E’ in linea con la costituzione la previsione dell’art. 4 della legge 110/1975, che punisce il porto non giustificato di strumenti atti ad offendere. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 139 del 10 luglio 2023, pronunciandosi in merito alla questione di legittimità costituzionale della norma sollevata dal tribunale di Lagonegro. 

LA NORMA

Secondo l’art. 4 non possono essere portati fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, armi, mazze ferrate   o   bastoni ferrati, sfollagente, noccoliere, storditori elettrici e altri apparecchi analoghi in grado di erogare una elettrocuzione. Inoltre, senza giustificato motivo, non possono portarsi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche, nonché qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona.

LA QUESTIONE

La questione di costituzionalità per l’asserita la violazione degli articolo 3, 25 e 27 Cost. verteva sul fatto che per alcuni strumenti atti a offendere, cosiddetti “nominati” (quelli previsti dalla prima parte del secondo comma dell’articolo 4), cioè “bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche” il reato di porto abusivo si fondi semplicemente sull’assenza di un giustificato motivo, mentre per altri strumenti atti a offendere, cosiddetti “innominati” (qualsiasi  altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona) oltre alla mancanza del “giustificato motivo” per integrare il reato di porto abusivo sia necessario anche che ricorrano, per l’appunto, specifiche circostanze “di tempo e di luogo”. Secondo il tribunale proponente, la necessaria offensività del fatto, sarebbe assente o particolarmente deficitaria nei casi in cui il soggetto agente, pur non avendo voluto o saputo esternare il motivo del porto, abbia operato in contesti dai quali non traspaia il pericolo di offesa alla persona.  

 LA DECISIONE

La Corte Costituzionale ha respinto come non fondate le motivazioni del tribunale, giudicando “coerente il dettato normativo dell’art. 4 comma 2, prima parte L. 110/1975, ove non prevede quali elementi strutturali del reato la presenza delle circostanze di tempo e di luogo atte a prefigurare un rischio di uso lesivo nei confronti della collettività. Infatti, il legislatore, secondo la Consulta, ha correttamente scelto di adottare un approccio di maggior rigore nei confronti del soggetto agente, il quale abbia portato fuori della propria abitazione o delle sue appartenenze un’arma impropria c.d. nominata che, sebbene di portata potenzialmente meno lesiva di quella posseduta da alcuni strumenti “innominati” (es. bastoni, martelli), secondo massime empiriche è più frequentemente rivolta all’uso illecito”. Inoltre, sotto il profilo della compatibilità con la categoria dell’offensività “in astratto”, la Corte ha intanto ritenuto ragionevole l’anticipazione della tutela allo stadio del pericolo presunto, tenuto conto degli interessi in gioco (incolumità pubblica) e del fatto che ragionevolmente l’ordinamento possa considerare altamente rischioso per l’incolumità dei terzi che taluno porti con sé uno strumento lesivo, sebbene per natura principalmente devoluto a fini leciti, fuori della propria abitazione o delle pertinenze, e non ne voglia o sappia rendere noto il motivo. Altro sarebbe la teoria giurisprudenziale maggioritaria secondo cui il motivo debba necessariamente essere espresso e reso riscontrabile al momento del controllo di polizia, circostanza che, ad esempio, non si richiede nell’affine fattispecie di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli (art. 707 c.p.).

Ricorda la Consulta che, mentre nel caso dei reati di pericolo concreto il giudice deve verificare se “alla luce delle specifiche circostanze sussistesse una seria probabilità della verificazione del danno, nei reati di pericolo presunto, il giudice deve escludere la punibilità di fatti pure corrispondenti alla formulazione della norma incriminatrice, quando alla luce delle circostanze concrete manchi ogni (ragionevole) possibilità di produzione del danno.