Diciamolo subito a scanso di equivoci: le sentenze, che ci piacciano o meno, devono essere rispettate. È una questione di tenuta dell’ordinamento sociale prima ancora che di senso dello Stato. Questo non toglie che sulla loro attitudine ad accertare la verità dei fatti “al di là di ogni ragionevole dubbio” si possa argomentare. È di questi giorni la notizia che Alberto Stasi, condannato per il famoso l’omicidio di Garlasco, è stato ammesso a lavorare all’esterno del carcere, salvo dover passare la notte in cella. Ed ecco che sul caso tornano ad accendersi i riflettori, con alcune legittime domande su quel “ragionevole dubbio” che lo ha fatto assolvere in primo grado e condannare in Cassazione.
Facciamo un esperimento e domandiamoci: una giuria all’americana lo avrebbe condannato allo stesso modo? Difficile dirlo, però possiamo constatare che nel suo processo i sei giurati popolari della Corte d’Assise (gli altri due erano magistrati togati) lo avevano assolto. È invece finita male in Cassazione con una condanna a sedici anni di reclusione (una pena piuttosto lieve considerata l’efferatezza del delitto).
Ecco il nostro esperimento: ipotizziamo di essere davanti ad una giuria come quella dei film americani e vediamo da un lato le prove dell’accusa e dall’altro le argomentazioni della difesa.
PAROLA ALL’ACCUSA
Partiamo da quel maledetto 13 agosto 2007: intorno alle 14,00 Stasi dice di aver trovato il cadavere della sua fidanzata e di aver chiamato il 118. Ma per l’accusa non è vero che l’ha trovata lui, semplicemente perché lì, sulla scena del crimine, non c’è andato. Chi lo dice? Basta analizzare le sue scarpe: se fosse stato in quella stanza si sarebbero macchiate del sangue della vittima. Invece, sulle sue suole, secondo i carabinieri intervenuti per primi e successivamente secondo il RIS, non c’era nessuna traccia ematica nemmeno latente. Allora, se non era stato lì, come poteva sapere che Chiara era già morta quando aveva chiamato il 118? Ecco la prova: le scarpe inspiegabilmente pulite. Questa è la logica che lo incastra. Ma ci sono anche altri elementi. Stasi cercò di depistare dicendo che Chiara era rimasta vittima di un incidente domestico. Poi sul luogo del delitto erano state trovate orme di scarpa modello frau, numero 42 con la suola a pallini e 42 è lo stesso numero che calza Stasi. Nel bagno di chiara fu rinvenuta un’impronta di Stasi sul porta sapone, si poteva quindi pensare che si fosse lavato le mani dopo l’omicidio e avesse lavato anche il porta sapone. Infine, la bicicletta: una testimone aveva visto presso la casa di Chiara un velocipede appoggiato al muro e stasi una bicicletta ce l’aveva.
PAROLA ALLA DIFESA
- Le scarpe sequestrate 19 ore dopo: – I carabinieri erano stati solerti nel notare la discrasia? Avevano riferito che le scarpe erano stranamente pulite. Però, per notare una cosa del genere non basta uno sguardo, in un contesto del genere la cosa richiederebbe una specifica attenzione su un dettaglio importante (tanto importante da divenire un pilastro dell’accusa). Allora come mai quei Carabinieri così attenti non le hanno subito sequestrate quelle scarpe? Furono poste sotto sequestro solo 19 ore dopo ad opera dei loro colleghi.
- Le scarpe dovevano necessariamente presentare qualche traccia, anche se latente, del sangue di Chiara? – Il punto da risolvere riguarda l’assenza di una qualsiasi traccia ematica, dato non controvertibile, sul quale l’accusa fonda la colpevolezza di Stasi. Possibile che Stasi fosse effettivamente entrato in quella stanza senza macchiarsi le scarpe? Il quesito è stato girato ai periti che hanno analizzato il tutto senza però poter obiettivamente approdare ad una conclusione certa. Né sì, né no, conclusero. In altre parole, Stasi poteva anche essere entrato senza sporcarsi le scarpe. Come mai? Perché secondo la perizia non è detto che all’arrivo di Stasi (prendendo per buona la sua versione) il sangue fosse ancora allo stato ancora liquido: era molto caldo ed erano passate ore (la morte della ragazza viene fatta risalire alle ore 9 del mattino), quindi il sangue poteva essersi seccato. Ed il sangue secco non lascia macchie. Al massimo può lasciare qualche granello leggero come la polvere, la quale però è molto volatile. Ma quel sangue “poteva” essersi seccato oppure di “sicuro era secco”? Perché nella prima ipotesi, effettivamente qualche traccia sulle suole avrebbe dovuto restare. Per sciogliere ogni dubbio sul punto è illuminante la testimonianza della dottoressa del 118 intervenuta sulla scena del crimine. Ecco la sua deposizione: “(al suo arrivo, poco dopo le 14) le macchie di sangue al pian terreno erano tutte secche, mentre era ancora umido il sangue lungo le scale dove si trovava il cadavere”.
- Ma poteva restare qualche granello sulle suole; perché invece erano pulite? – Resta l’ipotesi che qualche granello di sangue secco potesse essere rimasto sulle suole, ma nelle 19 ore intercorse tra la sua asserita presenza sulla scena del crimine ed il sequestro delle sue scarpe Stasi aveva camminato parecchio passando anche su un prato appena annaffiato. E poi è così sicuro – come ritiene l’accusa – che se era stato lì, come ha dichiarato, qualche traccia anche infinitesimale doveva essere rimasta inevitabilmente sulle sue suole? Non si direbbe: c’è un dato molto concreto che smentisce questo assioma. Sta di fatto che i primi due Carabinieri giunti sulla scena del crimine non indossarono i copri-calzari: in altre parole si trovarono nella medesima condizione di Stasi, in quanto al calpestio delle macchie ematiche. Le suole delle scarpe dei due Carabinieri tuttavia risultarono altrettanto pulite: nessuna traccia di sangue nemmeno sulle loro suole.
- Quelle particolari scarpe frau numero 42: – A casa di Stasi si cercarono le scarpe, quelle frau però non c’erano. Certo il numero 42 corrispondeva al piede di Stasi, ma è anche una misura mediamente diffusissima. Siccome la perquisizione non aveva dato buon esito in questo senso, venne fatto un controllo sugli acquisti effettuati dal ragazzo con la sua carta di credito. Ancora nulla. Quindi, con molto scrupolo gli inquirenti passarono al setaccio tutte le fotografie che ritraevano Stasi, per vedere se in qualche immagine fosse stato effigiato con le famose scarpe frau. Niente da fare.
- Il depistaggio? Certo stasi aveva parlato di un possibile incidente domestico. Si fanno delle ipotesi, certe volte, ma quando chiamò il 118 aveva di sicura capito cosa fosse successo alla ragazza. La prova sta nella registrazione della chiamata. “Credo che abbiano ucciso una persona” disse “non ne sono sicuro, forse è viva”: il dubbio era se fosse morta o in fin di vita, ma non riguardava la causa. D’altra parte il corpo contundente che sfondò il cranio della povera Chiara non fu mai trovato.
- E l’impronta in bagno? Sul porta sapone c’era un’impronta digitale di Stasi e dal bagno l’assassino era passato di sicuro: lo rivelava l’impronta della famosa scarpa frau trovata anche lì. Ma, a parte il numero, non era provato che Stasi abbia mai calzato una scarpa del genere, quindi, come è possibile il collegamento scarpa frau-impronta di Stasi sul porta sapone? La sua impronta in bagno non rappresenterebbe un’anomalia, visto che il ragazzo frequentava casa Poggi? Anche l’ipotesi che lui avesse lavato tutto contrastava con lo stato del lavandino nel quale c’erano dei capelli. Che senso avrebbe avuto una pulizia così parziale.
- La bicicletta? La bicicletta c’era, ma di che bicicletta si trattava? Cosa ha riferito la teste in proposito? “era una bicicletta nera, aveva un manubrio di quelli normali di una volta, la sella aveva delle molle alte, aveva il portapacchi e non c’era nessun cestino” si legge nella deposizione, ma soprattutto “era una bicicletta da donna”. Stasi aveva una bicicletta, ma era da uomo, non era nera ma di colore bordeaux e oro e sulla parte posteriore aveva un evidentissimo copriruota di colore marrone chiaro. Ad ogni modo il RIS analizzò i pedali. In un primo tempo stabilendo che c’era una macchia latente di sangue di Chiara, ma l’ipotesi fu sconfessata dalle perizie successive che rivelavano che si trattava di un falso positivo. Sì, c’era una traccia di DNA (non di sangue) della ragazza che però poteva essersi fissata lì chi sa in che modo, chi sa da quanto tempo ed in quali circostanze.
ORA TOCCA ALLA NOSTRA FANTOMATICA GIURIA:
Facciamo finta che queste potessero essere le conclusioni delle parti davanti ad una giuria all’americana. Cosa avrebbero deciso i giurati “al di là di ogni ragionevole dubbio”? Non possiamo saperlo. Però sappiamo che nelle stesse circostanze nel rito di common law il processo si sarebbe chiuso ancor prima che la giuria stessa potesse esprimersi. Come mai? Perché in quel sistema processuale la pretesa punitiva dello Stato è in mano al procuratore che, ritirando l’accusa la fa automaticamente venire meno. Lì il giudice è un arbitro e non sta a lui decidere la partita. Ora nell’ultima istanza del processo a Stasi, il rappresentante della Procura Generale allargò le braccia e disse: “in base agli indizi raccolti non posso dire se stasi sia colpevole o innocente. Non posso dirlo io e non lo potete dire nemmeno voi, giudici”. Più legittimo dubbio di quello!