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Tranne uno, di professione carroziere, gli altri erano tutti poliziotti. Tra   il 1986 e il 1994 hanno messo a segno 133 colpi uccidendo 24 persone e ferendone altre 114. Avevano costruito la loro legenda intorno al modello d’auto utilizzata per le scorribande diventando quelli della “Uno Bianca”. Per compiere le rapine applicavano le tecniche d’intervento imparate nelle scuole di polizia e questo incrementava l’ipotesi che si trattasse di pezzi deviati dello Stato. Purtroppo, la polizia è fatta della stessa malta di cui è fatta la società: così può accadere anche che tra le file degli agenti si celino calunniatori, fiancheggiatori di organizzazioni criminali o approfittatori, il che non toglie nulla alla nobile funzione dell’Amministrazione, all’onestà degli appartenenti ed alla loro vocazione al servizio della collettività, talvolta mettendo addirittura a rischio la propria vita. Quelli della Uno Bianca però sono imperdonabili: hanno tradito il loro giuramento, hanno ucciso innocenti, compresi uomini che indossavano come loro la divisa, hanno anche saputo sfruttare la loro, di divisa. Insomma, sono colpevoli al di là di ogni ragionevole dubbio: hanno confessato ogni loro crimine davanti ai giudici e scontano l’ergastolo. Ma in questo caso il dubbio non riguarda la loro colpevolezza, riguarda la verosimile ipotesi che della banda facessero parte altri rimasti impuniti. Cioè di una indagine carente.

La riapertura dell’indagine: Dopo più di trent’anni, presso la Procura della Repubblica di Bologna è stata aperta una nuova indagine.  E secondo quanto riporta il QN Quotidiano Nazionale, i familiari dei tre carabinieri vittime della strage del Pilastro sarebbero in procinto di depositare un esposto con una richiesta molto chiara: riaprire le indagini sulla banda, fare luce sui punti rimasti oscuri. Le domande irrisolte sono diverse: perché i tre militari erano in via Casini, quando avrebbero dovuto essere davanti alle ex scuole Romagnoli, come aveva disposto l’allora questore? Che fine fece il foglio di servizio della pattuglia, in cui erano indicate le modalità del servizio da svolgere? Poi ancora: chi era il «quarto uomo» che caricò i Savi (cioè i due fratelli componenti della banda) su un’Alfa 33, chiamato addirittura «da un telefono pubblico» dopo il conflitto a fuoco, perché Roberto si era ferito?

L’appello dei familiari: E’ piuttosto evidente che i familiari alludono ad altri componenti o fiancheggiatori della banda non ancora identificati. Dopo gli sviluppi della Strage del 2 agosto, con due nuove condanne all’ergastolo in due anni dopo la riapertura delle indagini, il fratello di uno dei carabinieri uccisi sottolinea: «Gli investigatori che all’epoca si occuparono del caso sono spesso ’chiusi’ su vecchie posizioni: le recenti sentenze sulla strage in stazione invece ci insegnano che le novità possono emergere anche dopo quarant’anni. Sarebbe importante non solo per i parenti delle vittime della strage del Pilastro, ma anche per quelli dei carabinieri Stasi ed Erriu, uccisi a Castel Maggiore, e di tutte le altre».

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