# di Alessio Lugliè*
I cani da resti umani (HRD) sono degli ausili molto efficaci nei casi giudiziari di omicidio o di persone scomparse, vi è un largo e diffuso utilizzo negli ultimi anni in Italia, ricordiamo il recente caso di Saman Abbas dove addirittura sono arrivati dalla Germania.
C’è un nodo cruciale da sciogliere, nonostante la validità e l’efficacia di questi cani; non si è ancora capito cosa effettivamente i cani rilevino, questo pezzo del puzzle mancante è fondamentale, perché?
Spesso i cani non sono riusciti ad arrivare all’obiettivo, probabilmente perché il corpo o i resti non erano presenti nel luogo; c’è un’altra ipotesi, visto che la capacità olfattiva e discriminativa dei cani è molto sviluppata, è possibile che i cani segnalino un punto che poi si rivela infondato, e ancora, modalità e tempo di impiego sbagliati.
Si sente spesso parlare di segnalazioni, “il cane ha fiutato una traccia”, magari rivelandosi infondata, un falso positivo?
Non è detto, quello che potrebbe essere un falso positivo potrebbe essere il punto di contatto tra cadavere e “terreno”, segnalando la contaminazione diretta.
In questo scenario potremmo promuovere delle analisi di laboratorio ed avere due risultati:
Il primo risultato è la rilevazione di tracce di DNA della vittima, quindi avremmo una conferma diretta del buon esito.
Il secondo risultato invece è la non presenza di DNA della vittima ma la presenza di sostanze lasciate dalla decomposizione che hanno alterato il suolo.
Su questo secondo risultato abbiamo dei problemi dovuti al fatto che ancora non è chiaro quale siano le sostanze “firma” dell’odore della decomposizione umana che ci possono dire in modo univoco che in quel punto era stato adagiato un corpo umano privo di vita.
Riportiamo di seguito i dati di una recente ricerca eseguita proprio per indagare il tema della tipizzazione dell’odore di decomposizione umana.
La ricerca in questione è:
“Forensic Odor Analysis: Current Application in Postmortem Examinations Katherine C Titus , Shawna F Gallegos, Paola A Prada-Tiedemann Forensic Analytical Chemistry and Odor Profiling Laboratory, Department of Environmental Toxicology, Texas Tech University”
Analizziamola
Questa ricerca ha fatto luce sulla caratterizzazione chimica degli odori target emessi da una serie di fonti come : fluidi/tessuti biologici, regione interna del cadavere, microbi, campioni entomologici e suolo.
Iniziamo con il dire che c’è discordanza tra le varie ricerche effettuate nelle tecniche di caratterizzazione dei COV (composti organici volatili), questo ha reso difficile una tipizzazione omogenea, in quanto, le differenze di risultati possono essere date dai campioni raccolti (corpo intero vs tessuto), specie (uomo vs animale), stadio di decomposizione, posizione, ambiente e tecniche analitiche impiegate.
I cani sono ad oggi lo strumento più sensibile in assoluto per la rilevazione di odori, ma appunto essendo estremamente sensibili possono rilevare sostanze difficilmente collegabili ad un caso giudiziario specifico, a questo contribuisce anche la non tipizzazione dell’odore umano di decomposizione, vale a dire: “quali sono le sostanze univoche che messe insieme ad una certa concentrazione ci suggeriscono che non vi sono dubbi
sul fatto che quelle sostanze provengono dal contatto con un corpo umano in decomposizione?”
Testimone di questa lacuna è il caso di Casey Anthony dove:
“In questo caso, i cani da cadavere hanno segnalato al conduttore la presenza di resti umani nelle aree passeggeri e bagagliaio del veicolo di Casey Anthony, presumibilmente i resti di sua figlia. Un campione preso dal tappeto all’interno del bagagliaio del veicolo è stato prelevato e analizzato dal dottor Arpad Vass e dai colleghi dell’Oak Ridge National Laboratory.
L’evidenza degli odori in questo caso controverso ruotava attorno all’identificazione di cinque composti chiave: tetracloruro di carbonio, cloroformio, dimetil disolfuro, dimetil trisolfuro e disolfuro di carbonio. Ma a sua volta, l’argomento della difesa ha sottolineato che questi cinque composti chiave non possono essere attribuiti esclusivamente alla decomposizione umana poiché queste sostanze chimiche possono essere presenti anche nei prodotti chimici domestici e nei rifiuti solidi o negli ambienti di compostaggio.”
Questo caso ha palesato una lacuna molto importante da colmare in questo campo, definendo il profilo chimico dell’odore della composizione umana.
La sfida più grande nella tipizzazione del volaboloma umano sono le variabili intrinseche ed estrinseche che influenzano la decomposizione, ad esempio: dimensioni della vittima, le ferite, l’uso di droghe, l’area geografica, le condizioni ambientali, la presenza/assenza di indumenti, l’attività degli insetti, gli ecosistemi di deposizione.
Altro problema riscontrato, sono i pochi dati ottenuti direttamente da cadaveri umani per motivi etici. Per risolvere questo problema nel 1980 sono state create sparse per il mondo le “Body Farm”, sono camere di decomposizione dove è possibile studiare la variazione della decomposizione nelle varie regioni del corpo senza l’influenza delle variabili esterne.
Il primo studio sui COV di decomposizione è stato riportato da Vass et al.
Gli obiettivi dello studio erano identificare la firma dell’odore emanata da corpi umani sepolti per stabilire un “database di analisi degli odori di decomposizione” individuando 400 COV in 8 classi chimiche.
Statheropoulous et al hanno seguito questa ricerca un anno dopo, analizzando i COV emessi da due cadaveri deceduti da circa 3-4 settimane, tenendo conto così di uno stadio avanzato di decomposizione, rilevando più di 80 composti, quelli che risultavano in concentrazione più elevata erano: dimetil disolfuro, toluene, esano, benzene, 1,2,4-trimetil, 2- propanone e 3-pentanone.
Nel 2007, Statheropoulous et al hanno pubblicato uno studio simile in cui un cadavere umano nella fase iniziale della decomposizione, con una stima di circa 3 giorni, è stato campionato a 0,4,8 e 24 ore,
L’analisi dei COV ha rivelato il maggior numero di composti nel periodo di campionamento di 24 ore, con composti esclusivi riportati solo in questo periodo di campionamento.
Nell’esperimento sono stati rilevati oltre 30 composti in tutti i periodi di campionamento contenenti etanolo, 2-propanone, dimetil disolfuro, metilbenzene, ottano, 2-butanone, metil etil disolfuro, dimetil trisolfuro e o-, m- e p- xileni.
DeGreeff et al rappresentano la più grande dimensione riguardo al campione di cadaveri umani studiati per la decomposizione COV fino ad oggi, utilizzando 27 cadaveri in un obitorio e in un crematorio, obiettivi di ricerca, due dei quali erano di determinare i volatili di decomposizione condivisi dai 27 cadaveri e di confrontare il profilo dell’odore degli esseri umani viventi, resti umani deceduti e resti di animali, i ricercatori hanno trovato composti odorosi condivisi tra campioni umani vivi e deceduti, tuttavia la firma dell’odore generale dei campioni differiva sostanzialmente tra i due.
Anche le differenze nel profilo olfattivo completo degli animali deceduti e dei resti umani deceduti erano distinte.
Dai due luoghi di provenienza dei cadaveri, crematorio/obitorio, utilizzate in questo esperimento, c’erano 12 composti condivisi tra cui eptadecano, acido ottanoico, fenolo, pentadecano, decanale, estere metilico dell’acido benzoico, 2-2-metossietossi etanolo, benzaldeide 2-etil- 1-esanolo, tridecano, 1,2,3, trimetilbenzene e stirene.
Vass et al hanno condotto uno studio sul campo per determinare il profilo dell’odore dei resti sepolti in decomposizione per dare un contributo all’addestramento dei cani da rilevamento di resti umani durante la localizzazione di tombe clandestine. In questo studio, quattro cadaveri umani sono stati sepolti a profondità comprese tra 1,5 e 3,5 piedi e campionati in un periodo di 4 anni.
L’analisi ha rivelato 478 composti rilevati, di cui 30 sono stati determinati come “marcatori chiave” della decomposizione umana.
Clases et al hanno utilizzato GC-ICP-MS come una nuova tecnica per studiare i COV da un corpo in decomposizione. Elementi come fosforo, zolfo e cloro sono stati studiati come elementi di rilevanza forense e hanno rappresentato concentrazioni in correlazione al tempo, che potrebbero essere sviluppate come utili biomarcatori forensi dell’intervallo post mortem.
Studi hanno anche valutato diverse parti di tessuto umano per aumentare la conoscenza di come i processi post mortem influenzino le diverse parti del corpo. Hoffman et al hanno condotto un esperimento per esaminare il profilo dell’odore di 14 pezzi di tessuto umano in decomposizione ,tra cui, un coagulo di sangue da una placenta, sangue, muscolo, un testicolo, pelle, grasso corporeo attaccato alla pelle, due campioni di adipocere, adiposo o tessuto grasso , osso della vertebra, due campioni di osso non specificato e denti.
Lo studio evidenzia il problema che mentre i cani sono generalmente considerati in letteratura, rilevatori di successo, sono addestrati su molti diversi tipi di tessuti e poco si sa su quali odoranti specifici creano una risposta di rilevamento.
I ricercatori non sono stati in grado di trovare un composto condiviso tra tutti i tessuti in decomposizione; tuttavia, è stato riscontrato che il p-xilene si trova in 13 dei 15 campioni.
I risultati di questa ricerca suggeriscono che gli odori di decomposizione sono simili in tutte le regioni del corpo, ma la combinazione di tipi di tessuto sarebbe probabilmente più vantaggiosa quando si addestrano cani per il rilevamento di resti umani.
Nel 2015, Rosier et al hanno confrontato l’emissione di COV di sei tessuti umani in decomposizione e organi di sei diversi corpi con resti di maiale. Organi e tessuti utilizzati per lo studio includevano sangue, cervello, grasso, cuore, intestino, reni, fegato, polmone, muscoli, pancreas,milza e stomaco. Lo studio ha campionato questi campioni decomposti controllati in laboratorio per un periodo fino a 6 mesi utilizzando TD-GC-MS.
Sono stati in grado di separare gli odori volatili umani e suini in base a cinque esteri: 3-metilbutil pentanoato, 3-metilbutil 3-metilbutirrato, 3-metilbutil 2-metilbutirrato, butil pentanoato e propil esanoato.
Studi sull’analogo umano
Ottenere cadaveri umani o tessuti corporei è una sfida all’interno della ricerca incentrata sulla decomposizione. Per aggirare questa limitazione negli studi di analisi degli odori, gli analoghi umani sono abitualmente utilizzati e il più accettato è il maiale domestico (Sus scrofa domesticus L.) a causa delle somiglianze nell’anatomia interna, nella distribuzione del grasso, nella densità del pelo e nella fauna intestinale.
Gli studi generalmente coinvolgono l’uso dell’intera carcassa, tuttavia la ricerca ha esplorato la capacità di ottenere COV di decomposizione da altri sottoprodotti della decomposizione dei suini come i fluidi.
Inoltre, altre ricerche indicano i resti di pollo come un analogo non adatto per studiare i COV di decomposizione .
Sebbene vari analoghi siano usati per studiare i processi di decomposizione umana, va notato che studi recenti hanno scoperto che questo potrebbe non essere il metodo più corretto, indicando ulteriormente la necessità di studi di ricerca estesi per verificare la trasferibilità dei risultati degli animali con cadaveri umani.
Armstrong et al hanno determinato che nelle prime 72 ore dopo la morte, si possono osservare schemi tra il tempo trascorso post mortem e i composti predominanti. Nelle prime 23 ore dopo la morte i composti più abbondanti erano esteri e composti contenenti chetoni. I composti contenenti zolfo erano più importanti nel periodo di 43-49 ore, molti dei quali continuavano nel periodo di 69-75 ore in cui venivano rilevati anche gli acidi carbossilici.
Paczkowski et al hanno esplorato la capacità di correlare composti e PMI per determinare quali sostanze volatili sono considerati volatili fondamentali nel processo di decomposizione. Si è riscontrato che
le aldeidi erano per lo più presenti nella fase fresca e composti di zolfo nella fase di rigonfiamento.
Questi composti diminuiscono durante le fasi di decadimento attivo e avanzato e a loro volta vengono sostituiti con un aumento di butan-1-olo e fenolo.
È stato osservato che tutti i composti identificati si sono verificati in una sovrapposizione variabile tra le fasi di decomposizione. Sette composti sono stati determinati come sostanze volatili principali degli stadi di decomposizione rigonfi, attivi e avanzati, che includevano dimetil-disolfuro, dimetil-trisolfuro, eptanale, fenolo, undecano, acet ofenone e butan-1-olo.
Uno dei composti più frequentemente osservati negli studi di decomposizione sono i polisolfuri inclusi dimetilsolfuro e dimetil trisolfuro.
Si nota come il profilo dell’odore post mortem possa cambiare a causa di variabili ambientali. Tuttavia, pochi studi sono stati condotti per studiare direttamente queste variabili, in particolare la temperatura. Forbes et al colmano questa lacuna di ricerca conducendo un esperimento per determinare in che modo i COV di decomposizione sono influenzati dalla stagione.
A sostegno degli studi di decomposizione precedentemente menzionati, nella prova estiva sono stati rilevati prevalentemente composti di zolfo, in particolare dimetil disolfuro e dimetil trisolfuro. La maggiore abbondanza di composti, indipendentemente dalla stagione, è stata trovata all’inizio della fase di decadimento attivo suggerendo che questa fase ha la firma di odore più forte. Ulteriori studi hanno rivelato come gli ecosistemi situati nella stessa area possano influenzare il profilo degli odori.
Tutti gli esemplari che si decompongono in modo diverso in ciascun ecosistema mirato. I ricercatori hanno attribuito le differenze nel profilo degli odori al clima, ai microrganismi ambientali e alle specie entomologiche di questi climi.
Sono stati condotti studi Soil Limited per comprendere la relazione tra suolo e COV di decomposizione.
Le caratteristiche e la composizione del suolo come la temperatura, il livello di umidità ecc., hanno tutte il potenziale per influenzare il modo in cui i corpi si decompongono. Viceversa, quando i corpi si decompongono sulla superficie del suolo, possono influenzare il suolo sottostante producendo variazioni di pH, attività microbica e microrganismi, tutti in grado di depositare nel suolo i COV caratteristici del processo di decomposizione.
Gli studi sul tema aiutano a comprendere la decomposizione dal punto di vista del sito di deposizione, questo potrebbe fornire informazioni in termini di odore residuo e stabilire da quanto tempo è stato rimosso un corpo, o semplicemente quanto è simile il profilo dell’odore del suolo al profilo dell’odore del tessuto in decomposizione.
In conclusione possiamo notare come vi sia un grande numero di variabili che possono influenzare la ricerca con un cane da resti umani HRD, al di là che vi siano composti comuni in tutte le fasi di decomposizione, queste producono più o meno sostanze diverse a seconda del tempo di decomposizione, oltre al fatto che l’ambiente, il clima e il microbioma influiscono notevolmente sul profilo di odore della decomposizione, nonostante tutto questo dato è da tenere di conto a livello addestrativo, mentre a livello forense possiamo notare come la decomposizione possa alterare il ph di terreno sottostante il corpo oltre a rilasciare sul sito di deposito tracce di sostanze ben precise come ad esempio composti solforati che assolutamente il cane da resti umani è in grado di rilevare e segnalare anche se non vi è presenza fisica di resti cadaverici..
References
“Forensic Odor Analysis: Current Application in Postmortem Examinations Katherine C Titus , Shawna F Gallegos, Paola A Prada-Tiedemann Forensic Analytical Chemistry and Odor Profiling Laboratory, Department of Environmental Toxicology, Texas Tech University, Lubbock, TX, 79416, USA Correspondence: Paola A Prada-Tiedemann, Forensic Analytical Chemistry and Odor Profiling Laboratory, Department of Environmental Toxicology, Texas Tech University, 1207 S. Gilbert Drive, Lubbock, TX, 79416, USA, Email paola.tiedemann@ttu.edu”
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L’AUTORE
Alessio Lugliè, Criminologo Qualificato Aicis, Istruttore e Formatore cinofilo MIVASS e ASI.
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