Sul piano semantico la parola sicurezza, in Italia, racchiude un significato di grande latitudine. Del resto, in ambito legislativo e scientifico, la parola ingloba in sé tutto ciò che ha a che fare con la prevenzione. Si va, perciò, dalla sicurezza pubblica a quella privata, dalla sicurezza ambientale a quella alimentare, dalla profilassi delle malattie alla sicurezza del lavoro e via elencando.

Il fatto è che non esiste, sul piano lessicale, una distinzione simile a quella che i Paesi anglosassoni tracciano con la doppia locuzione “security” e “safety”.

Grossomodo possiamo dire che la Safety riguarda la sicurezza dei lavoratori mentre Security è la sicurezza dei cittadini. Ma la distinzione mostra le sue corde alla prova dei fatti, poiché, ad esempio, abbiamo, la safety della navigazione e dei porti ed anche quella delle manifestazioni pubbliche, ambiti dove la differenza rispetto alla security sfuma fino a rarefarsi.

Insomma, tutti questi concetti che sono entrati prepotentemente a far parte della quotidianità, si articolano nella realtà fattuale con una modalità più o meno complessa,  ovvero una sorta di inestricabile intreccio, al punto che la nuova frontiera della sicurezza pare essere oramai quella della “sicurezza integrata”. Certo, la videosorveglianza installata sulla porta d’ingresso dell’abitazione o del negozio è “sicurezza privata”, ma spesso le immagini vengono utilizzate per le indagini di polizia, cioè ai fini pubblici. E di recente la Cassazione ha stabilito che le telecamere perimetrali possono essere funzionali anche alla repressione di comportamenti inurbani, cioè utili alla tranquillità pubblica. Insomma, security, safety, pubblico e privato oramai integrano insieme un unico concetto di sicurezza passiva, elemento essenziale di protezione in un mondo in cui la criminalità, anche quella urbana, è globalizzata e mobile. Di più: siamo sicuri che certi apparati detti di sicurezza passiva siano così passivi? Basta guardare certi algoritmi software, connessi ai sistemi di videosorveglianza, per far vacillare ogni certezza al riguardo.

La verità è che in un mondo dove la sicurezza si declina con nuove importanti sfide occorre continuamente rimettersi in gioco. Ed è questo che fa un testo della portata del “Manuale delle tecnologie di sicurezza” la cui prima edizione risale a 20 anni fa ma è sempre più attuale. Anzi, oserei dire fondamentale, non solo per i manager della sicurezza o per gli addetti ai lavori, ma anche per chi, attraverso il testo, potrà orientarsi per comprendere quali e quante possibilità siano fruibili nel campo della protezione.  Non solo, perché il “Manuale delle tecnologie di sicurezza” per completezza, lucidità e chiarezza, fu adottato nella sua prima tiratura nel nascente e pionieristico corso di laurea in Criminologia presso l’Università di Bologna. Eravamo alla fine degli anni ’90 e partivano i primi corsi universitari triennali (cosiddette lauree brevi), ci fu un’opportunità, fiorita e poi sbocciata con l’istituzione dell’attuale corso magistrale in Scienze Criminologiche per l’Investigazione e la Sicurezza, per affermare un nuovo ambito disciplinare di ricerca. Il “Manuale delle tecnologie di sicurezza” fu adottato nella didattica e rappresentò un supporto di conoscenza unico, ineguagliabile sul mercato editoriale di allora.

Bene, possiamo dire che a distanza di tanti anni ora ci sono fior di professionisti che hanno basato la propria conoscenza nel management della sicurezza sul testo in questione : un libro che, da un certo punto di vista, ha fatto cultura della sicurezza.

Oggi che il mondo è ulteriormente cambiato, con le nuove tecnologie digitali, con le nuove legislazioni e con gli avanzamenti della tecnica, la nuova edizione del “Manuale delle tecnologie di sicurezza” continuerà a rappresentare un caposaldo della conoscenza in materia. Un testo di sicuro interesse per i Security Manager, che mi sento di consigliare anche ai Criminologi come ottimo strumento di lavoro.

Ugo Terracciano