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E’ in carcere (a vita) e quindi per la giustizia la partita è chiusa. Ma i suoi avvocati continuano a credere nella sua innocenza. Quindi chiedono una cosa semplice: ripetere l’analisi sulla prova regina che, come oramai sappiamo tutti, è quella del DNA.

Lui – l’ergastolano – è Massimo Bossetti, condannato per la brutale uccisione della piccola Yara in quel di Brembate in Lombardia. E’ colui che ha dato corpo a quel fantasma inizialmente chiamato “ignoto uno” comparso sulla scena del crimine attraverso una traccia di DNA rinvenuta sugli slip della povera bambina.

Un fantasma – ignoto uno – che ha preso le sembianze del Bossetti dopo una verifica di massa sul patrimonio genetico della popolazione maschile della zona di Brembate e dei paraggi.

Un problema di difesa: – Se ben ricordiamo si partitì da una piccola traccia di DNA, per cercare nella moltitudine (circa 22mila soggetti) secondo la logica: nessun sospettato tutti sospettati. Quindi, pesca a strascico nella speranza di trovare una corrispondenza genetica che appunto fu trovata.

E’ “la foresta che nasconde l’albero” per dirla con William Shakespeare: e l’albero, in questo caso, è appunto Massimo Bossetti.

Ma c’è una particolarità che riguarda il diritto di difendersi, sancito dalla nostra costituzione e nei trattati universali. L’esame del campione venne fatto a carico dell’ “ignoto uno” – cioè del signor nessuno – che non avendo (all’epoca) una identità non poté partecipare – come prescrive il codice – all’esame di laboratorio, magari con i propri esperti. Da quell’esame, senza garanzie di difesa il coinvolgimento della persona del Bossetti. Finalmente gli inquirenti avevano un indiziato e anche la prova scientifica per inchiodarlo alle sue responsabilità.

La prova scientifica – Il punto chiave è intendersi sul termine “scientifico”. Cioè, è il metodo, a dover essere scientifico oppure il risultato? Il DNA è una scoperta della scienza, ma la comparazione è una questione di metodo che a sua volta deve basarsi su criteri scientifici. E’ la differenza tracciata dai pensatori tra la scienza e la tecno-scienza. Il metodo scientifico – fondato da Gallileo Gallilei – è la modalità con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà affidabile e verificabile. Addentrarsi in questo discorso sarebbe poco utile ai nostri fini. Ma ci sono due termini – “affidabile” e “verificabile” – che condizionano ogni ragionamento sulla validità di una prova penale. “Verificabile” significa che è scientificamente provato ciò che, ripetuto, fornisce sempre lo stesso risultato. Fa prova, quindi, ciò che resiste all’esame della controprova. Ora, nel caso Bossetti è il risultato che è scientifico, ma in quanto al metodo occorrerebbe valutare la possibilità della controprova.

La difesa di “Ignoto Uno” – Nessuna identità, nessuna difesa. Quindi nel laboratorio d’analisi erano presenti solo gli accusatori (se escludiamo che tutti, a prescindere, sono o dovrebbero essere al servizio della verità). Ed è da quel laboratorio che è uscita la prova che prima ha permesso di identificare, poi di incastrare Bossetti. I suoi legali hanno contestato il risultato e Bossetti ha più volte richiesto che l’analisi fosse ripetuta, questa volta con la partecipazione dei tecnici della difesa. In sostanza la difesa chiedeva l’esame di 98 reperti, fra cui le provette con 54 campioni di Dna estratti da slip e leggings di Yara, indumenti, biancheria, scarpe che la vittima indossava il 26 novembre 2010, nell’ultima serata della sua brevissima vita. Ma i reperti, sotto sequestro, erano stati nel frattempo confiscati. Un tecnicismo che dice poco, se non fosse che – secondo la difesa – i campioni erano stati conservati male o peggio – a seguito del nuovo provvedimento – deteriorati nel trasferimento dai frigoriferi dell’Ospedale San Raffaele di Milano all’Ufficio Corpi di Reato del Tribunale di Bergamo. Così, sempre secondo gli avvocati, sarebbe stata interrotta la catena del freddo col pericolo del deterioramento del tampone.

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