#Monica Atzei*
“Spesso sento dire che per crescere un bambino ci vuole un villaggio, noi dovremmo incominciare ad interrogarci sul nostro villaggio”
Analisi e dati
Partiamo con dei dati, secondo l’Osservatorio nazionale sull’adolescenza, istituito presso il Ministero della Famiglia il 6,5% dei minori fa parte di una banda, il 16% ha commesso atti vandalici, 3 ragazzi su 10 hanno partecipato ad una rissa. Succede in tutta Italia, le regioni più colpite sono Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna.
Lo segnala l’ultimo report del Servizio analisi criminale della Direzione centrale della Polizia criminale sui minori: aumenta del 10% la quantità di minori denunciati o arrestati, così come sale del 20% il numero dei reati. Dai dati demografici emerge che l’appartenente ad una baby gang ha tra i 7 e i 16 anni, è quasi sempre maschio, ma il fenomeno sta aumentando anche tra le femmine e prende di mira soggetti più deboli (coetanei, anziani, disabili). I dati sono tristemente in crescita rispetto allo scorso anno. La presenza delle baby gang, non solo nelle grandi città, è davvero preoccupante, e richiede un’urgente riflessione sulle cause sociali e culturali che portano a forme di prevaricazione e violenza fino al rischio di devianza vera e propria. Ciò che preoccupa maggiormente è soprattutto la violenza gratuita che è diventata quasi la norma per molti giovani. Con il fenomeno delle baby gang, indichiamo una banda di giovanissimi responsabili di azioni di microcriminalità; così i mass media parlano sempre più di baby gang quando riportano episodi di furti ed aggressioni attuati da gruppetti di adolescenti a danno dei loro coetanei. Se si analizzano le caratteristiche di questi gruppi giovanili si scopre facilmente che, in realtà, non si tratta di bande. “Quindi, anche se tra i giovani italiani la devianza di gruppo è molto frequente, non si può parlare, però, di vere e proprie gangs, così come sono presenti in altri paesi come negli Stati Uniti. Il riunirsi di adolescenti in baby gang è, pertanto, la risultante di un insieme di azioni che spesso sono persistenti e mirano deliberatamente a fare del male e/o a danneggiare chi ne rimane vittima. Alcune azioni offensive avvengono attraverso l’uso delle parole, per esempio minacciando od ingiuriando; altre possono essere commesse ricorrendo alla forza o al contatto fisico: schiaffi, pugni, calci o spinte. In altri casi le azioni offensive possono essere condotte beffeggiando pesantemente qualcuno, escludendolo intenzionalmente dal proprio gruppo”.
Calci, pugni, minacce, aggressioni immotivate nei confronti dei propri coetanei, da Milano a Catania, le notti italiane tornano a essere segnate dalle azioni violente delle cosiddette ‘baby gang’ e si riaccende l’allarme sicurezza. Questi gruppi prendono talvolta come esempio i modelli proposti dalle serie televisive (Squid Game, La casa di carta), dai videogames (Fortnaite e affini), dalla musica (Lazza con “Uscito da galera” o Baby Gang con “Paranoia”). Hanno uno o più leader carismatici e spesso si accaniscono contro i coetanei o, comunque, contro chi percepiscono come vulnerabile. Spesso bevono molto e fanno uso di sostanze stupefacenti, il loro intento è quello di amplificare, divulgandoli sui social, i loro gesti violenti. Quel mix di rabbia e disagio che spinge all’affiliazione al gruppo, attraverso il quale i ragazzi possono esprimere la loro rabbia, molto spesso si sviluppa in contesti familiari privi di mezzi e multiproblematici. Tuttavia secondo il report del Servizio analisi criminale “si registra anche la presenza di gang i cui protagonisti appartengono a famiglie di rango sociale elevato; in tali casi, al contrario, l’ambiente ‘non degradato’ ma assolutamente ‘agiato’ li spinge a tenere comportamenti connotati da elevata prepotenza ed arroganza per sconfiggere la noia della routine giornaliera e del benessere ed attirare su di sé l’attenzione degli adulti, talvolta, genitori non molto presenti nel loro percorso di crescita”.
Spesso le baby gang si formano e si organizzano sul web e il maggior ricorso alla rete ha accresciuto i rischi di venire a contatto con contenuti di carattere illecito sia quelli di utilizzo distorto dei vari social network, con la commistione di condotte delittuose on line. Seguono spesso uno schema ben preciso: hanno un contatto con la vittima contro la quale usano violenza verbale, poi, violenza fisica, creano terrore e panico. Nelle baby gang quasi sempre ognuno ha un ruolo e il gruppo compie reati contro i singoli o contro la città. Gli adolescenti della baby gang abbandonano la scuola, rifiutano le regole e sono aggressivi con gli altri adolescenti e con gli adulti. Di solito le tipologie di reati sono differenti a seconda del contesto sociale di appartenenza. Si evidenzia come “tra i ragazzi del ceto medio borghese, i reati di violenza sono contro la persona o anche rapine finalizzate alla ricerca di oggetti status symbol (cellulari, accessori, vestiario firmato ecc.). Molto spesso la gravità dell’atto commesso è ignorata dai ragazzi, è molto frequente infatti, che di fronte alle violenze i genitori o i ragazzi stessi dicano che si è trattato di una ‘ragazzata’. Ma “dare un significato positivo ad una azione considerata reato dal codice penale, è una delle modalità con cui si esprime il disimpegno morale. Con il costrutto del disimpegno morale lo psicologo Albert Bandura riconosce nei meccanismi di dislocazione e di diffusione della responsabilità, la possibilità per l’individuo di non sentirsi responsabile dell’azione commessa, mettendo così a tacere il contrasto tra comportamento agito e standard morali. È come se il reato nascesse improvvisamente senza una progettazione reale”.
L’importanza del gruppo e dei social
Oggi “con il supporto della tecnologia, la condivisione aumenta la portata e alimenta maggiormente gli animi. Si cerca intenzionalmente la popolarità e questo rappresenta un’ulteriore sfida, una condizione che fa sentire i ragazzi ancora più potenti. Tutte queste aggressioni vengono, infatti, riprese attraverso gli smartphone e condivise nelle varie chat e i profili social. Ormai anche le gang si sono digitalizzate e, spesso, condividono le loro ‘gesta’ sui vari social media creando gruppi appositi che fungono da rinforzo e condivisione di condotte delinquenziali. A volte gli adolescenti utilizzano questi canali per rendere direttamente pubblico il loro operato, anche come sfida aperta alle autorità, e per essere rinforzati dai ‘mi piace’ della rete che li rendono ancora più onnipotenti”. Le baby gang “ruotano intorno al meccanismo della deresponsabilizzazione e dell’effetto branco perché nel gruppo è come se ci fosse una divisione della responsabilità, la condivisione di ciò che viene fatto aumenta anche la portata e la potenziale gravità delle azioni commesse. Ci si sente meno colpevoli e ciò che viene fatto in gruppo con elevata probabilità non si farebbe mai da soli. La spinta degli altri aiuta e tante volte lo si fa appunto perché lo fanno altri membri del gruppo, non ci si può tirare indietro, significherebbe essere dei codardi e dei vigliacchi. La gang ha una sorta di modus operandi e una sorta di ‘codice’ da rispettare, altrimenti si è tagliati fuori. Si arriva a sviluppare una identità di gruppo che funziona in maniera differente rispetto a quella individuale, in cui ci si riconosce, identifica e si appartiene”, ha osservato Luca Bernardo (esperto in disagio giovanile- intervista).
Cause e origini delle baby gang
Per spiegare e comprendere il fenomeno delle baby gang entrano in campo diverse teorie. Secondo alcune le azioni criminose delle baby gang si ricollegano al contesto familiare e affettivo in cui sono cresciuti i minori.
Altre teorie “razionaliste” sostengono la tesi secondo cui l’adesione alle baby gang è volontaria e spontanea, quindi non strettamente collegata al contesto familiare di bambini e ragazzi coinvolti. Secondo questa prospettiva, i giovani, influenzati da determinati contesti valoriali, scelgono la strada delle baby gang per ottenere un guadagno in termini economici o di autostima.
Vi sono poi le teorie che fanno leva sul concetto di aggressione-frustrazione. In questo senso, il fenomeno delle baby gang avrebbe origine nella psiche di soggetti frustrati e quando la fonte di una frustrazione non può essere controllata, l’aggressività si rivolge verso un obiettivo debole. Tra l’altro è risaputo che per i ragazzi e gli adolescenti è molto importante stare in gruppo, avere interessi comuni e fare insieme attività ed è pur vero che le opinioni del gruppo su di sé hanno una forte incidenza sulla propria autostima, ma ciò che distingue le baby gang da altre forme di aggregazione giovanile è l’aggressività e lo scopo collettivo di compiere atti illegali quali scippi, spaccio di droga, rapine, violenze sessuali.
Baby gang: cosa sono esattamente
Abbiamo visto quali sono le possibili origini del fenomeno delle baby gang, ma che forma prende questo fenomeno? In altri termini, cosa si intende per baby gang?
Con il termine baby gang si fa riferimento al fenomeno di microcriminalità che vede protagonisti bambini e ragazzi dell’età compresa fra i 7 e i 16 anni, si sviluppa in contesti urbani e ha come epicentro le periferie anche se, spesso, interessa anche i centri cittadini. I minori si riuniscono in gruppi più o meno organizzati, con il preciso scopo di commettere reati: tra questi figurano frequentemente atti di vandalismo, soprusi, aggressioni, furti, rapine e spaccio di stupefacenti. Spesso si parte dal furto di smartphone e accessori griffati, per poi degenerare in reati sempre più gravi.
Le vittime delle baby gang
Purtroppo spesso sono i più deboli ad essere i bersagli di pestaggi, furti e aggressioni che avvengono nel contesto scolastico, in una piazza, davanti ad un luogo di ritrovo qualsiasi. Si può trattare di volta in volta del compagno di scuola, da cui quotidianamente farsi consegnare piccole quantità di denaro facendo leva sulla sua paura e sudditanza psicologica. Oppure il malcapitato può essere un semplice passante, colpevole magari di uno sguardo di troppo e capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non è raro che le baby gang prendano di mira case e appartamenti per compiere piccoli furti e danneggiamenti, si introducono per rubare qualche contante e piccoli oggetti o anche solo per divertirsi con ciò che trovano. Lo scopo non è tanto il valore del bottino ma la dimostrazione chiara e precisa di quanto si è forti e coraggiosi di fronte agli amici e naturalmente questi fatti vengono postati sui social. Anche le attività commerciali a volte vengono prese di mira dai piccoli scippi di merce fino a reati più gravi.
Come agiscono le baby gang
Le baby gang agiscono in branco, facendosi forza l’un l’altro e coprendosi le spalle a vicenda; il termine baby gang fa riferimento al fenomeno di microcriminalità che si sviluppa e si diffonde in contesti urbani. Ogni azione, dunque, così come la sua modalità di esecuzione, prevede che ci sia a monte una visione di gruppo. Un’alta percentuale di episodi, specie quelli di scippo o di aggressione gratuita, seguono un rituale ben preciso: i ragazzi si avvicinano alla vittima e, forti del loro agire in branco, si servono di futili motivi per attaccare briga. Si agisce per gioco, noia o per dimostrare la propria forza e le azioni servono per accaparrarsi gli oggetti di consumo più alla moda, come gli ultimi modelli di smartphone, orologi o motorini. Protagonisti di tali condotte devianti sono ragazzi minorenni e che rappresentano un tipo di aggregazione patologica che mette in atto una serie di comportamenti antisociali: si parte dal furto fino ad arrivare a veri e propri atti vandalici, rapine, aggressioni, abusi sessuali di gruppo e spaccio. Non tutti gli episodi di violenza attuati da giovani sono ascrivibili al fenomeno delle baby gang, le quali hanno una connotazione specifica e si differenzia dal bullismo. Questo fenomeno delle baby gang trova terreno fertile nei contesti degradati, dato che sussistono condizioni critiche (a livello economico, sociale e familiare), ma in realtà una percentuale piuttosto alta di tale fenomeno afferisce a quei contesti in cui l’estrazione sociale risulta essere medio-alta.
Le cause
Quali sono le cause che conducono a una simile escalation di violenza tra giovanissimi? Dall’intenzione di emulare i crimini commessi dagli adulti al desiderio di andare contro le regole sociali, fino al semplice piacere provato nel prendere in giro chi è ‘diverso’, nel lessico, nel vestiario o nelle fattezze fisiche: queste le principali e più comuni motivazioni che spingono i giovani, talvolta addirittura bambini, ad adottare una condotta antisociale. Difficoltà ambientali, economiche, culturali e sociali sono alla base di ogni comportamento deviante; il fenomeno delle baby gang nasce da un contesto di vita problematico nel quale questi giovani crescono. Gli studiosi hanno individuato i fattori di rischio in diverse aree: c’è chi sostiene che questo tipo di violenze siano causate da modelli sbagliati ai quali i ragazzi fanno riferimento. È recente il fenomeno di serie tv criminali dai quali i ragazzi prendono come modelli il “cattivo” della situazione che, nella maggior parte dei casi, riesce a cavarsela, quando invece il messaggio dovrebbe essere differente e quindi dove il bene dovrebbe sconfiggere il male. In alcuni casi invece, le condotte anti-sociali derivano da frustrazioni che causano comportamenti aggressivi su persone definite più “deboli”. Tra le altre motivazioni fanno parte anche situazioni famigliari problematiche (anche una famiglia troppo protettiva e accondiscendente può far nascere nel ragazzo il forte desiderio di ribellarsi). È piuttosto facile pensare che la microcriminalità trovi terreno fertile nei contesti degradati, in cui sussistono condizioni critiche, sia a livello economico che sociale e familiare, in realtà una percentuale piuttosto alta di fenomeni di criminalità minorile afferisce a quei contesti in cui l’estrazione sociale risulta essere medio-alta. Si tratta spesso di adolescenti incensurati, con alle spalle famiglie benestanti, che vivono annoiati nel benessere e che scelgono il gruppo per innalzare ulteriormente il proprio status. I ragazzi, benestanti o meno che siano, sono spinti da un forte desiderio di anticonformismo, sulla base del quale tendono ad andare contro tutto ciò che impone delle regole da seguire.
La criticità in tal caso è insita in un’educazione carente, povera di regole da rispettare, o addirittura in una totale assenza di orientamento socio-educativo da parte dei genitori. E’ piuttosto palese che non esiste un’unica motivazione che spinge a commettere atti di microcriminalità; ogni singola teoria può risultare più o meno accreditata a seconda dei contesti e delle situazioni. C’è chi sostiene che parte della ‘colpa’ dell’escalation di violenze sia imputabile alla tv e alle serie tv incentrate su spaccati di vita disagiati, disastrati e degradati. In alcuni casi la tendenza ad adottare condotte anti-sociali è associata alla psiche dei soggetti, in frustrazioni non controllate che portano a scaricare l’aggressività su soggetti identificati come ‘deboli’. Tra le motivazioni che più frequentemente spingono gli adolescenti a commettere micro-crimini rientrano anche contesti familiari problematici, nell’ambito dei quali sussistono divorzi, separazioni difficili e talvolta anche perdite.
Al contrario anche una famiglia troppo protettiva e accondiscendente può far nascere nel ragazzo il forte desiderio di ribellarsi. Ultimo, ma non per questo meno frequente, una carenza educativa che porta ad abbassare la percezione di illecito.
Il microcosmo nell’ambito del quale più frequentemente, e più facilmente, si sviluppa il fenomeno è la scuola, media, superiore e spesso anche elementare.
La motivazione è piuttosto semplice: quello scolastico rappresenta l’ambiente in cui nascono le prime amicizie e nel quale avvengono le prime esperienze di inserimento all’interno di un gruppo. Se da alcune ricerche giuridiche condotte sulla popolazione carceraria minorile, emergono tra le possibili cause ricorrenti, gravi problemi familiari, degrado abitativo-ambientale, l’abbandono scolastico precoce o l’assenza di scolarizzazione, la cronaca riporta sempre più spesso azioni violente e di bullismo attuate anche da ragazzi di ottima famiglia. E’ risaputo che per i ragazzi e gli adolescenti è molto importante stare in gruppo, avere interessi comuni e fare insieme attività ed è pur vero che le opinioni del gruppo su di sé hanno una forte incidenza sulla propria autostima, ma ciò che distingue le baby gang da altre forme di aggregazione giovanile è l’aggressività e lo scopo collettivo di compiere atti illegali quali scippi, spaccio di droga, rapine, violenze sessuali.
Insiemi di sottoculture
I criminologi analizzando questo fenomeno, identificano tre insiemi di sottoculture giovanili:
- Le sottoculture criminalisono organizzate per provvedere al raggiungimento di fini di tipo materiali e quindi rapine.
- Le sottoculture conflittualisono di protesta e di ribellione.
- Le sottoculture astensioniste commettono reati per procurarsi sostanze stupefacenti.
Un aspetto fondamentale è al centro della cosiddetta “teoria dell’associazione differenziale” di Edwin Sutherland. Il comportamento criminale è appreso all’interno di gruppi coesi, secondo una forma di conformismo che si consolida gradualmente proprio all’interno di essi. Si diventa “devianti” per il contatto con modelli di comportamento devianti a loro volta o per il mancato contatto con modelli di comportamento non devianti. Un altro contributo sostanziale per la comprensione della devianza sociale è la “teoria dell’etichettamento”, secondo la quale un individuo viene prima definito deviante dalla propria società e poi diventa effettivamente tale. Ci troviamo di fronte a ragazzi che hanno perso il contatto con le regole sociali e con la regolazione emotiva.
Come si può intervenire?
Secondo Fabio Vanni il fenomeno delle gang giovanili va compreso alla luce del più complesso quadro sociale che ha come protagonisti gli adolescenti, questi “personaggi invisibili, che sempre più troviamo in luoghi diversi da quelli che immaginiamo”. Si creano infatti relazionalità parallele a quelle instauratesi nei contesti pubblici in cui normalmente si muovono, in primis la scuola. D’altra parte questi spazi negano loro sempre di più una partecipazione politica e l’occupazione delle strade è una reazione a questa esclusione: all’etica normativa pubblica oppongono un’etica del gruppo. Bisogna dunque chiedersi come si possa intervenire al meglio, tenendo presente che gli adolescenti non vanno considerati meri destinatari di provvedimenti, ma devono poter compartecipare alle scelte degli adulti. Il fenomeno delle gang giovanili si spiega solo tenendo conto di queste problematiche – dinamiche estremamente mutevoli – già presenti quando ci si interfaccia con il mondo degli adolescenti. Gli interventi delle istituzioni spesso trovano difficoltà perché non si comprende che non abbiamo a che fare con soggetti con disturbi internalizzanti, che cioè tendono a non manifestare i problemi all’esterno, ma con soggetti esternalizzanti, che invece tendono ad agire con violenza e aggressività. I piani assistenziali previsti per i primi risultano totalmente inadeguati per i secondi. “Aggressività non è necessariamente distruttività ma nell’identità storica degli uomini ha una sua centralità. Ridotta dunque ad un luogo molto innocuo, si può comprendere come la rioccupazione delle piazze rifletta anche questo loro stare al mondo.” Per Matteo Allodi (educatore professionale socio-pedagogico) invece la questione delle bande va analizzata sia dalla prospettiva del cittadino che si sente minacciato, sia da quella dei gruppi implicati, che sono formati da ragazzi che conoscono bene il territorio e gravitano attorno a determinate aree urbane. Dobbiamo capire anche quanto la rappresentazione mediatica contribuisca a categorizzare queste forme di aggregazione. Del resto non sempre si ha una percezione adeguata dei fatti e quanto riportato dai media potrebbe contribuire a un’amplificazione ingenerosa di quanto accade realmente. A ciascuna zona corrispondono specifici target, motivo per il quale si può interpretare le reale portata del problema solo andando a contestualizzare di volta in volta. “L’intervento migliore – continua Matteo Allodi – può essere solo quello che prevede che si torni nelle strade, ci si confronti con i ragazzi e ci si sforzi di comprendere il loro linguaggio.”
A fronte delle definizioni date finora, è sempre bene ricordare che famiglia, scuola e altre agenzie educative devono essere coinvolte nella prevenzione e nel contrasto del fenomeno al fine di anticipare determinate dinamiche e fungere da strumento esemplificativo per le future generazioni. E’ necessario intervenire allo scopo di incrementare, in tutti i ragazzi, l’empatia, ovvero la capacità di mettersi nei panni dell’altro, in questo caso della vittima, per evitare di compromettere una fase di vita e il futuro di personalità più fragili e sensibili. Gli stessi adolescenti che hanno determinati atteggiamenti e devianze, a volte, per mettere in atto tali condotte, condividono un vissuto di sofferenze e mancanze tali che avrebbero bisogno di un personale e preciso percorso di supporto e aiuto psicologico. Sensibilizzare circa tali fenomeni, dunque, pone l’accento sull’importanza della prevenzione partendo da un contesto coeso di società che si unisce al fine di lasciare un’eredità solida alle prossime generazioni di giovani. Un’eredità in cui i ragazzi si sentano più liberi di esprimere le proprie emozioni senza paura di essere derisi, siano più in grado di gestire le frustrazioni e abbiano la possibilità di accedere alla rete di professionisti in grado di aiutarli senza che questo diventi fonte di vergogna. Un’eredità, dunque, che va necessariamente supportata e attenzionata ancor prima dagli adulti di riferimento.
Per contrastare efficacemente il fenomeno, sarà necessario prevedere un percorso comune che metta in rete gli Enti del Terzo Settore, gli organismi della giustizia minorile e i servizi sociali territoriali, le famiglie, la scuola e gli enti di formazione.
Gli strumenti legislativi di intervento ci sono, ma il rapporto del Servizio Analisi Criminale, più che nella repressione, incoraggia ad investire nella prevenzione, nella “crescente promozione, da parte di tutti gli stakeholder, pubblici e privati, di iniziative didattiche, sociali, culturali, sportive, religiose, nel complesso di educazione alla legalità che coinvolgano gli uomini del futuro, i minori, rendendoli, il più possibile, partecipi del loro futuro”.
Conclusioni
Bisogna dare un sguardo non solo esterno, ma anche interno su cosa fanno, con una forte preoccupazione sugli effetti sulla società. “Chi sono quelli che si aggregano in questo modo? – dichiara Prina – A quali bisogni risponde questo tipo di aggregarsi? Solo comprendendo questi aspetti dall’interno è possibile ragionare su come intervenire e come dialogare, su come orientare positivamente la crescita dei ragazzi che trovano in quelle aggregazioni le risposte e i loro bisogni.” Franco Prina, nel suo libro sottolinea anche la difficoltà di fare ricerca sulle devianze, essendo comportamenti tendenzialmente tenuti nascosti o, se visibili, con protagonisti poco disponibili ad essere oggetto di ricerca. I fattori che sono all’origine di questo fenomeno sono vari, ma possono essere suddivisi principalmente su tre piani: macro, meso e micro. Franco Prina continua: “Quando noi pensiamo alla violenza come modo di reagire alle provocazioni, o per prendere ciò che non si può avere diversamente – tratti caratteristici di questi gruppi – si parla di piano macro. “Il piano meso riguarda per lo più la provenienza da un ‘mondo diverso’, vivendo una situazione di difficoltà di integrazione, di deprivazione materiale, di fatica ad accettare o essere accettati quando si è in relazione con altri; e che in molti casi esprimono atteggiamenti di ostilità. Poi c’è il piano micro, che riguarda le relazioni che hanno i membri all’interno di questi gruppi, guardando come si reagisce agli stimoli causati dai rapporti interpersonali”. L’aggregarsi in gruppi prevede sentimenti di amicizia e di solidarietà, di lealtà e di rispetto reciproco, spesso ci sono anche dei ruoli in base all’importanza dei membri e vengono condivisi simboli o elementi distintivi. Sono importanti i luoghi d’incontro, ritenuti di loro proprietà. Il riconoscere una piazza, una strada o un locale come il luogo che li definisce e in cui gli altri non possono entrare, o possono farlo alle loro condizioni, aumenta ancor di più il senso di appartenenza al gruppo, rafforzando la loro percezioni di invulnerabilità. “L’assenza di futuro e di prospettive, in quella logica dove siamo sempre sotto stimoli consumistici, e quando non si hanno possibilità di lavoro e altre opportunità, fanno sì che si creino queste manifestazioni di disagio” spiega il docente.
Allo stato attuale queste situazioni sono la spia di un disagio diffuso che coinvolge tutti, un disagio che a volte nasce o più semplicemente trova spazio in forme di relazione e comunicazione non lecite. La letteratura scientifica riporta una stretta relazione tra i fattori di rischio connessi alla carriera deviante dei giovani e il ruolo determinante svolto dalla famiglia. Le azioni possibili per arginare il fenomeno sono tante. Innanzitutto le parole chiave diventano “prevenzione” ed “educazione”; la scuola ad esempio dovrebbe fornire spazi di aggregazione e socializzazione, promuovendo alternative alla rabbia e al cinismo: educazione emotiva, percorsi di educazione al rispetto dell’altro e contro la violenza di genere, ma anche attività di socializzazione, come sport, doposcuola, spazi protetti come i centri di aggregazione giovanile.
E’ ormai necessario favorire forme di prevenzione in tutti gli ambiti educativi (scuola, famiglia, oratori..) cercando di comprendere i segnali di sofferenza e disagio manifestato dai ragazzi, promuovendo relazioni e dando risposte adeguate ai bisogni. E’ un fenomeno che ha varie facce su cui tutti dobbiamo fare una riflessione. In primis la famiglia, come punto di riferimento, deve ricostruire figure genitoriali credibili e offrire il proprio sostegno, impegnandosi a costruire un rapporto significativo con i figli; mentre la scuola, dove i ragazzi cominciano a costruire le prime relazioni sociali, a conoscere l’altro, a sperimentare i primi successi e insuccessi, deve valorizzare la centralità della persona e favorire la sua crescita per far sentire i ragazzi parte integrante di un contesto che li accoglie e li comprende.
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Bibliografia
Albert Bandura- Disimpegno morale. Come facciamo del male continuando a vivere bene (2017) e Adolescenti e autoefficacia. Il ruolo delle credenze personali nello sviluppo individuale (2012)
Edwin Sutherland- Principi di Criminologia (1947)
Fabio Vanni- Adolescenti nelle relazioni: generazioni che co-costruiscono la società-mondo (2018)
Franco Prina- Gang giovanili. Perché nascono, chi ne fa parte, come intervenire (2019)
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L’AUTRICE
Monica Atzei è una criminologa qualificata AICIS, giornalista ed insegnante di materie letterarie. Scrive per diversi magazine e blog e collabora come ufficio stampa di band, locali, booking e con una label.
Riproduzione riservata ©
AICIS
Appena ho iniziato a leggere ho notato una analisi lucida e pertinente .
I ragazzi hanno bisogno di confronto , di discussione di parlare , per fare questo ci vuole tempo.
Ma lo si vuole dedicare questo tempo che attualmente è assorbito dai social?
Da circa tre anni osservo i comportamenti degli adolescenti avendo io una figlia adolescente .
Lei ha perfettamente ragione.