#di Cristiano Rovito

A tutti sono noti gli scempi ambientali a danno della salute umana, degli ecosistemi e delle risorse naturali. La green criminology è un nuovo paradigma di studio con cui i criminologi “di nuova generazione” si affacciano sullo scenario scientifico, non limitandosi alle mere condotte devianti o criminali contro l’ambiente e/o le risorse naturali.

Se nella lingua italiana è facile individuare il concetto di “criminologia verde”, nella tradizione anglosassone esistono delle differenze tra “green criminology” e “environment criminology”.  Sebbene i termini siano sinonimi ed interscambiabili, per inquadrare il campo di studio, quindi di indagine teorica, è necessario distinguerne i caratteri e fissarne gli elementi distintivi.

Il termine “green criminology” è stato coniato per la prima volta nel 1990 dal prof. Lynch ed è accettato per definire un punto di osservazione criminologica che si focalizza sulle questioni pertinenti ai danni ambientali.

Quello di “environment criminology” attiene più specificatamente alla connessione tra l’ambiente urbano e specifiche tipologie di crimine. Non a caso, tale orientamento è interessato alla dimensione spaziale e temporale del crimine settorializzata nel quadro di specifiche realtà urbane, nonché connessa a misure e programmi di prevenzione dei fenomeni devianti (genesi criminogena).

Esiste altresì un’altra “definizione” di criminologia verde: “conservation criminology”; che si riferisce allo studio dei crimini contro le risorse naturali sotto il profilo prettamente conservativo. La critica scientifica, nel focalizzare la propria attenzione su questa direttrice criminologica evidenzia che trattasi di concetti caratterizzati da un’ambiguità che è direttamente proporzionale alla dinamicità ed ai cambiamenti della natura e degli equilibri dell’ecosistema. In effetti, la disciplina italiana in materia di scarichi è una normativa a carattere formale e non sostanziale nel senso che stabilisce fino a che punto un soggetto può inquinare e giammai che non può inquinare, relegando il tutto ad una governance politico – ambientale che spesso decide sulla base di contingenze e di opportunità di gruppi di pressione od anche di elites con forti interessi capitalistico – finanziari il regime tabellare di volta in volta applicabile (R. White, Crimes Against Nature. Environmental Criminology and Ecological Justice, Routledge, 2008).

Gli studi e l’attività di ricerca dei prossimi anni consentiranno ai “green criminologists”, il cui lavoro si caratterizza per la condivisione della preoccupazione per i danni legati all’ambiente, di incapsulare l’analisi criminologica su nuovi significati e nuove definizioni teoriche, suggerendo, tra l’altro, una nuova classificazione più pertinente al crimine contro le risorse naturali.

Si sottolinea altresì, che la criminologia verde non può prescindere dal concetto di ecologia. Dai riferimenti alle complesse interazioni tra uomo e natura, incluse le sue componenti abiotiche (aria, acqua, suolo) e biotiche (piante, animali, batteri, funghi, etc.). Allo stesso modo non può sottrarsi dal prendere in esame quegli eventi che spesso si verificano all’interno di specifiche aree geo – politiche.

La green criminology è quindi una “disciplina emergente” che intersecando diverse prospettive di indagine e approcci scientifici arriva direttamente al cuore di molte concettualizzazioni dei danni ambientali. Opera secondo una prospettiva che non è solo interdisciplinare e transdisciplinare, ma anche multidisciplinare. Tali fondamentali emergono e si palesa in tutta la loro essenzialità sul piano della moderna criminalistica. All’accertamento del danno arrecato dall’interramento di sostanze pericolose in un terreno, deve senz’altro concorrere la geologia forense; la sedimentologia; l’utilizzo di moderne attrezzatture e tecnologie per la cristallizzazione della “scena del crimine”, per l’assicurazione delle fonti di prova ed il repertamento delle sostanze inquinanti; la chimica e la biologia forense; etc.

La green criminology si riferisce fondamentalmente allo studio del danno ambientale, delle leggi ambientali e della regolamentazione ambientale. Non ci potrebbe essere una definizione unica di crimine ambientale. Nell’accezione più ampia, un crimine ambientale comprende i danni all’ambiente che possono essere misurati dai loro effetti diretti sulla qualità dell’ambiente o sulla sua salubrità (inquinamento dell’aria e/o dell’acqua, estinzione delle specie, etc.), o indiretti (l’aria inquinata che danneggia la salute degli esseri umani, le piante, gli animali, etc.). Questi effetti, per esempio le dirette e indirette conseguenze dell’inquinamento, possono essere direttamente misurati in termini scientifici (per esempio misurando i livelli di esposizione a certe sostanze pericolose, la concentrazione chimica, etc.) [L. Natali, Green criminology. Prospettive emergenti sui crimini ambientali, Giappichelli, 2015].

Il ricorso ad una “definizione di crimine non legale”, non direttamente riferita a parametri normativi posti dall’ordinamento giuridico, come è nel caso supra evidenziato riguardo all’inquinamento formale in materia di scarichi, determina la necessità di un maggior supporto “probatorio” (e non solo!) per giustificare ogni scelta, quindi il giudizio, a carattere “definitorio” di un “fatto sociale” ambientalmente deviante e/o criminale. Oltre alla prova che i processi in questione procureranno danni alla salute umana, è altrettanto decisiva la prova che chi li realizzi sia a conoscenza dei rischi che creano oppure se sono indifferenti al prodursi di questi rischi.

Un campo di indagine tutto da costruire e da scoprire, il che lo rende particolarmente stimolante ed entusiasmante.

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L’AUTORE

Cristian Rovito è un criminologo qualificato AICIS, giurista, consulente ed esperto ambientale, operatore di polizia giudiziaria del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera. Scrive per diverse riviste specializzate di settore, giornali, magazine e blog.

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