La devianza (criminalità ambientale!) studiata all’interno della cornice propria della green criminology, s’impronta sul piano criminologico inevitabilmente sulle concezioni legali, quindi sulle fasi di costruzione vera e propria che si connette alle definizioni giuridiche di illecito ambientale e soprattutto di danno ambientale.

Occorre a tal proposito evidenziare che il concetto giuridico di “danno ambientale” è stato introdotto con la legge 348/86, il cui art. 18, comma 1, recita: “qualunque  fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo, in tutto o in parte, ed obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato”.

Il danno ambientale è quindi un istituto giuridico con cui ci si riferisce alle conseguenze negative introdotte nell’ambiente o nei riguardi di una sua risorsa considerata come unitaria (flora, fauna, aria, acqua, suolo) o integrata (ecosistema, habitat, territorio). In termini giuridici, quindi, il danno ambientale fa riferimento ad interventi indotti dal comportamento umano o da pratica antropica che implicano responsabilità civili e di conseguenza un obbligo al risarcimento.

Con il termine “alterazione” il legislatore ha inteso ogni modificazione che viene apportata alla risorsa rispetto al suo precedente stato e indipendentemente dalla circostanza che la modificazione sia reversibile o irreversibile. Per “deterioramento”, invece, si fa riferimento alle varie forme di peggioramento di tipo qualitativo o quantitativo di un bene ambientale. La distruzione riguarda l’atto che porta al venir meno di un bene o di una risorsa, totalmente o in parte. Il danno ambientale spesso non può essere quantificabile a causa delle varie matrici in cui può manifestarsi e in seguito alle difficoltà di valutazione intrinseca al danno stesso. La responsabilità civile nei confronti del danno ambientale è uno degli strumenti introdotti per la tutela dell’ambiente a livello nazionale. Tale strumento stabilisce il principio del “chi inquina paga” ed ha come suo scopo prevenire il danno ambientale rendendo più responsabili gli operatori che effettuano atti o pratiche causa di rischio danno. Lo strumento della responsabilità civile nei confronti del danno ambientale viene esercitata dal Giudice ordinario nell’ambito di un procedimento penale o civile.

Perché un danno ambientale sia risarcibile è necessario che:

  • il danno sia causato da un fatto doloso o colposo, commissivo o omissivo, in violazione di una disposizione di legge o di provvedimenti adottati in base a legge;
  • siano identificati gli autori del fatto doloso;
  • il danno sia determinato in termini di alterazione o modificazione o deterioramento o distruzione totale o parziale della risorsa ambientale;
  • venga dimostrato il rapporto causale tra fatto doloso e danno ambientale;
  • ai sensi dell’art. 18, 3° comma, L. 349/1986 , lo Stato o l’Ente territoriale competente, richiede al Giudice un’azione di risarcimento verso lo Stato (nel sistema delineato dal legislatore del 2006, la legittimazione a proporre l’azione spetta unicamente allo Stato).

Orbene, concentrando l’attenzione all’interno di uno, tra i tanti quadri teorici della criminologia ambientale, la natura e la gravità del danno, ciò che rende criminale o meno qualcosa, s’inserisce nella distinzione tra illegalità (malum proibitum) e danno grave (malum in sè).

Nella prima area, i criminologi operano un riferimento ai comportamenti certamente vietati dalla legge,  ma generalmente considerati meno gravi di altri tipi di danni sociali in senso lato, ad esempio l’omicidio. In molti fatti classificabili “devianti”, il danno all’ambiente è considerato accettabile perché è una conseguenza intrinseca delle attività industriali legate a significativi benefici economici. Nella seconda area, il riferimento è invece indirizzato a quei comportamenti intrinsecamente sbagliati per natura e che sono considerati gravi. Il problema principale attiene prevalentemente alla necessità di sradicare il problema, solitamente costruito sul piano criminologico e soprattutto giuridico, in termini di divieto di alcune attività e/o azioni od omissioni e/o di utilizzo di specifiche sostanze. La ratio legis dello strumento giuridico utilizzato inerisce evidentemente la prevenzione e l’abolizione di pratiche/azioni dannose. E’ il caso, ad esempio, dell’applicazione della legge di interesse pubblico in India per impedire alle industrie inquinanti di distruggere siti di importanza nazionale.

La criminalità ambientale è tipicamente definita (e definibile!) sulla scorta di un continuum tra la costruzione di rigide definizioni legali e più ampie prospettive di danno. Si pensi ad un atto non autorizzato o ad un’omissione che viola la legge divenendo sussumibile nella norma penale, quindi sottoposta a procedimento penale e sanzione penale; ad un atto commesso con l’intento di danneggiare o potenzialmente in grado di causare danni ai sistemi ecologici e/o biologici per assicurarsi un vantaggio commerciale o personale; ed ancora a condotte criminose che possono avere conseguenze negative per l’ambiente. Per il prof. Rob White dell’Università della Tasmania: «il danno ambientale è un crimine».

Gli spunti teorici di green criminology appena forniti, sono certamente utili per approcciare sul piano criminologico una recente sentenza della Terza sezione penale della Corte di Cassazione, che si è espressa in merito al delitto di inquinamento ambientale ex art. 452bis del codice penale (Cass. Sez. III n. 21187 del 18 maggio 2023). Occorre dapprima una premessa, perché è necessario riportare la definizione ex lege del delitto di “inquinamento ambientale, introdotto dalla Legge 68/2015:

«E’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la  multa  da euro  10.000  a  euro  100.000  chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:

1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o  significative del suolo o del sottosuolo;   

2) di un ecosistema, della biodiversità,  anche  agraria,  della flora o della fauna.

Quando l’inquinamento e’ prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di  specie  animali  o vegetali protette, la pena e’ aumentata».

La norma è stata costruita dal legislatore ponendo l’accento su quattro elementi fondamentali: compromissione, deterioramento, significatività e misurabilità del danno alla matrice ambientale.

Orbene, i giudici di p.zza Cavour, con la citata sentenza si sono espressi sui primi due elementi: compromissione e deterioramento.

Con il primo si è dinanzi ad un termine a cui sul piano giuridico si ricorre indifferentemente per evidenziare non tanto la maggiore o minore gravità, quanto piuttosto l’aspetto funzionale del bene ambientale. In effetti, il concetto evoca una relazione tra l’uomo e i bisogni/interessi che con esso si deve o si vuole soddisfare. Il deterioramento è sostanzialmente l’’altra faccia della medaglia, per cui emerge chiaramente, non solo sul piano interpretativo (giurisprudenziale ed ermeneutico), l’intento del legislatore di disporre di un’ampia copertura legislativa della diversificazione delle forme di danneggiamento, strutturale e/o funzionale, di acqua, aria, suolo e sottosuolo. Ai fini della configurazione e sussunzione del delitto di inquinamento ambientale non occorre la tendenziale irreversibilità del danno arrecato all’interno del fatto sociale deviante (criminoso) in cui si verifica l’azione deviante (criminosa) del soggetto/reo. Fino a quando tale evenienza non si verifica le condotte poste in essere successivamente all’iniziale compromissione o deterioramento non costituiscono post – factum non punibile.

Nel momento in cui acquistano il carattere dell’irreversibilità, compromissione e deterioramento determinano conseguenze tali da configurare il delitto di disastro ambientale di cui all’art. 452quater c.p.. Forma delittuosa che si configura allorquando vi sia un’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; un’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; un’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

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L’AUTORE:

Cristian Rovito è un criminologo qualificato AICIS, giurista, consulente ed esperto ambientale, operatore di polizia giudiziaria del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera. Scrive per diverse riviste specializzate di settore, giornali, magazine e blog.