# di Avv. Valerio Di Giorgio *

 

Poniamo all’attenzione dei nostri lettori questa recente pronuncia della Corte di Cassazione (Sezione Penale n. 42874 del 2022) che analizza una particolare tipologia di condotte “persecutorie” e lesive della libertà individuale compiute a carico di una persona fisica tramite l’utilizzo di un canale “social”.

Analizziamo preliminarmente i fatti di causa: la Corte d’appello di Trieste ha confermato il provvedimento con cui il Tribunale di Udine aveva acclarato la penale responsabilità di un uomo (A.A.) per il reato di cui agli artt. 612-bis  c.p., comma 1, “perchè, per motivi di gelosia nei confronti della coniuge B.B., con condotte reiterate molestava e minacciava C.C., conoscente di B.B., inviando a C.C., tramite social network Facebook, numerosi messaggi di testo dal contenuto minatorio e offensivo (…), in modo da ingenerare un fondato timore per la propria incolumità, tenuto conto che il C.C. era stato già vittima di un’aggressione fisica da parte del A.A. “.

Avverso la statuizione emessa dalla Corte distrettuale l’imputato ha successivamente presentato Ricorso per Cassazione, lamentando, in un’unica doglianza, l’inesistenza del danno patito dalla vittima, quale amico di sua moglie, e, soprattutto, l’inesistenza, sotto il profilo probatorio, del perdurante stato di ansia lamentato dalla vittima ed il suo consequenziale cambiamento di abitudini di vita.

La Suprema Corte, procedendo alla disamina del ricorso e dell’unico motivo ivi articolato, ritiene lo stesso inammissibile poiché generico. Si eccepisce infatti da parte degli Ermellini la mancanza di un effettivo confronto con le notazioni dei Giudici d’appello relative, sia alla sussistenza dell’evento di danno degli atti persecutori, sia ai motivi della denegata derubricazione del reato contestato in altre fattispecie normative (come ad esempio la semplice “molestia”). La sintetica motivazione dà conto di come il ristretto arco temporale in cui i messaggi sono stati inviati sia stato però caratterizzato da una tale intensità di condotte (oltre ottanta messaggi) che, anche alla luce delle precedenti condotte (lesioni e minacce aggravate: dato quest’ultimo che non è stato oggetto di contestazione in ricorso), risulta giustificata circa la conclusione inquadrata dal giudice di merito sull’esistenza di un fondato timore della vittima per la propria incolumità.

D’altra parte, in tema di atti persecutori, la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata a elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (sul punto si veda anche Cass. Sez. V, n. 17795 del 02/03/2017).

Puntualizza inoltre la Corte di Cassazione su come vada rilevata l’incongruenza del rilievo difensivo relativo alla non intervenuta modifica delle abitudini di vita da parte della persona offesa: secondo il condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel delitto di atti persecutori, l’evento di danno può consistere tanto nell’alterazione delle proprie abitudini di vita quanto in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, non essendo necessario che tali due effetti si producano congiuntamente (“il delitto di atti persecutori è reato abituale, a struttura causale e non di mera condotta, che si caratterizza per la produzione di un evento di “danno” consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di “pericolo”, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva – cosi Cass. Sez. III, n. 23485 del 07/03/2014).

La dimostrata esistenza dell’evento di danno degli atti persecutori giustifica, inoltre, il fatto che, implicitamente ma non equivocamente, sia stato disatteso il motivo che invocava la riqualificazione del reato ascritto in altre fattispecie normative, come quella di cui all’art. 660 c.p. (Molestia). Gioverà a tal proposito ribadire che il criterio discretivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all’art. 660  c.p. consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di lesioni, sicchè si configura il delitto di cui all’art. 612-bis  c.p. qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l’alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all’art. 660  c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato senza quindi “innescare” una serie di eventi dannosi contingenti e conseguenti.

La Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva ritenuto integrato il reato di atti persecutori, dal momento che l’imputato aveva perfezionato la condotta di reiterata ed ossessiva molestia della persona offesa mediante: appostamenti sul luogo di lavoro e nei pressi dell’abitazione, urla ed aggressioni verbali seguite all’insistente suonare al citofono ed al campanello, telefonate invadenti, minacce e tentativi di contatti fisici; comportamenti così spregiudicati da cagionare un grave stato d’ansia e paura nella vittima e costringerla a limitare le uscite e a farsi costantemente accompagnare da qualcuno.

Per tali ragioni, dunque, la Cassazione non ha ritenuto meritevole di accoglimento il ricorso presentato dall’imputato, già condannato in appello.

Merita particolare attenzione l’iter argomentativo seguito dalla Suprema Corte per distinguere, sul piano fattuale, il reato di “atti persecutori” dal reato di “molestie” e soprattutto anche il qualificare come “persecutoria” una condotta compiuta da un soggetto sul piano “virtuale” (tramite l’utilizzo offensivo della piattaforma “facebook”) ma con conseguenza assolutamente reali e concrete (modifica radicale delle abitudini sociali della vittima).

 

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L’AUTORE

Avv. Valerio Di Giorgio – Resp. Uff. Legale Ass. Pro Territorio e Cittadini Onlus .

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