Il fatto è che l’Arma dei Carabinieri (come la polizia, i vigli del fuoco al pari degli ordini monastici) è una “istituzione totale”: perciò la condotta sbagliata di uno si riflette inevitabilmente sull’immagine d’insieme. Ecco perché la notizia del sequestro di un’intera Caserma dell’Arma, avvenuta nei giorni scorsi a Piacenza (e l’arresto dei militari della stazione) sbalordisce, ma non al punto da gettare discredito su i centomila uomini in divisa che tutti i giorni credono nel loro lavoro e, per serietà e dignità, meritano fiducia e ammirazione incondizionata.
Detto questo, un episodio così grave (almeno stando alle indagini, poiché l’esperienza induce sempre alla prudenza) non può passare come uno dei tanti fatti di cronaca, senza approfittarne estendere il ragionamento oltre i confini della notizia. Insomma, a prescindere da come andranno le cose sul piano giudiziario, ciò che è accaduto – perché qualcosa è innegabilmente accaduto – ci aiuta a mettere in luce alcuni “peccati”, alcune “criticità” che devono essere necessariamente affrontate, con estrema serenità.
FALSIFICAZIONI, OMERTA’ E CAMERATISMO INSANO? Nella Caserma degli “orrori” pare fossero tutti d’accordo, meno uno. Infatti, c’era un carabiniere che si poneva un problema non da poco, alla base di ogni degenerazione e troppo spesso sottovalutato se non tollerato in nome di un generico “il fine giustifica i mezzi” senza considerare che invece più frequentemente “i mezzi non giustificano affatto il fine”. Il male originario si chiama “falsificazione” (detto in termini tecnici “falso ideologico” se non, nei casi più gravi, “calunnia”). Il carabiniere dissenziente – sempre stando alle indagini – nutriva un “forte disagio nel constatare le continue violazioni e gli abusi commessi all’interno della Caserma di via Caccialupo”. Ne è prova il fatto che – come sarebbe emerso dalle intercettazioni – parlando col padre, anch’egli carabiniere in pensione, diceva: “Io barro e non voglio fare un falso ideologico! … cioè .. cioè, c’è l’attestato che ho fatto in data tot qualcosa che, invece, non è neanche vero!”. E il padre gli rispondeva: “appunto! … e questo è un falso, si!”. E’ evidente che il carabiniere si sentisse isolato rispetto ai colleghi, che stando a quanto diceva al padre “si gestiscono molto tra di loro”, anche dichiarando di aver fatto dei servizi di pattuglia che in realtà non venivano eseguiti”. “Lo sai perché se lo possono permettere?” – chiede retoricamente il padre – “perché portano gli arresti!”. E il figlio gli risponde: “Perché portano i risultati, lo so! Lo so!”.
Ecco il punto: chi è più spregiudicato nell’uso di certi mezzi (la falsificazione), a volte appare agli occhi dei superiori (e dei magistrati che convalidano ciò che viene loro prospettato), come il miglior servitore delle istituzioni. E’ una sorta di canone inverso (basti dire che quella Stazione ora sotto sequestro era stata addirittura encomiata per l’attività svolta), che affonda le sue radici nella tendenza alla falsificazione, frutto di una cultura più diffusa di quanto non si pensi, non solo nell’Arma. Attenzione a non generalizzare, come si diceva all’inizio, perché le forze di polizia sono composte da persone perbene e, forse, proprio per questo sono prive gli “anticorpi” contro il virus della slealtà e della falsità. Pensiamoci: che cosa avrebbe potuto fare il carabiniere dissenziente, oltre che sfogarsi col padre al telefono? Avrebbe dovuto denunciare i suoi colleghi, si dirà. Sì, ma quelli erano – sempre stando alle indagini – un gruppo coeso e aduso alle irregolarità se non addirittura alla commissione di reati, e ciò nonostante al tempo stesso ottimi carabinieri agli occhi delle gerarchie. Probabilmente in tre o quattro si sarebbero messi d’accordo, magari avrebbero architettato un’accusa falsa nei suoi confronti, avrebbero orchestrato una serie di testimonianze per inchiodarlo davanti ai giudici e per dirla in termini pratici lo avrebbero “fatto fuori”, magari guadagnandoci pure un encomio dai propri superiori per l’ottima “operazione di pulizia interna” a dimostrazione che l’Arma sa eliminare le mele marce. Ed ecco che l’unico onesto da dissenziente sarebbe passato a mela marcia in un minuto. E avrebbe passato i guai.
PERCHE’ NON DIVENTI SOTTO-CULTURA: Il falso? E’ solo un peccato veniale. La calunnia? Un modo di fare una propria giustizia laddove la giustizia dei Tribunali può essere facilmente piegata ai fini – per nulla edificanti – di uomini pochi senza scrupoli in divisa. Il tutto a danno di poveracci (gli spacciatori arrestati illegalmente) che tanto, se non allora, nelle maglie della giustizia prima o poi ci sarebbero finiti lo stesso. Ma quando – per fortuna in contesti molto circoscritti – la falsità diventa usuale, utilizzarla anche per mettere a posto i conti per odi o invidie interne è un attimo. I magistrati lo sanno: non si contano le lettere anonime circolanti nelle forze di polizia e più in generale negli uffici pubblici per colpire i colleghi pugnalandoli alle spalle. Lavorando insieme nascono antipatie e invidie spesso foriere di iniziative cariche d’odio.
Per il resto facciamoci una domanda: c’è per caso qualche questura in Italia dove presta servizio un agente condannato con provvedimento definitivo per calunnia? Se sì, come è possibile garantire i cittadini che chiedono aiuto che quell’agente riferisca il vero? Come rassicurare i magistrati, nella giurisdizione in cui il calunniatore in uniforme fu condannato, che le sue dichiarazioni nei verbali siano sempre genuine?
Di fatti eclatanti, nelle cronache nazionali se ne raccontano tanti e riguardano sempre gruppi e raramente singoli militari. A Massa Carrara sono sotto processo ben 26 carabinieri, accusati di 188 capi di imputazione. Il caso Cucchi lo conosciamo tutti e non conviene aggiungere altro. Non parliamo proprio del G8 di Genova con le oramai storiche falsificazioni dei verbali, le prove false create ad arte e gli arresti illegali. Bene, i poliziotti condannati dalla magistratura, con quali sanzioni disciplinari sono stati sanzionati dall’Amministrazione di Pubblica Sicurezza? Dall’entità delle sanzioni comprendiamo l’unità di misura con cui i responsabili della sicurezza misurano certe condotte.
E’ stato scritto che le gerarchie avrebbero le proprie responsabilità per un carente controllo sul personale. L’appuntato – secondo l’accusa il capo del gruppo – avrebbe mostrato disponibilità al di sopra della sua portata (nel suo garage, dal 2005 al 2020, avrebbe messo insieme 11 auto e 16 moto, tra cui una Porsche Cayenne, quattro Bmw e due Mercedes). E’ stato scritto, anche, che il problema nascerebbe causa il turnover degli ufficiali (2 o 4 anni nel posto di comando) da cui deriverebbe uno scarso controllo sul personale. Bene, ma cosa avrebbero dovuto fare gli ufficiali davanti all’evidenza che il carabiniere cambiava tante auto? Ficcare il naso nelle faccende private dei dipendenti infrange i diritti di riservatezza della persona, anche se il naso in questione è quello di un Ufficiale. Così, il Comandante di compagnia sarebbe stato tacciato di violare la privacy del militare, di comprimerne la libertà: infatti, nessuno obbliga i militari a giustificare le proprie scelte economiche. E il turnover? Non è quello degli Ufficiali che guasta, anzi: evita comodi compromessi “vivi e lascia vivere” normali nelle lunghe convivenze e rinnova lo stile di comando ogni volta. E’ il mancato turnover dei militari – non quello dei comandanti – la coltura dove piccoli gruppi di infedeli proliferano e se ne approfittano. Il personale è pressoché inamovibile: resta nella stessa stazione per anni, crea legami di complicità che finché è positiva aiuta, ma se è negativa si traduce in omertà.
CENTOMILA CARABINIERI ONESTI, CENTOMILA POLIZIOTTI PERBENE: Quelli che lavorano, quelli che ci credono, quelli votati al servizio alla comunità, quelli che indossano la divisa con dignità, insomma la maggioranza degli appartenenti alle forze dell’ordine, non devono starsene a guardare: devono rifiutare la coltura della falsificazione. Devono considerare la calunnia un comportamento immorale prima ancora che un reato grave. E’ il vaccino contro un virus invisibile, ma qui le mascherine non bastano.
AICIS
