibili a 639.074 soggetti segnalati dei quali 437.372 costituiti da persone fisiche.

Per un efficace contrasto alla pervasività delle mafie nella rete economico-produttiva appare innegabile l’imprescindibile valenza della cooperazione internazionale di polizia che rappresenta una direttrice privilegiata nel contrasto alle organizzazioni criminali più strutturate, attesa la sempre maggiore dimensione oltre confine di queste ultime. In tale contesto si sottolinea l’importanza della già citata Rete Operativa Antimafia @On di cui la DIA è ideatore e Project Leader. Lo strumento ha il primario obiettivo di promuovere lo scambio operativo di informazioni e le best practices, finalizzate al contrasto delle organizzazioni criminali “mafia style” che costituiscono una seria minaccia per la sicurezza dell’U.E. Lo scopo principale resta quello di massimizzare la cooperazione internazionale e il contrasto ai predetti gruppi della criminalità organizzata che hanno un impatto evidente sugli Stati membri dell’UE a prescindere dalle specifiche attività criminali da questi organizzate. Per contrastare in maniera efficace la criminalità organizzata mafiosa operante in ambito internazionale, risulta fondamentale la capacità di individuare in maniera precisa, rapida e dettagliata l’obiettivo da annientare. In tale direzione una riposta sinergica viene posta in essere dalla rete grazie al coordinamento con EUROPOL, EUROJUST ed il supporto finanziario e di indirizzo delle Istituzioni UE. Uno degli strumenti innovativi del Progetto è la possibilità di dislocare all’estero investigatori altamente specializzati nel contrasto di fenomeni criminali di natura transnazionale (quick deploiment). Infatti, la rete (Network) supporta il rapido invio sul posto di investigatori esperti dei Paesi aderenti, oltre a permettere l’impiego di sofisticate strumentazioni tecniche di indagine a supporto delle Agenzie di Polizia (LEAs – Law Enforcement Agencies).

Le indagini patrimoniali che richiedono il tracciamento, l’individuazione e il sequestro dei beni all’estero, si avvalgono di due fondamentali canali di cooperazione coordinati da EUROPOL: l’ARO (Asset Recovery Office) e la rete informale CARIN (Camden Asset Recovery Inter-Agency Network). La piattaforma ARO è la piattaforma collaudata in ambito UE e finalizzata all’individuazione di beni oggetto di reato da sequestrare e confiscare, mentre la rete CARIN è attiva, in ambito internazionale, per le medesime finalità, e ricomprende autorità di polizia e giudiziarie di 61 Paesi.

 

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L’AUTORE:

Cristian Rovito è un criminologo qualificato AICIS, giurista, consulente ed esperto ambientale, operatore di polizia giudiziaria del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera. Scrive per diverse riviste specializzate di settore, giornali, magazine e blog.

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