#di Monica Atzei

Di pochi giorni fa un fatto che ha nuovamente portato nell’occhio del ciclone la questione giovani, trap, noia, social, visualizzazioni…

Due trapper italiani Jordan e Traffik sono stati arrestati dai militari della stazione di Bernareggio (Monza e Brianza) per aver rapinato un operaio nigeriano della sua bicicletta e del suo zaino dicendogli “vogliamo ammazzarti perché sei nero”, tutto ciò è accaduto alla stazione dei treni di Carnate.

Entrambi i ragazzi , di 25 e 26 anni, sono già conosciuti dalle forze dell’ordine e ora risponderanno dell’accusa di rapina aggravata dall’uso di armi (coltello) e dalla discriminazione razziale. L’episodio è stato filmato da uno dei due col cellulare e postato sui social.

Social che sono fruibili non solo da ragazzi maggiorenni ma anche minorenni, tra cui i bambini.

Non vogliamo soffermarci su questo fatto in particolare ma riflettere sul fattore musica trap e sulla noia.

Spaccano treni, seviziano, incendiano dei parchi, sono sempre più aggressivi i ragazzi e i giovanissimi, spesso armati e, probabilmente sempre più inconsapevolmente violenti. Picchiano, aggrediscono e feriscono senza un motivo, ma solo per il gusto di farlo, filmano tutto ciò e spesso il sottofondo utilizzato è la musica trap (Trap è un sottogenere dell’hip hop, trap deriva da trapping che nello slang dei giovani significa “spacciare”; i testi hanno riferimenti espliciti quali droga, sesso, criminalità, disagio, ricchezza). 

La trap ha una forza immensa, modella la cultura giovanile partendo dai bambini di dieci anni e invade in maniera travolgente il mercato della musica e la società italiana; è il riassunto del disagio, usa parole che servono a rimarcare il vuoto che i giovani si trovano costretti a vivere quotidianamente. Vive nella superficialità.

Paola Zukar, manager di alcuni rapper italiani ha dichiarato: “La trap è molto seguita per due motivi: il primo è la noia della musica italiana che con i suoi testi d’amore sempre uguali non riesce a rinnovarsi. Il secondo è che la trap è la colonna sonora di Instagram, è adatta a fare da sfondo musicale alle Stories. E’ un genere che non richiede troppe capacità tecnico artistiche. Però… è anche una fotografia del disagio contemporaneo. Usa parole vuote che servono a sottolineare il vuoto, la mancanza di tempo, l’estrema brevità e superficialità del mondo in cui queste stesse canzoni vengono ascoltate”.

Gli artisti sono giovanissimi e hanno questo tipo di atteggiamento “non mi interessa il domani”; “sono orgoglioso di essere ignorante”, “spendo tutto in brand di lusso”: questi messaggi sono la fotografia  del “disimpegno” e del nichilismo di una parte di questa generazione.

Violenti per gioco o forse per noia? I giovani durante queste performance si riprendono con i cellulari mentre sottopongono le vittime a violenze con calci, pugni, a volte bastoni, volano coltelli e questi video vengono diffusi sui social. A volte se interrogati riferiscono “mica volevamo uccidere qualcuno, è solo per ridere che giriamo i video e li postiamo sui social” .

Chissà cosa passa nelle mente di questi ragazzi quando, senza quasi pensarci, superano ogni limite trasformando la noia o la solitudine in violenza. Figli di genitori che li aspettano a casa, in contesti familiari “normali”, che frequentano la scuola e poi hanno atteggiamenti diversi fuori dall’ambiente “protetto”.

Se un ragazzo con un disagio interiore e relazionale, utilizza in maniera distorta social, videogiochi, musica trap ecc tutto questo può avere un’ influenza ancor più negativa e, forse, noi adulti dovremmo chiederci cosa manca a questi ragazzi per trovare solo nella violenza un modo di trascorrere il tempo libero? Di cosa hanno bisogno? Non hanno più curiosità? Non hanno stimoli diversi? Perché se fosse così, è chiaro che tutto questo rappresenterebbe un terreno decisamente fertile per far attecchire le differenti forme di violenza e criminalità. Sulla strada trovano la loro identità nel “gruppo”, crescono rinforzandosi gli uni con gli altri, senza nessuno che li riporti indietro quando il  “gruppo” non è quello giusto.

Forse dovremo chiederci quale esempio forniamo a questi ragazzi noi adulti, visto che la violenza non è solo nei gesti. Forse potremmo fare tutti un passo indietro e tornare ad ascoltare.  Don Bosco diceva “ In ognuno di questi ragazzi, anche il più disgraziato, v’è un punto accessibile al bene. Compito di un educatore è trovare quella corda sensibile e farla vibrare”.

Il problema è quando non c’è nessuno che su quel punto abbia la voglia e il tempo di agire.

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L’AUTRICE

Monica Atzei è una criminologa qualificata AICIS, giornalista ed insegnante di materie letterarie. Scrive per diversi magazine e blog e collabora come ufficio stampa di band, locali, booking e con una label. 

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