(AICIS) Sulla morte di Giulio Regeni di certo c’è che le autorità egiziane non intendono collaborare con l’Italia per scoprire la verità. Altra cosa certa – stando alle testimonianze raccolte dalla Procura di Roma che indaga sull’omicidio – è che il ricercatore era finito nelle mani di uomini delle forze di sicurezza egiziane. Testimoni, ritenuti credibili dagli inquirenti, hanno raccontato che il ricercatore trovato morto in Egitto nel febbraio del 2016 era nelle mani della National Security (servizi segreti civili egiziani) in almeno due caserme nelle ore successive alla sua scomparsa. Il giovane, secondo quanto affermano i testimoni, sarebbe stato visto in particolare nella caserma vicina alla metropolitana di Dokki, dove Regeni fu prelevato il 25 gennaio di quattro anni fa: una struttura dove solitamente venivano portati i cittadini stranieri. Di queste testimonianze i magistrati di piazzale Clodio hanno parlato agli omologhi egiziani nell’incontro svolto il 5 novembre scorso. Che ci fosse in qualche modo una responsabilità dei servizi egiziani non è una novità, ma non è detto che la vicenda resti circoscritta nel paese nord-africano. Resta il fatto che la mancata collaborazione giudiziaria egiziana non aiuta: non sarebbero nemmeno forniti i recapiti dove notificare gli avvisi di garanzia ai cinque uomini della National Security indagati.

Sulla vicenda di Regeni la Procura di Roma, infatti, si avvia nei prossimi giorni a chiudere le indagini che vedono indagati cinque agenti degli apparati di sicurezza egiziana.

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