La negoziazione degli ostaggi non è mai un processo che deve essere lasciato al caso. Esso richiede una presenza attiva, un percorso di volta in volta costruito secondo le caratteristiche del caso, da parte di un negoziatore in grado di mediare quelle che sono le richieste promosse dal sequestratore.

Nata come strumento per evitare avvenimenti disastrosi durante le trattative per la liberazione degli ostaggi, essa si è pian piano evoluta verso forme sempre più collaborative con i criminali piuttosto che di esclusiva forza.    

Sebbene sono sempre le solite figure quelle che di solito gestiscono le trattative, non bisogna dimenticare che, oltre al team che sostiene il negoziatore, dall’altra parte possano esserci altrettanti istruiti soggetti che operano collegialmente per raggiungere gli obiettivi che si sono preposti.  

Che si tratti di situazioni che comprendano l’ottenere delle risorse economiche, il propagandare i propri ideali, la neutralizzazione di uno specifico gruppo o la singola persona, quello del negoziatore è un compito arduo, teso a salvaguardare quella che è la vita degli ostaggi e degli stessi malviventi. Questi ultimi o il singolo individuo difatti rappresentano gli anelli sensibili, i principali responsabili, di quello che sarà il processo negoziale: ogni loro stato d’animo, pensiero o progetto, necessita di essere compreso e monitorato dal team proposto alla negoziazione. Dopotutto, al fine di agire efficacemente, queste informazioni saranno importanti per poter porre una prima distinzione tra quello che può essere definito come un “sequestro in caso di emergenza” da quello in “stato di crisi”: mentre nel primo il sequestro è occasionale, nato in un secondo momento per rimediare a qualcosa che si voleva ottenere, il secondo è voluto per ottenere per esempio delle richieste specifiche sotto il profilo politico, economico, sociale, religioso ed ecc…

A supporto di ciò, per meglio comprendere quelle che sono le differenze psicologiche, motivazionali e situazionali, tra le due tipologie, può essere utile citare quelle che sono le considerazioni del Tenente Colonnello dei Carabinieri Ciro Guida:

 

Nel sequestro in caso di emergenza il rapinatore non è pronto emotivamente e fisicamente ad affrontare il ruolo del sequestratore, anzi si trova a gestire una situazione che gli è sfuggita dalle mani, in un ambiente ostile nel quale deve contrattare la propria libertà; nello stato di crisi la situazione è ben diversa, il sequestratore gioca un ruolo per il quale si è preparato e non da solo, sa di avere alle spalle un’organizzazione che gli dà la forza del senso di appartenenza e che lo appoggia nell’azione che ha intrapreso. Qui il sequestratore, o il gruppo che ha alle spalle, ha scelto il luogo, il momento e probabilmente anche l’ostaggio e principalmente, a differenza di quanto accade nel caso di emergenza, non ha necessità di negoziare per sé stesso, realizzando una delle regole fondamentali del negoziato: chi ha il potere decisionale non può negoziare. In questo quindi si pone alla pari del negoziatore delle forze dell’ordine, diventando egli stesso un negoziatore.[1]

 

In generale, che si tratti di uno o dell’altra situazione, ogni mossa da parte del negoziatore e sequestratore, deve essere valutata attentamente poiché può avere delle ripercussioni su quelli che sono gli obiettivi da raggiungere. Nel caso specifico del primo soggetto, per esempio, sarà importante mantenere un’efficace comunicazione con i criminali allo scopo di poter definire quali possano essere le strategie migliori da utilizzare prima dell’eventuale intervento estremo; per quanto riguarda il secondo, spesso è ben consapevole del valore della singola vita, associata ad ogni ostaggio, per ritardare l’intervento delle forze speciali.

In questo complicato rapporto, spesso marcatamente definito sul piano comunicativo, emozionale e psicologico, sono tre le caratteristiche principali che è possibile intravedere nella maggior parte delle negoziazioni degli ostaggi:

 

  • I sequestratori hanno in mente un obiettivo da raggiungere;
  • La polizia rappresenta il mezzo per poter chiedere delle richieste;
  • I malviventi fanno leva sugli ostaggi per ottenere ciò che hanno richiesto.

 

A questo rapporto “triadico”, non sono mancate forme di sequestro “diadico” attraverso le quali si sono configurati attori come il carceriere e la vittima. Nella fattispecie, ciò che spesso caratterizza questo tipo di situazioni dalle precedenti, è il mancato bisogno da parte del malvivente di fare una richiesta ad un ente esterno in quanto l’intera situazione viene percepita, dallo stesso, come qualcosa di strettamente condiviso solo tra lui e le vittima. Questo tipo particolare di sequestro varia quindi molto in base a quello che è lo stato emozionale, quasi intimo, del carceriere con il proprio prigioniero: contraddistinto da motivazioni disparate che possono provocargli rabbia, gelosia, frustrazione ed ecc…

Comunemente definita come “barricamento con vittima”, in molti casi reali, famoso quello della famiglia Fritzl, è stato possibile a posteriori diagnosticare delle vere e proprie psicosi presenti nei carcerieri. 

Detto questo, partendo dal presupposto che è difficile definire un percorso univoco di risoluzione di qualsiasi negoziazione ostaggi, per le peculiarità che di volta in volta si possono delineare, di notevole entità può essere per il negoziatore seguire uno schema di base da adattare ad ogni singola situazione. Si analizzano nel dettaglio le principali fasi:

 

  • Ascolto attivo: quell’importante fase nella quale è possibile far leva sulla voglia del sequestratore di essere ascoltato per ottenere dati da analizzare successivamente. Essi non rappresentano delle informazioni in quanto possono essere utilizzate delle parole con consapevolezza da parte del sequestratore per depistare quelle che sono le possibili strategie d’intervento. Non per niente ci si avvale di preparatissimi analisti di supporto in grado di valorizzare i dati ricevuti. In virtù di questo scopo, per ottenere un quantitativo di elementi buoni da analizzare, si possono usare delle efficaci strategie. La prima è sicuramente quella dello “specchio” ovvero l’utilizzo delle ultime parole usate dal sequestratore, da parte del negoziatore, per dar una positiva impressione sul suo ruolo di ascoltatore. A questa può seguire quella “dell’inquadramento” cioè quella particolare tecnica che, al momento giusto, è in grado di riassumere tutto quello che è stato esposto dal malvivente precedentemente. In aggiunta, spesso si lega il potere della comprensione emozionale: ogni stato d’animo che il negoziatore avverte viene verificato da una serie di domande che tendono sempre di più a creare un rapporto empatico. Quest’ultima tecnica, più delle altre, spesso è considerevolmente utile in quanto capace di monitorare quello che è lo stato d’animo del negoziatore all’interno di ogni passo negoziale: frustrazione, depressione, rabbia ed ecc…
  • Empatia: quella capacità di comprendere più in profondità quella che è la situazione e lo stato d’animo dell’altro.

Nel caso concreto della negoziazione essa sarà strettamente correlata all’uso delle parole, del tono di voce e dei silenzi usati dal negoziatore. Nella fattispecie, di aiuto può essere la tecnica del “rapport” ovvero dell’imitazione: ogni punto in comune che lo stesso riuscirà ad ottenere con il sequestratore, come lo stesso uso delle emozioni, delle pause, della cadenza e delle parole, può involontariamente spezzare molte barriere che il malvivente si potrebbe essere posto con il suo interlocutore.   

  • Rapporto: la nascita di una prima forma di collaborazione.

In questa fase le proposte negoziate dalle parti tendono a convergere in un’unica soluzione di tipo “Win to Win”. In altre parole, da una negoziazione di tipo competitivo si delinea una possibile forma collaborativa.

Giunti a questo punto, la loro comunicazione dovrebbe essere più fluida ed efficace assieme a quella che è la predisposizione del sequestratore ad ascoltare le richieste del negoziatore. Quest’ultimo, difatti, dovrà essere bravo a condurre il soggetto verso una sottile via di arresa mediante discorsi atti a giustificare l’azione criminale commessa oppure tendenti a sminuirne la gravità del gesto commesso. In aggiunta, spesso si cerca di far ragionare il sequestratore sulle sue “impossibili” richieste: vengono rese di proposito difficilmente realizzabili per destabilizzare quello che è il suo possibile piano. 

  • Influenza: quelle serie di strategie con le quali si tende a condizionare l’atteggiamento e il comportamento del malvivente.

Una volta avviato un percorso collaborativo, sarà più facile per il negoziatore proporre la via di uscita più semplice per il sequestratore. In altri termini, quella più facilmente accettabile dallo stesso in termini di “possibili rimedi”. In questa delicata fase, più sembrerà naturale il percorso di resa che gli verrà delineato e più gli diventerà fattibile accettarlo.

  • Cambiamento del comportamento: passaggio transitorio da quelli che erano gli obiettivi iniziali del criminale a quelli ridefiniti dal negoziatore. Una volta avvenute le fasi precedenti, un passo alla volta, il primo dovrebbe lasciarsi coinvolgere da quelle che sono le proposte illustrate dal negoziatore ribaltando, così facendo, quelli che erano i suoi obiettivi iniziali. Affinché ciò avvenga sarà necessario non avere fretta e soprattutto capire quali strategie adottare per riportare su un piano più ragionevole possibile la proposta di resa.

Nel caso, per esempio, si volesse arrivare al rilascio degli ostaggi e alla fine della negoziazione, ci potrebbero essere dei segnali precursori che il negoziatore potrebbe notare dal sequestratore: abbassamento del tono della voce, minore rigidità sulle scadenze, esigenza dello stesso di voler parlare di argomenti personali ed ecc…  

 

Seppur queste fasi rappresentino nella teoria la basi attraverso le quali è possibile ottenere la collaborazione da parte dei sequestratori, è doveroso da parte del negoziatore concentrarsi anche sulla tipologia di questi ultimi e delle vittime, sul luogo scelto, sul perché delle richieste ed ecc…

In altre parole, le strategie di negoziazione variano a seconda delle richieste dei sequestratori, del momento della giornata, delle condizioni mentali dei sequestratori e di un milione di altri fattori[2].

Tutto ciò sarà indispensabile valutarlo poiché la strategia più efficace può essere implementata solo attraverso la presa in considerazione di diverse variabili. In tal senso è facilmente intuibile come il solo differenziare la tipologia del sequestratore (criminale, fanatico religioso, mentalmente disturbato, estremista politico ed ecc..) può totalmente stravolgere la strategia da adottare. Non per niente il negoziatore collabora strettamente con l’intelligence per raccogliere informazioni di notevole importanza: the aim is to gather information about the hostage-taker and hostages, including family members, past criminal and/or mental heath treatment history, demographics, identity of the hostages and their relation to the HT, and any other intelligence that will be useful in planning and carrying out the negotiation.[3]

Si immagini solo quanto ancora più difficile diventi una negoziazione con più interlocutori o con un gruppo di sequestratori, con diverse caratteristiche, alle spalle del “front-man”. 

Detto tutto questo, al fine di avviare una negoziazione efficace bisogna tenere in mente altri indispensabili fattori:

 

  • La persona deve essere separata dal problema;
  • Bisogna sempre cercare di trattare con il sequestratore mediante valide alternative utili ad ottenere un mutuo-vantaggio;
  • Il peso di ogni singola richiesta;
  • Bisogna concentrarsi più sugli interessi che sulle motivazioni;
  • Tenere bene in mente quali sono i protocolli da prendere in considerazione;
  • Cercare di ottenere qualcosa in cambio di qualcos’altro;
  • La variabile tempo come un elemento fondamentale;

 

Un buon negoziatore deve dunque saper ascoltare e comprendere i bisogni dei sequestratori, ma soprattutto deve essere bravo a bilanciare rifiuti e concessioni. Poche le regole d’oro da seguire: cercare di ottenere sempre qualcosa in cambio per ciascuna concessione fatta (magari anche una promessa o un semplice cambio di atteggiamento); non concedere troppo o troppo in fretta, fare in modo che i malviventi fatichino ad ottenere le cose richieste; dilatare i tempi della negoziazione (con il trascorrere delle ore si riduce la tensione e si affievolisce la forza delle richieste dei sequestratori). Il negoziatore principale dovrà inoltre avere sempre ben chiaro in mente tutto quello che può essere oggetto di negoziazione: il cibo, le bevande (eventualmente anche alcoliche), gli spostamenti dei sequestratori (facendo attenzione che ciò non avvenga liberamente), il denaro, le armi, la gestione dei mezzi di comunicazione ma soprattutto il rilascio degli ostaggi[4].

 

A proposito della variabile tempo, nei casi in cui il sequestro dovesse durare diversi giorni, non è sempre detto che, con il passare di esso il sequestratore possa placare la tensione e ridurre la forza delle sue richieste; esso può di converso, essere pervaso da un costante e vizioso stato d’ansia tale da compromettere la vita degli ostaggi. Non per niente nelle righe precedenti si parla di ore.

Detto ciò, bisogna essere molto cauti ad agire in un determinato modo. Non indifferente da gestire è stato per esempio, nel corso di molte negoziazioni, il problema del burn-out per il sequestratore: sindrome da esaurimento emotivo e da cedimento psicofisico. Stesso discorso può essere rivolto alle vittime: esse potrebbero elaborare il trauma subito in diversi modi rischiando in alcuni casi, in aggiunta a quelle forme di dipendenza emotive (come la sindrome di Stoccolma), la propria vita.

In questi termini, dei consigli possono essere dati agli ostaggi per limitare le possibilità di incorrere in ulteriori problemi:

 

  • Seguire il più possibile quelle che sono le istruzioni date dai sequestratori;
  • Evitare dei comportamenti inutili che potrebbero creare fastidio agli stessi (voltare le spalle oppure mostrare troppo il proprio stato d’animo);
  • Non porsi in un atteggiamento di sfida (evitare il contatto visivo);
  • Parlare solo quando si è interpellati;
  • Prima di tentare la fuga, pensare bene quali possono essere le possibilità di riuscita;
  • Non vivere il periodo della negoziazione in maniera passiva: ogni informazione per la polizia può essere molto importante;
  • Evitare assolutamente di fare gli eroi;
  • In caso di irruzione, da parte delle forze speciali, tenersi pronti a gettarsi a terra.

 

Al fine di salvaguardare quella che è la loro vita, quello del negoziatore è un ruolo così vitale da richiedere una precisione d’intervento non indifferente. Si pensi soprattutto a quanto possano essere, più delle altre, complicate alcune fasi: quella iniziale, prima e dopo la resa del sequestratore ed eventualmente nel corso dell’irruzione da parte delle squadre speciali (nel caso non ci dovessero essere altre alternative). Non di rado, infatti, si sono verificati altri possibili eventi risolutivi all’interno delle complicate fasi della negoziazione:

 

  • La resa spontanea del sequestratore;
  • Il suicidio dello stesso;
  • La fuga del malvivente;
  • L’uccisione, spesso da parte delle forze speciali, dell’autore del sequestro.

 

In sostanza, come ogni buona trattativa che si rispetti, il compito principale del negoziatore sarà quello di portare l’altro a collaborare nel modo più efficace possibile. È intuibile comprendere quanto il rispetto per lo stesso è essenziale: le vecchie strategie One-down, indirizzate a rendere il sequestratore inferiore, si sono rivelate spesso inefficaci.

Their key is not to convince them of anything, but instead to start by first by understanding them from their own perspective[5].

Sicuramente degli elementi che il negoziatore deve possedere, al fine di risolvere quello che è il negoziato, sono il pensiero creativo e quello laterale. In altri termini, egli deve essere in grado di pensare fuori dagli schemi trovando, di volta in volta, quelle che potrebbero essere le soluzioni più efficaci da adottare. In tal senso, anche saperle trasmettere in modo chiaro sarà essenziale: egli dovrà essere bravo a maneggiare gli assiomi della comunicazione efficace. Non esiste negoziazione senza quest’ultima.

 In conclusione, riepilogando è possibile asserire che il fenomeno dei sequestri è assai complesso e caratterizzato da una serie di elementi interconnessi, con ripercussioni su interi e svariati gruppi di soggetti e attori, a prescindere dalle epoche storiche, dai confini geografici e dalle dinamiche politiche, di governance ed economiche[6]. Valutando tutte quelle che possono essere le principali variabili da prendere in considerazione caso per caso, non c’è niente di più esplicativo del concetto della “visione sistemica” per spiegare come bisognerebbe operare all’interno della negoziazione degli ostaggi: si tratta di quell’innovativo paradigma utile a meglio comprendere quella che è la complessità della situazione attraverso, dato un certo contesto, la correlazione di ogni singolo elemento con l’altro.

È soprattutto in queste delicate situazioni che, l’uso di un’ottima visione sistemica, assume un valore inestimabile in termini di buona riuscita dell’operazione.

 

 

Bibliografia:

 

  • Anacleto Flori, “L’arte di negoziare”, sito del Ministero dell’interno.
  • Christopher Beam, “Come si tratta con un sequestratore?”, Il Post, gennaio 2015
  • Ciro Guida, “Aspetti teorico-pratici della negoziazione operativa e le nuove sfide per l’arma dei carabinieri”, sito del Ministero della difesa.
  • Quresh John, “Hostage negotiations: Psychological strategies for resolving crises”, academia.edu
  • Thomas Koulopoulos, “How to Negotiate Using the FBI’s 5-Step Hostage Strategy”, Inc., novembre 2019.
  • Umberto Saccone, “Protocollo S”, Aracne Editrice, aprile 2019.

 

[1]Ciro Guida, “Aspetti teorico-pratici della negoziazione operativa e le nuove sfide per l’arma dei carabinieri”, sito del Ministero della difesa. 

 

[2]Christopher Beam, “Come si tratta con un sequestratore?”, Il Post, gennaio 2015

[3]Quresh John, “Hostage negotiations: Psychological strategies for resolving crises”, academia.edu

[4]Anacleto Flori, “L’arte di negoziare”, sito del Ministero dell’interno. 

[5] Thomas Koulopoulos, “How to Negotiate Using the FBI’s 5-Step Hostage Strategy”, Inc., novembre 2019.

[6]Umberto Saccone, “Protocollo S”, Aracne Editrice, aprile 2019.

Angelo Alabiso Criminologo AICIS