(AICIS ITALIA)
Seminario Federpol a Firenze: gli investigatori come operatori di verità. Il saluto di buon lavoro del Presidente dell’AICIS. Complimenti a Luciano Tommaso Ponzi per la qualità della sua presidenza della Federpol
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Due parole chiave, due semplici haschtag: #qualità e #verità, per indicare l’alto valore dell’iniziativa seminariale, del 3 e 4 settembre a Firenze, organizzata della Federpol per discutere di “indagini difensive” nel procedimento penale in Italia. Gli investigatori, chiamati a convegno dal Presidente Luciano Tommaso Ponzi, si sono infatti confrontati con rappresentanti di notevole prestigio e qualità del mondo delle scienze forensi e del foro italiano, discettando sullo spinoso tema della ricerca della verità nel processo. Le indagini difensive sono entrate a pieno titolo nel nostro ordinamento processuale dopo una gestazione faticosa, e ancora oggi non fanno pienamente parte di una cultura processuale di giudici, pubblici ministeri e anche di tanti avvocati che le guardano con un innato sospetto o con indifferenza. Ecco perché l’apporto sempre più professionalizzato di consulenti e di investigatori è necessario più che mai per stabilire davvero quell’equilibrio tra accusa e difesa che oggi campeggia solo nei libri di procedura penale per gli studenti. Lo ha ricordato anche Stefano Cimatti, responsabile della formazione Federpol e Vice Presidente dell’AICIS, per il quale non ci possono essere presunti colpevoli, ma occorre lavorare per i presunti innocenti in linea con la Costituzione democratica.
Un problema culturale:
Certo, alle indagini difensive, il nostro codice di procedura dedica il titolo VI-bis del Libro V – introdotto dalla L. n. 397/2000 – ma l’applicazione di quanto scritto nel testo resta in ostaggio di una prevalente cultura processuale che pone ancora solo nelle mani del pubblico ministero l’onere dell’accertamento della verità. Una sorta di pubblico ministero “Giano Bifronte”, funzionario della verità ma al tempo stesso parte nel processo. E’ vero che l’art. 358 del codice impone al magistrato di svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore dell’indagato, ma ciò è comunque previsto in una proiezione processuale nella quale egli a stretto giro vestirà i panni dell’accusatore. Quindi, per prenderne atto, deve trattarsi di elementi così palesi che per vederli basta applicare i comuni principi di buona fede ancor prima che quelli della citata norma. Ma è sulla ricerca degli elementi a favore che il meccanismo dell’art. 358 è evidentemente un’utopia perché nella realtà la verità non è mai così chiara e soprattutto non è sempre quella che appare. Come biasimare allora un accusatore che spende le sue energie per svolgere bene l’accusa per la quale l’ordinamento l’ha armato? L’equilibrio dovrebbe trovarsi davanti al Giudice dell’Udienza Preliminare che raramente conclude il caso, salvo che non gli venga richiesto di esprimersi nel rito abbreviato solo perché nel qual caso spetta a lui celebrare il processo fino in fondo. E le indagini difensive? E’ un bel dilemma perché è difficile farle valere al pari degli elementi dell’accusa. Non ne siete convinti? Allora leggetevi la Sentenza della Cassazione del 29 maggio 2020, n. 16458 che ha addirittura stabilito il principio secondo cui “gli esiti degli accertamenti e delle valutazioni del consulente del pubblico ministero rivestono una valenza probatoria non comparabile (nel senso che vale di più) a quella dei consulenti delle altre parti del giudizio“. Stiamo parlando di consulenze tecniche, figuratevi quanto potrà essere presa in considerazione la testimonianza raccolta dall’avvocato in sede di intervista investigativa. Al GUP interesserà relativamente (ci penseranno i suoi colleghi in dibattimento a risentire ciò che il teste ha da dire a discarico, ammesso e non concesso che il suo nome non venga depennato dalla lista dei testi e che dopo anni il teste sia ancora disposto a dare un contributo al processo). Forse ha ragione il giudice Gennaro Francione che, sulla sua pagina facebook “Contro il processo indiziario”, teorizza la necessità di tornare al Giudice Istruttore: un vero filtro giuridizionale significativo tra la la fase dell’indagine preliminare e quella dibattimentale.
Fare squadra per un processo giusto:
La cultura non si afferma in un attimo, ci vuole tempo, pazienza e professionalità. Perché? Perché gli errori giudiziari sono davvero troppi e spesso sono ascrivibili ad errori o, anche peggio alla superficialità investigativa. Basta guardare i dati – sapientemente raccolti dai giornalisti Lattanzi e Maimone e pubblicati sul loro sito web www.errorogiudiziari.com: in Italia, un innocente in carcere ogni otto ore, 3 al giorno, 1000 innocenti risarciti all’anno. Tutto questo per un costo economico sociale di 870milioni di euro dal 1991 al 2020, cioè 29milioni all’anno, 79mila euro al giorno, 3310 all’ora, 55 euro al minuto. Quando avrete finito di leggere questo articolo in errori giudiziari si saranno volatizzati più o meno 550 euro. Quante opere carcerarie si potrebbero fare con quei soldi, quante assunzioni nella polizia penitenziaria sempre in debito d’organico? Circa 30 mila casi di malagustizia dal ’91 alla fine dello scorso anno. E parliamo i quelli accertati perché si stima un numero di almeno altri 20 mila innocenti cosiddetti “invisibili”, cioè che rinunciano alla rivalsa, si arrendono ai difetti del sistema o acquisiscono l’idiosincrasia per le aule di giustizia, anche quando se ne avvantaggerebbero. Numeri spaventosi per un Paese culla del diritto occidentale. Abbiamo detto dei costi economici, quelli morali, psicologici e familiari sono inestimabili.
Questa è la fotografia della situazione, ma esibirla non basta. Come dicevamo cambiare una cultura radicata, modificare equilibri consolidati non è facile. Ma investigatori, periti, consulenti, esperti di scienze forensi e criminologi possono dare un contributo decisivo. Solo che, come ha detto al convegno il Generale Luciano Garofano, occorre fare squadra. Occorre conoscere quale contributo ciascuna professionalità può offrire alla ricerca della verità – ha detto il generale – e la sua tesi è stata dimostrata attraverso i numerosi casi che l’hanno visto impegnato professionalmente e che ha saputo esporre al convegno. Qualità e verità, appunto.
AICIS