#di Cristian Rovito*
L’introduzione degli ecodelitti nel codice penale, con l’approvazione delle Legge n. 68 del 22 maggio 2015 è stata certamente un’innovazione giuridica intesa come creazione di nuovi strumenti penalistici volti a combattere le condotte illecite a danno dell’ambiente. Al di là delle legittime osservazioni e analisi critiche di autorevoli autori, non può non riconoscersi un nuovo approccio penalistico, di rilevanza criminologica e criminalistica, da tempo auspicato, finalizzato ad una più decisa tutela con riferimento a reati di danno e di pericolo concreto ritenuti di maggior rilievo (L. Ramacci, Diritto penale dell’ambiente, CELT, 2015).
L’art. 452-bis titolato “inquinamento ambientale”, sanziona, con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 10.000 a 100.000 euro, chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora e della fauna.
L’interpretazione del termine “abusivamente” riguarda una nozione per cui autorevole dottrina sostiene vada compresa anche la mera inosservanza di principi generali stabiliti dalla legge o da altre disposizioni normative e, richiamati o non, nell’atto abilitativo, atteso che lo svolgimento di determinate attività in spregio alle regole generali che la disciplinano non potrebbe ritenersi comunque legittimo, anche se formalmente autorizzato (Ivi, pag. 381).
Si è discusso altresì di un altro aspetto introdotto dal legislatore, che assume un’importanza fondamentale per l’attività tecnico – operativa della polizia giudiziaria (criminalistica). La norma connette, si potrebbe dire sincronicamente, l’azione “abusiva” alla determinazione di una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle matrici ambientali.
Sul piano letterale, mentre la compromissione opera un riferimento ad una situazione di rischio o pericolo, il deterioramento si sussume in un’alterazione dell’originaria consistenza che peggiora lo stato o il valore. Inoltre, il legislatore ha stabilito che tanto il deterioramento, quanto la compromissione devono essere significativi e misurabili. Ancora rimanendo focalizzati su un’interpretazione meramente letterale, dacché si forniscono ampi spazi discrezionali all’azione dell’interprete preposto, la norma prescrive il compimento di un ulteriore passaggio che attiene alla significatività ed alla misurazione, il che sottintende chiaramente la necessità di una procedura, metodologia scientifica che è evidentemente tipica della moderna criminalistica ambientale.
La Corte di Cassazione ha precisato che la compromissione ed il deterioramento indicano fenomeni sostanzialmente «equivalenti negli effetti, in quanto si risolvono entrambi in una alterazione, ossia in una modifica dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della compromissione, in una condizione di rischio o pericolo che potrebbe definirsi di “squilibrio funzionale”, perché incidente sui normali processi naturali correlati alla specificità della matrice ambientale o dell’ecosistema ed, in quello del deterioramento, come “squilibrio strutturale”, caratterizzato da un decadimento di stato o di qualità di questi ultimi» – Cass. Pen., Sez. III – sentenza del 3.11.2016, n. 46710.
Nella stessa pronuncia, gli Ermellini si sono concentrati sulla significatività e misurabilità della rilevanza probatoria degli effetti della condotta illecita, operando un richiamo letterale, nel senso che «il termine significativo denota senz’altro incisività e rilevanza, mentre misurabile può dirsi ciò che è quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile».
In un’altra importante pronuncia – Cass. Pen. Sez. III, sentenza n. 10515 del 3 marzo 2017 – i giudici di p.zza Cavour hanno separato la reversibilità (eventuale) del fenomeno inquinante: «pur se non irreversibile, il deterioramento o la compromissione evocano l’idea di un risultato raggiunto, di una condotta che ha prodotto il suo effetto dannoso». Per il Santoloci, nell’ipotesi di inquinamento ambientale non assume rilievo l’eventuale reversibilità del fenomeno inquinante, poiché deterioramento e compromissione sono concetti diversi dalla distruzione e, dunque, non equivalgono ad una condizione di tendenziale irrimediabilità che, invece, è più propria dell’altro nuovo delitto di “disastro ambientale” ex art. 453-quater c.p. (M. Santoloci, V. Santoloci, Tecnica di polizia giudiziaria. Le norme procedurali penali applicate alla normativa ambientale, Diritto all’ambiente Edizioni, 2019).
La polizia giudiziaria ambientale deve quindi essere in grado di “cristallizzare” su un piano quantitativamente apprezzabile od oggettivamente individuabile (rectius: accertabile), quella rilevanza probatoria che esclude in re ipsa quei casi in cui si registra una chiara, scarsa incidenza sull’originario assetto dei beni oggetto di tutela.
Il ricorso alle moderne tecnologie di accertamento e di determinazione di un danno devono necessariamente essere tra gli “strumenti” a disposizione di una moderna polizia giudiziaria ambientale, che sappia operare dinamicamente ed in condivisione con gli orientamenti della Corte di Cassazione. In effetti non vi è chi non veda quanto essenziali si palesino le conoscenze ed il supporto fornito dalla geologia forense, dalla chimica forense, dalla più moderna ecotossicologia forense e dalla biologia marina.
Assumono particolare rilevanza sul piano investigativo quegli atti irripetibili che la Suprema Corte ritiene tali quelli «mediante i quali la polizia giudiziaria prende cognizione diretta dello stato dei luoghi ovvero di fatti, situazioni, comportamenti umani, dotati di rilevanza penale, e suscettibili, per la loro natura, di subire modificazioni o addirittura di scomparire, sì da essere in seguito soltanto riferiti. Ne deriva che le fotografie, nelle quali sia stato riprodotto lo stato di una località ove siano eseguiti lavori di escavazione vanno annoverate tra gli atti irripetibili, poiché la situazione di fatto è soggetta a trasformazioni continue e anche a un possibile ripristino» – Cass. Pen. Sez. III, sentenza 2 aprile 1996, n. 4673. Anche le Sezioni Unite hanno fornito un ulteriore e fondamentale tassello nomofilattico al principio secondo il quale: «i verbali di sopralluogo e di osservazione, con le riprese fotografiche connesse, in quanto riproducenti fatti e persone individuati in situazioni soggette a mutamento costituiscono atti irripetibili ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 431, lett. b) c.p.p.» – Cass. Pen. SS.UU., sentenza 11 marzo 1999, n. 4.
L’irripetibilità deriva dall’impossibilità di riprodurre al dibattimento la situazione percepita e rappresentata in un determinato contesto temporale, spaziale e modale non rinnovabile, la quale verrebbe altrimenti dispersi ai fini probatori (Ivi).
La Corte di Cassazione si è recentemente espressa in merito all’attività delittuosa dell’inquinamento ambientale consistito nell’attività di pesca del corallo – Cass. Sez. III n. 9080 del 6 marzo 2020. La nomofilachia in questione ha ritenuto configurabile tanto la configurazione del delitto ex art. 452-bis, quanto, ma non suddistintamente, legittima l’applicazione di una misura cautelare personale «per aver cagionato, unitamente ad altri correi, una compromissione e un deterioramento significativi e misurabili dell’ecosistema marino effettuando la pesca abusiva di corallo rosso mediterraneo, in assenza di titolo abilitativo e con modalità vietate, ossia mediante pesca subacquea con uso di bombole e un metodo di raccolta distruttivo, con rottura ed escissione del substrato roccioso».
Qual è l’interesse per il criminologo e soprattutto come e perché ogni studioso del crimine deve approcciarsi a tali questioni, giuridicamente innovative (e non solo!)?
I paradigmi e le modalità di osservazione sono indubbiamente notevoli. Se favoriscono la complessità di approccio, rappresentano certamente l’occasione per studiare “olisticamente” e “proattivamente” fenomeni nuovi, particolari, vieppiù singolari, che si caratterizzano per una dinamicità che richiede professionalità, capacità di adattamento. Una sorta di “resilienza investigativo – repressiva”.
Il moltiplicarsi dei danni all’ecosistema marino – costiero ed alle sue risorse attraverso condotte criminali (o devianti sui generis), merita di essere approfondito lungo la traccia dei cc.dd. “teorici radicali”. Costoro si mossero verso due direzioni: la prima agganciata ad un’elaborazione critica della sociologia giuridica di tipo storico, nell’intento di segnare le origini e le funzioni del diritto penale nell’economia politica del capitalismo[1]. In effetti, l’introduzione dei delitti ambientali nel codice penale è un’operazione di politica criminale e di produzione legislativa, certamente inquadrabili in tale contesto, per rispondere ad esigenze di “giustizia ambientale” provenienti dai numerosi mass o environment disasters. Più impattanti sul piano mediatico, dacché discende un altro aspetto che non potrebbe essere trascurato dal criminologo e dai paradigmi della green criminology.
La seconda attiene all’origine del crimine, partendo dall’assunto che il capitalismo è criminogeno. Le cause della devianza andrebbero ricercate nell’ineguaglianza, nel lavoro degradante, nella disoccupazione e nell’alienazione[2]. L’esperienza sul campo e i dati che emergono dalla sentenza in commento, attinente all’applicazione di una misura cautelare, consentono di affermare che gli autori delle condotte criminose altro non sono che soggetti che possono essere classificati in quella “manovalanza” che non riesce a trovare altre forme di sostentamento. Ad affermarsi nel contesto comunitario di cui fa parte. E’ su un secondo livello che operano invece altri soggetti inquadrabili nella categoria dei “collar white” che Sutherland ha ben descritto nel suo testo White Collar Crime. Infatti chi commissiona la raccolta/cattura del corallo bianco sono soggetti distinti, professionisti, faccendieri e mediatori commerciali che fanno da tramite tra la manovalanza e quei ricercatori di materia prima che nell’acquistare in nero causano danni multipli: economia sommersa, danni ambientali, lavoro in nero, evasione fiscale, etc..
La vicenda processuale in esame merita di essere approfondita sul piano criminologico anche per la connessione tra violazioni di norme diverse. Da un lato vi è la disciplina della pesca marittima, la cui ratio legis si rinviene nella tutela delle risorse ittiche; dall’altro vi è quella penalistica che tutela quell’ambiente recentemente inserito nella Costituzione Italiana con la modifica degli artt. 9 e 42.
LA SENTENZA
RITENUTO IN FATTO
- 1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale della Libertà di Salerno rigettava l’istanza ex art. 309 cod. proc. pen. proposta nell’interesse di ….. avverso l’ordinanza emessa dal g.i.p. del Tribunale di Salerno in data 03/09/2019 (depositata il giorno seguente), che aveva applicato, nei confronti del predetto, la misura dell’obbligo di dimora in relazione al delitto di cui agli artt. 110, 452-bis, comma 1, n. 2 cod. pen., come descritto nel capo 4) dell’incolpazione provvisoria. In particolare, al ……………… si contesta di aver cagionato, unitamente ad altri correi, una compromissione e un deterioramento significativi e misurabili dell’ecosistema marino della zona denominata …………………. effettuando la pesca abusiva di corallo rosso mediterraneo, in assenza di titolo abilitativo e con modalità vietate, ossia mediante pesca subacquea con uso di bombole e un metodo di raccolta distruttivo, con rottura ed escissione del substrato roccioso. Il g.i.p. peraltro escludeva la gravità indiziaria nei confronti di tutti gli indagati con riferimento al delitto associativo ex art. 416 cod. pen., per il quale il p.m. aveva pure avanzato la domanda cautelare.
- Avverso l’indicata ordinanza, l’indagato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per Cassazione affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, e 309 cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 299 e 273 cod. proc. pen. Ad avviso del ricorrente, la motivazione dell’ordinanza impugnata sarebbe apparente in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, non confrontandosi con le deduzioni difensive, tenuto conto che il corallo fu sequestrato in data 28/05/2018 a carico del ………. e che, comunque, egli non si adoperò per ottenere le licenze dalla capitaneria di porto, né continuò l’asserita attività illecita recandosi in Sardegna il 12/06/2018, tanto più che, in quell’occasione, il controllo diede esito negativo.
2.2. Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 15 cod. pen. e la falsa applicazione dell’art. 452-bis cod. pen. Ad avviso del ricorrente, nel caso in esame, troverebbero applicazione le disposizioni di cui al d.lgs. n. 4 del 2012, che, in quanto legge speciale, prevalgono sulla fattispecie di cui all’art. 452-bis cod. pen.
2.3. Con il terzo motivo si eccepisce la violazione la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale cautelare avrebbe erroneamente ravvisato le esigenze cautelari, senza considerare che il fatto risale al maggio 2018 e che il ………. è incensurato e ha interrotto i rapporti con il ………………. dopo il sequestro del corallo a carico di quest’ultimo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Il ricorso è infondato.
- Il primo motivo è manifestamente infondato.
2.1. Deve premettersi, con riguardo ai limiti entro i quali la Corte di cassazione può esercitare il sindacato di legittimità sulla motivazione delle ordinanze applicative di misure cautelari personali, che, secondo l’orientamento che il Collegio condivide e reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative che hanno interessato l’art. 606 cod. proc. pen. … Omissis … .
2.2. Più recentemente, si è osservato, che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione … Omissis … travisamenti.
2.3. Ciò premesso, il ricorrente pretende una diversa lettura dei dati probatori, laddove il tribunale ha indicato nella conversazione telefonica n. 655 del 17/05/2018, ore 18.53 tra …………….. (riportata a p. 19 del provvedimento impugnato), l’elemento gravemente indiziario, emergendo da detta conversazione la consapevolezza, da parte del ……….., non solo dell’assenza del titolo autorizzativo in capo al ………………., ma anche e soprattutto (essendo contestata al ricorrente la condotta di “mandante”) che il corallo prelevato in occasione della prossima battuta di pesca, organizzata per il 28/05/2018, sarebbe destinato a lui, prova ne è che effettivamente il 28/05/2018 i c.c. di Torre del Greco fermarono ……………… presso l’abitazione del ………………, mentre era in corso la trattativa per la vendita di circa 700 gr. di corallo, contenuto all’interno di una scatola.
- Il secondo motivo è manifestamente infondato. Come recita l’art. 1 d.lgs. 09/01/2012 n. 4 … Omissis … a tale scopo, il capo I disciplina l’“attività di pesca e di acquacoltura” in tutti gli ambiti in cui essa si declina (pesca professionale, acquacoltura, impresa ittica, pesca non professionale). Il capo II è dedicato alle “Sanzioni”: l’art. 7 prevede una serie di divieti (al dichiarato fine di “tutelare le risorse biologiche il cui ambiente abituale o naturale di vita sono le acque marine, nonché di prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale”), la cui violazione è penalmente sanzionata, come mera contravvenzione, dal successivo art. 8, il quale è applicabile, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”. Orbene, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, l’eventuale concorso di norme è risolto da tale clausola di sussidiarietà espressa, in forza della quale trova applicazione la più grave fattispecie delittuosa prevista dall’art. 452-bis cod. pen., che incrimina il cagionare abusivamente una “compromissione” o un “deterioramento”, che siano “significativi” e “misurabili”, di uno dei profili in cui si declina il bene “ambiente”, come descritti al n. 1 e al n. 2 del comma 1: un fatto che, peraltro, nemmeno è sussumibile nella violazione dei divieti elencati dall’art. 7.
- Il terzo motivo è infondato.
4.1. L’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., nel testo introdotto dalla l. 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il pericolo che l’imputato commetta altri delitti sia non solo concreto, ma anche attuale, sicché non è più sufficiente ritenere altamente probabile che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario prevedere, in termini di alta probabilità, che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti della stessa specie: la relativa prognosi comporta, in particolare, la valutazione, attraverso la disamina della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità, della permanenza della situazione di fatto che ha reso possibile o, comunque, agevolato la commissione del delitto per il quale si procede. Il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato deve perciò essere inteso non come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati, ma come prognosi di commissione di delitti analoghi, fondata su elementi concreti – e non congetturali – rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata al momento della adozione della misura (Sez. 6, sentenza n. 9894 del 16/02/2016 Rv. 266421), pericolo che va apprezzato sulla base anche della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare (Sez. 6, Sentenza n.3043 del 27/11/2015, Rv. 265618). Sul punto, si è precisato che la sussistenza di un pericolo “attuale” di reiterazione del reato va esclusa soltanto qualora la condotta criminosa posta in essere si riveli del tutto sporadica ed occasionale, dovendo invece essere affermata se – all’esito di una valutazione prognostica fondata sulle modalità del fatto, sulla personalità del soggetto e sul contesto socio-ambientale in cui egli verrà a trovarsi, ove non sottoposto a misure – appaia probabile, anche se non imminente, la commissione di ulteriori reati; ne deriva che il requisito dell’attualità del pericolo può sussistere anche quando l’indagato non disponga di effettive ed immediate opportunità di ricaduta (Sez. 2, Sentenza n. 44946 del 13/09/2016, Rv. 267965, Sez. 2, Sentenza n. 47891 del 07/09/2016, Rv. 268366).
In breve: il pericolo di recidivanza deve fondarsi su dati di fatto tangibili, e quindi concreti, esistenti al momento dell’adozione della misura, in questo l’attualità, tali da rendere altamente probabile il verificarsi di un’occasione vicina di reiterazione criminosa.
4.2. Nel caso di specie, il Tribunale cautelare ha correttamente ravvisato la sussistenza, attuale e concreta, del pericolo di recidivanza valorizzando il ruolo, sistematicamente svolto dal Coscia, di destinatario del corallo illecitamente tolto dal mare (tanto che il g.i.p. ha sollecitato il p.m. a procedere nei confronti del Coscia per ricettazione, individuando con precisione i singoli episodi: p. 18 del provvedimento genetico), e nonostante i numerosi controlli eseguiti nel corso delle indagini e alla consapevolezza, in capo al ricorrente, del sequestro operato nei confronti del …………… Il ricorrente, inoltre, non si confronta con la motivazione addotta dal Tribunale, laddove, nel confutare il rilievo difensivo – qui riproposto – secondo cui ………. avrebbe cessato ogni rapporto con ………….. dopo il sequestro del 28/05/2018, ha evidenziato come, dalle conversazioni tra i due intercettate subito dopo il fatto, emerge unicamente la preoccupazione del ………….. di essere stato deferito all’a.g. dopo il fermo del …………., ciò che non è affatto indicativo della cessazione dell’attività illecita, prova ne è che il …………… si attivò immediatamente per reperire in altre località il corallo pescato da destinare al …………………., titolare di una gioielleria in …………………, e, in particolare, in …………. Puglia (dove effettivamente ritirò del corallo) e in Sardegna (dove incontrò dei “corallari” della zona), come documentato dalla telefonate intercettate nel mese di giugno (cfr. p. 26-27 dell’ordinanza).
Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30/01/2020.
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L’AUTORE:
Cristian Rovito è un criminologo qualificato AICIS, giurista, consulente ed esperto ambientale, operatore di polizia giudiziaria del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera. Scrive per diverse riviste specializzate di settore, giornali, magazine e blog.
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