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Lo schema truffaldino – riproposto in versione crypto – è quasi sempre quello: si chiama schema “Ponzi” un sistema a piramide che assicura alti rendimenti civetta ai primi clienti ma solo grazie all’utilizzo immediato dei versamenti del “parco buoi” che cadono nella rete dal marketing. Così 100 milioni di euro sono spariti nell’universo virtuale lasciando con un palmo di naso circa seimila clienti raggirati. Il crypto-raggiro è ora oggetto dell’indagine sulla New Financial Technology ltd, con sede a Londra. La società attirava i clienti investitori promettendo rendimenti del 10% sulla presunta disponibilità di un algoritmo che avrebbe generato profitti su arbitraggi conclusi su piattaforme di crypto trading. Ma come mai sono finiti in una simile rete, nonostante i ripetuti alert lanciati nel tempo dalle autorità di vigilanza, per non parlare degli adempimenti e dei controlli già presenti in Italia, paese nel quale l’attività avrebbe dovuto seguire normative e regole ben precise. Già il 9 marzo scorso il presidente della Consob, Paolo Savona, davanti alla Commissione parlamentare sulla tutela dei consumatori e degli utenti aveva riferito che l’attività di vigilanza aveva individuato comportamenti devianti sintomatici, dal marketing aggressivo via mail, chat, social network, oltre alle più tradizionali telefonate. Aveva messo in guardia per l’utilizzo di società fittizie che dichiarano di avere sede in paesi extraeuropei o che, se apparentemente localizzate in Ue, sono di fatto irreperibili. Aveva segnalato il pericolo dietro le attività proposte al consumatore che riguardano spesso servizi di tradingsu piattaforme web e strumenti finanziari di complessa comprensione, come derivati con sottostanti valute, indici di borsa, materie prime e, sempre più frequentemente, criptovalute. Insomma la CONSOB aveva messo all’indice la promozione di prodotti offerti abusivamente sempre più “atipici” e collegati al mondo delle cripto-attività. In Italia il legislatore con il Dlgs 125/2019 ha recepito la direttiva Ue 2018/843, modificando i titoli I, II, III e V del Dlgs 231/2007 in materia di prevenzione all’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio. La valuta virtuale viene definita dalla normativa antiriciclaggio come «la rappresentazione digitale di valore non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente». Riguardo agli obblighi antiriciclaggio i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e di servizi di portafoglio digitale possono operare, ma rientrando nella categoria degli “altri operatori non finanziari” sono tenuti ad adempiere agli obblighi di adeguata verifica della clientela, alla conservazione dei dati e all’inoltro delle segnalazioni di operazioni sospette.  

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