(Roberto Colasanti)
La recente sentenza n. 16513 dell’11 marzo 2021 della Corte di Cassazione III sezione penale depositata il 30 aprile 2021, ha confermato l’orientamento della Suprema Corte, sulla presunzione di proprietà statale per le cose di interesse archeologico, infatti uno dei motivi in punto di diritto che hanno portato al rigetto dei ricorsi presentati dalle parti alle quali i Carabinieri del Nucleo TPC di Monza avevano sequestrato diverse monete di cui una parte di presunta natura archeologica medievale ed un’altra di presunta natura archeologica romana, indica che:
“… la disciplina dei beni culturali è retta da una presunzione di proprietà statale che non crea un’ingiustificata posizione di privilegio probatorio, perché fondata, oltre che sull’id quod plerumque accidit, anche su una “normalità normativa” sicché, opponendosi una circostanza eccezionale, idonea a vincere la presunzione, deve darsene la prova. Pertanto, dal complesso delle disposizioni, contenute nel codice civile e nella legislazione speciale, regolante i ritrovamenti e le scoperte archeologiche, ed il relativo regime di appartenenza, si ricava il principio generale della proprietà statale delle cose d’interesse archeologico, e della eccezionalità delle ipotesi di dominio privato sugli stessi oggetti (tra le altre, Sez. 3, n. 42485 del 10/6/2015).”
A nulla sono valse le ragioni dei ricorrenti che si erano precedentemente opposti alla confisca delle monete sequestrate lamentando la mancata prova dell’appartenenza dei beni allo Stato, i giudici della Suprema Corte nel dichiararle infondate, hanno motivato puntualmente richiamando la normativa posta a tutela dei beni culturali di cui si riporta stralcio.
“Ai sensi dell’art 176, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, chiunque si impossessa di beni culturali indicati nell’articolo 10 appartenenti allo Stato ai sensi dell’articolo 91 è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 31 a euro 516,50. L’art. 10, prevede, al comma 1, che «Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico». Il successivo comma 4, dello stesso art. 10, prevede, alla lettera b), che sono inclusi tra i beni culturali «le cose di interesse numismatico che, in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione, nonché al contesto di riferimento, abbiano carattere di rarità o di pregio». Il quadro è integrato dall’art. 91, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 42 del 2004, il quale prevede che «Le cose indicate nell’articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del codice civile». Tale ultima disposizione prevede che fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le cose di interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo.
Ancora in termini generali, poi, deve essere ricordato che sui beni culturali vige una presunzione di proprietà pubblica, con la conseguenza che essi appartengono allo Stato italiano in virtù della legge (legge n. 364 del 1909, regio decreto n. 363 del 1913, legge n. 1089 del 1939, articoli 826, comma 2, 828 e 832 del codice civile), la cui disciplina è rimasta invariata con l’introduzione del decreto legislativo n. 42 del 2004. Le Sezioni civili di questa Corte (Sez. 1, n. 2995 del 10/02/2006 in motiv.), in particolare, hanno affermato che la legislazione di tutela dei Beni Culturali, in particolare dei beni archeologici, è informata al presupposto fondamentale, in considerazione dell’importanza che essi rivestono (anche alla luce della tutela costituzionale del patrimonio storico – artistico garantita dall’art. 9 Cost.), dell’appartenenza di detti beni allo Stato (…), per cui l’art. 826 c.c., comma 2, assegna al patrimonio indisponibile dello Stato “le cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo“: disciplina confermata dalla L. n. 1089 del 1939, artt. 44, 46, 47 e 49, cui rinvia l’art 932 c.c., comma 2. In prosieguo di tempo, prima il d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 88, Beni Culturali, che quelle norme ha abrogato (art. 166), ha disposto che i beni di cui all’art. 2 (che alla lett. a) enumera “le cose mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o demo-etno-antropologico”), da chiunque e in qualunque modo ritrovati, appartengono allo Stato, e, attualmente, il d. lgs. n. 42 del 2004, nei termini appena sopra richiamati.
Sono fatte salve, tuttavia, particolari e tassative ipotesi nelle quali il privato può provare la legittima proprietà di reperti archeologici, dovendo al riguardo dimostrare che questi: 1) gli siano stati assegnati in premio per il loro ritrovamento; 2) gli siano stati ceduti dallo Stato; 3) siano stati acquistati in data anteriore all’entrata in vigore della legge n. 364 del 1909 (anche la giurisprudenza di legittimità ha in generale chiarito che il possesso delle cose di interesse archeologico integra il reato di cui all’art. 176, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004 e si presume illegittimo, a meno che il detentore non dimostri di averli legittimamente acquistati in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge n. 364 del 1909, di prima disciplina organica della materia.
Con particolare riguardo, poi, alle cose di interesse numismatico, le stesse devono essere considerate beni culturali non solo quando abbiano carattere di rarità o di pregio, ai sensi dell’art. 10, comma 4, lettera b), ma anche quando, a prescindere dall’accertamento della presenza di tali caratteri, siano state ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, perché in tal caso esse appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato, trattandosi, per definizione, di «cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico o artistico». La disposizione di cui all’art. 10, comma 4, lettera b), contiene, infatti, una previsione residuale, che trova applicazione per quelle cose di interesse numismatico non ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini. Esistono, dunque, due categorie di cose di interesse numismatico che devono essere considerate beni culturali, il cui impossessamento è sanzionato penalmente dall’art. 176 del d.lgs. n. 42 del 2004: a) le cose di interesse numismatico che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico che fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato perché in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini (artt. 826 cod. civ., 10, comma 1, e 91, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004); b) le cose di interesse numismatico che abbiano carattere di rarità o di pregio (art. 10, comma 4, lettera b, del d.lgs. n. 42 del 2004)..”
In conclusione, in tema di legislazione dei beni culturali incombe sul privato l’onere di provare la legittimità del possesso delle cose di interesse archeologico.
Roberto Colasanti – Criminologo AICIS, esperto di investigazioni e tutela del patrimonio culturale
AICIS