Il retaggio culturale, che ancora oggi caratterizza le nostre società, che vuole la donna in posizione di svantaggio rispetto all’uomo, influenza le dinamiche di violenza che si delineano soprattutto nelle relazioni di coppia. La violenza domestica è una fenomenica criminogena estremamente subdola e laconica giacché è capace di far percepire all’abusato di essere meritevole di certi comportamenti abusanti provenienti dal partner. Il luogo comune di ritenere che la violenza sia solo fisica induce a pensare che il buono e il cattivo siano due poli in antitesi facilmente riconoscibili ma la realtà non consta solo di univoche visioni che emergono in modo inconfutabile. La violenza concerne tutti quegli atti che collocano la donna in una situazione ove subisce strategie di potere e di controllo da parte del partner, atti che non appartengono solo all’ambito fisico ma anche alla sfera psicologica ed economica, atti di persecuzione e violenza sessuale. Le violenze perpetrate danno inizio al maltrattamento. Esiste anche una violenza indiretta all’interno dei nuclei familiari che produce un danno pari a quello prodotto dalla violenza diretta subita dall’abusato, ossia la presenza di bambini che assistono inermi alla violenza espletata.
La violenza fisica
La violenza fisica può delinearsi in diversi modi, spesso le donne si rivolgono ai Centri Antiviolenza solo quando sono vittime di violenze che necessitano di ricorrere a cure mediche, nell’immaginario collettivo, infatti, solo l’evidenza di lividi e ferite creano la condanna sociale (e spesso non è neanche certo). Nemmeno la figura dell’abusante corrisponde all’idealtipo vigente nella mentalità comune di un uomo dall’aspetto rude, violento e noto a tutti per la sua condotta meritevole di biasimo, emarginato e dato al consumo di droghe e alcol, ergo un uomo dall’aspetto immediatamente riconoscibile e confermante le teorie del Lombroso. In realtà solo il 10% dei casi presenta l’abusante con i requisiti descritti (cfr. supra), nel 90% dei casi è un soggetto insospettabile, inserito magistralmente nella società e che pone in essere comportamenti violenti solo fra le mura di casa. Per violenza fisica s’intende qualsiasi atto che possa fare male o spaventare, non solo botte che generano lividi, ma tutta quella serie di azioni che includono intimidazioni o minacce, urla, aggressioni verbali, spaccare oggetti, minacciare a pochi centimetri dal viso della donna, spintonarla, gettarla sul pavimento o sul letto, bloccarla a una parete, tirarle i capelli, metterle le mani al collo, mostrarle un’arma bianca o da fuoco. Le donne tendono a celare le violenze subite e questo rende il fenomeno criminogeno particolarmente nascosto e legato a un substrato culturale che lo rende un segreto da tramandare di generazioni in generazione, un segreto che deve essere celato perché le stesse provano vergogna nel rivelarlo.
La violenza psicologica
La violenza psicologica è ancora più subdola e latente di quella fisica. Nell’immaginario comune questa non esiste, sembra essere priva di abuso perché viene rilegata nel fenomeno del comune litigio o semplicemente dell’incompatibilità dei caratteri della coppia. L’obiettivo del maltrattante è distruggere la personalità della vittima, abbassando la sua autostima con tutta una serie di strategie che la rendono priva di forza vitale. Il maltrattamento avviene tramite strategie di controllo reiterate, l’abusante, tramite le parole e la comunicazione non verbale, esprime sopportazione e disprezzo per la vittima, accenna a una condizione di superiorità rispetto alla partner e le nega una delle parti più importanti della relazione: l’ascolto. Altre strategie mirano a isolarla dal suo contesto sociale e affettivo, impedendoli di coltivare le sue relazioni sociali o sorvegliandola continuamente. Molte donne hanno asserito di essere impossibilitate nel vedere le amiche da sole perché lui paventa di “essere messo da parte”, di non poter coltivare i propri hobbies, di essere costretta a rinunciare a vedere film o spettacoli di suo gradimento perché il partner detiene il potere di scelta, di fare tutto solo ed esclusivamente in coppia. In alcuni casi la violenza psicologica appare solo come una crisi di coppia, come una mancanza da parte dell’abusato di non essere abbastanza per altro o di non essere in grado di salvare il rapporto. In altri casi la violenza è meno latente e molto più visibile, mediante l’uso di offese e insulti, di parole esplicite come “puttana”, “stupida”, “stai zitta”, “mi fai pena”. Ci sono abusanti che non rispettano gli accordi presi con la partner, altri che detengono il potere di coercizione sulla stessa e che esegue ogni minimo ordine; altri che mettono in atto strategie di controllo per far percepire alla partner una sorta di colpa.
In questo scenario di violenza psicologica (e non solo, molto spesso le violenze sono sovrapponibili e concorrenti) s’inserisce il caso dello stalking. Laddove si verifica una separazione, l’abusante non vuole rinunciare alla sua posizione di predatore e inizia ad assumere un atteggiamento persecutorio nei confronti della vittima. Lo stalking è l’ultimo contatto che l’abusante riesce a statuire con la vittima, ciò che permetta la continuazione della sua capacità di detenere il controllo sull’altrui persona. In questo caso la vittima è prima l’oggetto di amore che successivamente diventa vituperevole di averlo abbandonato e il maltrattante perde la concezione del tempo e dello spazio, diventa la sua ragione di vita allorché l’oggetto-amore viene rimosso o annullato completamente. Lo stalking concerne diverse azioni come telefonate continue, anche mute, a qualsiasi ora del giorno e della notte, messaggi che possono essere amorosi e subito dopo pieni di minacce; pedinamenti; stazionare sotto casa della vittima o presso il luogo ove lavora; aggressioni fisiche; finanche l’uso dei bambini per mandare messaggi offensivi alla partner, in questo caso si inserisce quella che viene definita sindrome di alienazione genitoriale (la PAS Parental Alienation Syndrome) ossia una particolare condizione psicologica disfunzionale che si delinea nell’uso spregiudicato dei figli con l’obiettivo di fare male al partner, soprattutto nei contesti di divorzi o separazioni, ove il genitore alienante pone in essere una sorta di lavaggio del cervello che porterebbe i figli a perdere il contatto con la realtà degli affetti e a esibire continuamente disprezzo e astio ingiustificato verso l’altro genitore detto “alienato”. Oltre al danno causato al partner alienato, il danno maggiore si ripercuote sui bambini che interiorizzano determinati aspetti nell’infanzia che divengono traumi occultati che nell’età adolescenziale e nell’età adulta producono i peggiori effetti conseguenziali. Normalmente questo tipo di sindrome colpisce di più la donna, come genitore alienante, cioè la madre, con l’intento della vendetta contro il partner dimentica di fare solo del male ai propri figli.
La violenza economica
Il controllo economico è molto diffuso ma non identificato giacché il fatto che l’uomo detenga il potere economico trova accettazione sociale e non condanna. Seppur sia vero che le statistiche di occupazione femminile siano aumentate e la donna si muove sempre di più verso la propria indipendenza, questo fenomeno criminogeno non è per nulla sparito. In alcuni casi, le donne, coercitivamente, devono versare i loro guadagni su un conto corrente cointestato ma di cui non possono beneficiare, giacché il partner ne detiene il controllo completo; oppure si sentono in dovere di consegnarlo direttamente nelle mani del partner. L’altra faccia di questa violenza è proibire alla donna di cercare un’occupazione o semplicemente ostacolarla, elemento che si cela dietro la maschera dello stereotipo culturale sulla famiglia.
La violenza sessuale
Quando si parla di violenza sessuale l’immagine che s’identifica come tale è lo sconosciuto che pone in essere lo stupro lontano dalle mura domestiche. I dati provenienti dai Centri Antiviolenza mostrano un’altra realtà: la maggior parte degli stupri viene perpetrata all’interno della propria casa, non solo da parte del partner ma anche da persone conosciute che hanno instaurato un rapporto di fiducia con le vittime. Il torvo stereotipo, che copre queste dinamiche di violenza, è quello di considerare la sessualità maschile come sana, ossia la necessità dell’uomo di sfogarsi che corrobora con la vecchia teoria che la violenza maschile sia un qualcosa di fisiologico causata dagli elevati livelli di testosterone presenti nel corpo maschile. Niente di più falso.
Lo stupro avviene anche nel letto coniugale.
Nel momento in cui si costringe la donna ad avere rapporti sessuali quando questa non li desidera, perché è stanca, perché vorrebbe dormire o perché ha appena partorito, integra perfettamente gli estremi dell’abuso sessuale, ex art. 609 bis c.p.
Le fasi della violenza
La violenza, in un numero elevato di casi, è ciclica. Il ciclo della violenza consta di fasi che sono spesso ben identificabili.
- Camminare sulle uova: Le donne iniziano a notare atteggiamenti violenti da parte del partner, più aggressività, più insulti, offese, minacce, mortificazioni, privando le vittime della possibilità di scelta. In queste situazioni è come se le donne imparassero a camminare sulle uova, una situazione di tensione in cui assumono un comportamento tale per non minare il già precario equilibrio, per evitare “di fare una frittata”.
- Scoppio della tensione: in questa seconda fase le donne vivono in perenne minaccia, la loro vita comincia a essere in pericolo, le azioni poste in essere dall’abusante diventano pericolose. In questo caso le donne temono il cosiddetto raptus, il dramma della follia, episodio cui la criminologia nega l’esistenza. Il raptus non è altro che la punta dell’iceberg. Pensiero tale conduce a valutazioni inesatte, in questo caso, il maltrattante mostra veramente l’altra faccia della medaglia: la parte violenta. L’abusata non è più in grado di mettere in atto quelle strategie difensive che le consentivano di mantenere un certo equilibrio all’interno della tensione relazionale. Le donne vivono una sorta di rivelazione, vedono realmente cosa è in grado di fare l’abusante e normalmente è in questa fase che si rivolgono ai Centri Antiviolenza, tuttavia non sono pronte a fare la valigia e andarsene da quella relazione ormai priva di affetto, si presentano confuse e frastornate e le operatrici fanno molta fatica a instaurare un rapporto di fiducia con le stesse.
- Luna di miele: la terza fase è la fase della “speranza malata”, le donne cominciano a pensare che il loro partner possa cambiare, che sia stata solo una circostanza, un fraintendimento, che il caos torni a essere ordine. È la fase che tiene legata la donna alla relazione maltrattante. In genere, dopo l’escalation violenta, il partner abusante vive una fase di calma, in cui, in via apparente, si pente del dolore causato alla compagna. Tenta in qualsiasi modo di ricucire lo strappo nella relazione, perché è la stessa relazione che gli permette di mantenere la sua integrità, ergo cerca l’indulgenza dalla propria partner. Disloca sempre la colpa sulla donna, per il comportamento errato dalla sua prospettiva, ma capisce che potrebbe perderla e a quel punto è egli stesso a fare una sorta di esame di coscienza in cui, però, in sostanza il comportamento violento è solo progenie di un qualcosa di ineluttabile. Le donne intravedono un barlume di speranza e credono realmente che il partner solerte e dolce sia tornato. In questa fase può assumere vari comportamenti per farsi perdonare, come riservarle attenzioni particolari, farle dei regali o semplicemente ristabilire quella situazione di calma antecedente allo scoppio della violenza. Questa è una fase decisiva, perché costituisce il motivo precipuo che incastra le donne, per anni e anni, in una relazione abusante. Le donne, spesso, possono cominciare a non frequentare più i colloqui presso i Centri Antiviolenza ovvero ritirare le denunce.
Queste fasi, come riportato poc’anzi, sono cicliche. Costituiscono il vero nocciolo dell’abuso perpetrato e reiterato dall’abusante che possiede un vero e proprio potere di controllo sulla vita della partner che vive in perenne ansia e sviluppa tutta una serie di disturbi mentali e psicopatologici. In questo labirinto di confusione e disordine, la donna perde il senso del sé, schiacciata dal peso delle responsabilità della famiglia che poggia le sue basi su retaggi culturali e sugli obblighi verso i figli, impedendole di “fare la valigia e andare via”.
Riferimenti bibliografici
Giuliana Ponzio, Crimini segreti. Maltrattamenti e violenza alle donne nella relazione di coppia, Baldini Castoldi Dalai editore

Deborah Bottino Criminologa AICIS