[Deborah Maddalena Bottino*] Focus sui Social network più diffusi e il loro uso incosciente: quali sono i pericoli, le politiche di privacy, l’identità digitale dell’adulto e la presenza autogestita del minore.

Fino a qualche anno addietro avremmo esordito nel disquisire questa tematica con una premessa circa l’evoluzione e la portata innovatrice della società digitale. Oggi non avvertiamo più quella forbice di differenza così ampia tra una società priva di innovazione tecnologica e una società altamente tecnologizzata. Al contrario, apparentemente sembra che, usiamo tutta questa tecnologia per ricordare il passato che sembra ormai appartenere a una condizione particolarmente arcaica.

Sulle autostrade telematiche del web ciò in cui siamo costantemente e continuamente esposti e assorbiti sono sicuramente i social networks, su cui navighiamo per la maggior parte delle nostre giornate. Ne esistono di diverso genere, nati con finalità primariamente orientate verso una tipologia e poi successivamente modificate verso altro. In questo spazio ci occuperemo di tre famosi social networks, molto utilizzati da adulti ma soprattutto da minori e in maniera particolare cercheremo di indagare su quelli che sono i pericoli, più o meno occultati, nell’uso (a volte spregiudicato) del social. Prima di addentrarci nel vivo dell’analisi è necessario fare alcune premesse che sono utili a precisare e a delineare in quale sistema, in quale dinamica ci si muove. In primis se fino a poco tempo fa si riusciva a tracciare un confine delineato e chiaro tra la vita offline e quella online, meglio ancora tra identità reale e identità digitale, oggi non è possibile. Sul web, molto spesso, si assumevano identità fittizie, di fantasia, si indirizzava quella serie di desideri di essere che nella vita reale semplicemente erano ben lontani dal dato realistico, oppure tutta una serie di elementi che nella vita reale si nascondevano perché probabilmente oggetto del giudizio morale ed etico (come l’identità di genere, l’orientamento sessuale, le “perversioni sessuali”, e perché no anche i disturbi parafilici). L’assunzione di un’identità digitale permetteva la sicurezza di essere occultato e protetto attraverso un filtro costituto dallo schermo. Questo, anche, nel caso che si usasse la propria reale identità che comunque veniva nettamente separata dall’identità reale. È imprescindibile asserire che questa dinamica, in realtà, persista, però oggi non è più possibile tracciare una linea netta di separazione tra ciò che è identità reale e ciò che è identità digitale. Oggi assistiamo a una completa fusione tra le due, precedentemente separate, che portano il soggetto molto spesso a dare un maggior peso a quella digitale, giacché garantisce in qualche modo una sorta di “fissità” del momento, attraverso la pubblicazione di contenuti digitali che vanno a creare una sorta di dipendenza e di assuefazione con tratti narcisistici, a voler a tutti i costi mantenere un certo livello di status quo. In sostanza la necessità di apparire attraverso la vetrina social con qualsiasi mezzo possibile, ossia il tentativo (patologico) di spettacolarizzare qualsiasi evento vitale: da una cena al ristorante, a un aperitivo, a una serata danzante, alla preparazione dei piatti quotidiani, alla cura del giardino, alle macchine, finanche spettacolarizzare dolore e morte. Oggi, si assiste a una comunicazione media e social media che tende a spettacolarizzare il dolore. Si tratta di un processo che porta al non racconto, al non narrare con l’intento di aiutare, con la propria esperienza, l’altro che subisce, ma piuttosto un metodo macabro di fare audience sul dolore degli altri. Oggi la morte viene data in pasto al pubblico come protagonista predominante dello showbiz, accompagnandola da opinionisti che per ore e ore vanno a scavare nell’intimo di una tragedia, in una vita che era e che ora più non è. Un vilipendio della vita privata che viene erosa dagli occhi affamati degli spettatori che vogliono sempre di più vedere, sempre di più sapere. La bulimia dell’informazione allora trasforma, attraverso la messa in onda di continue testimonianze del vicino di casa, del parente lontano, di una mamma che piange, di un padre disperato, il dolore vero in dolore irreale. Da questo processo di spettacolarizzazione del dolore si giunge a una fase differente, causata da questo bombardamento d’informazioni del mondo digitale che ha radicalmente mutato il modo di affrontare il dolore giungendo al processo di anestetizzazione al dolore altrui. Si è ormai perso completamente quel processo di assorbimento di dolore altrui e d’immedesimazione, che viene definito empatia. Ci si abitua così tanto a certe immagini che diventano sempre di più non un click, ma uno scorrimento di due secondi, una registrazione mnemonica breve che si va a perdere in un abisso di umanità sempre più abituata al dolore che culmina nello svuotamento di significato dello stesso, per lasciare spazio al delirio narcisistico d’individualità e di edonismo.

Tutti questi processi e dinamiche caratterizzano la web society, con tutta una serie di processi già conosciuti traslati nel telematico e processi del tutto nuovi. Il campo in cui ci muoviamo non è un campo statico in cui è facile esaminare e analizzare le fenomeniche sociali ma siamo davanti a qualcosa che muta ed evolve in maniera repentina.

I social network: quali pericoli?

Alla luce di quanto premesso e avendo compreso il campo di riferimento possiamo affermare quanto i social network non siano stanze digitali adatte ai minori. È pur vero che molti social vietano l’iscrizione dei minori ma, di fatto, non controllano se il soggetto che si iscrive sulla piattaforma stia dicendo il vero o no. A fronte del principio della cosiddetta presunzione concernente l’incapacità di agire, la persona acquisisce la capacità di intendere e di volere in maniera graduale, capacità che è presupposto sia del consenso legittimo dato con coscienza e volontà, sia dell’atto di autodeterminarsi che, per legge e sulla base del diritto positivo difettano nel minore. Pertanto, quest’ultimo non sarà in grado di comprendere pienamente il significato delle azioni poste in essere, giacché non ha raggiunto la maturità intellettuale. Questo vale sia sul discorso dei profili creati dal minore stesso e sia dei contenuti digitali, raffiguranti il minore, postati dai genitori ivi i quali, nonostante titolari della potestà genitoriale, disponendo del diritto di decisione sul proprio figlio, verrebbero meno alla tutela dell’interesse del minore.

Se è vero che i minori sono i soggetti più a rischio, non è assolutamente vero che siano esenti gli adulti dai pericoli. I social networks sono delle stanze, pertanto riproduzioni digitali di società e ne assumono tutte le caratteristiche, con i pericoli tipici della società offline e sperimentano e ne edificano altri diversi.

Tik Tok

Tik Tok è uno degli ultimi che è comparso online e che ha avuto un particolare successo, soprattutto fra i giovani (tra cui molti bambini). Tik Tok viene lanciato per la prima volta nel 2014 sul mercato cinese con il nome di “Musical.ly”, successivamente i due ideatori decidono di puntare su un target diverso e più specifico, ossia gli adolescenti. Musical.ly viene acquistato dall’azienda cinese ByteDance che decide di unire due piattaforme Tik Tok e, appunto, Musical.ly mantenendo il nome di Tik Tok. Attraverso l’App, gli utenti possono creare brevi clip musicali di durata variabile a cui possono aggiungere filtri ed effetti particolari.

Vi è un’età minima per iscriversi alla piattaforma, in questo caso tredici anni, ma non vi è controllo sulle dichiarazioni di falso da parte degli utenti. Tik Tok, poi, consente una privacy sul profilo su chi può o non può visionare i contenuti, ossia un profilo privato e un profilo pubblico. Nel primo caso potranno vedere i contenuti solo coloro ai quali l’utente concederà il permesso di entrare all’interno della propria rete di followers. Nel secondo caso i contenuti sono disponibili a qualsiasi utente. Questo è un primo filtro che possiamo annoverare all’interno della politica di privacy, condizione necessaria per limitare l’accesso ai contenuti ma non sufficiente.

Diverse anomalie sono state riscontrate in merito alla privacy del social, la prima riguarda il trasferimento dei dati sensibili degli utenti sui server cinesi, confermata da una class action avviata nello Stato della California, per merito di una studentessa che afferma (con certezza) di aver utilizzato l’app solo per visualizzare dei contenuti video, senza creare e caricare altri contenuti. In seguito, scopre di un account a suo nome, da lei non richiesto per il caricamento di contenuti propri, usando come password il numero di cellulare, i suoi dati biometrici reperiti probabilmente tramite l’analisi di video mai condivisi sulla piattaforma e conclude che tali manipolazioni siano state rese possibili attraverso l’invio dei dati verso i server cinesi.

La seconda anomalia, quella che può risultare più preoccupante, è lo scellerato uso del social da parte dei minori che esibiscono la loro immagine, privi di qualsiasi protezione. I contenuti variano, ci si muove in un continuum che va da semplici video in cui si parla, a video in cui si balla, utilizzando sguardi languidi, movenze sessuali, al nudo soft core. Questi contenuti, molto spesso, oltre ad essere visualizzati da potenziali pedofili (soggetti con disturbo parafilico di pedofila) spesso sono prelevati e inseriti su canali di fruizione di materiale pedopornografico, a volte inseriti su altri social all’insaputa dell’utente, a volte (soprattutto) inseriti nel circuito dell’internet nascosto: deep web e darknet. Senza dimenticare che esistono delle stanze segrete, edificate in altro social network, (provenienza russa) Telegram che a differenza del social network cinese, ha una protezione molto elevata che funziona sia nell’uso positivo dello strumento, sia nell’uso negativo. Telegram è il più grande network italiano di revenge porn. Tempo fa, la rivista digitale Wired.it si era addentrata all’interno di una delle più grandi chat esistenti su telegram che raggruppava più di quaranta mila iscritti in soli due mesi, con uno scambio di messaggistica che si aggirava sui trenta mila messaggi al giorno. Un’enorme chat, accessibile a tutti, contenente foto e video di atti erotici e sessuali pubblicati senza il consenso o la consapevolezza delle vittime, utilizzate per inscenare il rito dello stupro virtuale di gruppo. I riferimenti ai bambini erano molti, gli utenti ricercavano contenuti di minori, qualcuno inseriva perfino la foto della propria figlia tredicenne per darla in pasto agli avvoltoi con possibilità di ricevere altre foto in privato. Gli utenti, contrariamente, a come si possa pensare non erano tutti solo dei cinquantenni ma erano presenti molti adolescenti. Quando il canale viene chiuso dal social, il gruppo è pronto a crearne un altro, sfuggendo così al controllo della piattaforma. Chiuso un canale si riparte da zero. E la storia si ripete. (1) La pedopornografia e in via precipua il disturbo parafilico di pedofilia non è un disturbo tipico dell’età adulta, ma insorge anche nell’adolescenza a causa della maturazione sessuale precoce dei ragazzi, imputabile al bombardamento di informazioni al quale sono sottoposti. La causa dovrebbe essere ricercata nella mancanza di modelli sani (citerei or dunque la teoria del modelling di Bandura). Gli adulti propongono modelli che non sono più modelli di riferimento sani, che si vanno a diffondere in una società che presenta molta anedonia nei sentimenti e molte patologie sociali. Esistono molti tredicenni pedofili. Spesso sono state vittime di abusi sessuali in tenera età e con gli abusi e l’attrazione di tipo pedofila ripropongono in essere il trauma subito. Creando, a quel punto, dei modelli per i coetanei.

Ritornando sul discorso di Tik Tok, si può ben comprendere come possa divenire un ritrovo di predatori sessuali e che con una semplice iscrizione alla piattaforma abbiano a disposizioni contenuti completamente gratuiti.

Esiste, però, una sorta di revisione manuale e umana che impiega Tik Tok. Una serie di assistenti (sparsi in ogni parte del mondo) lavora per aziende che hanno una commessa con l’azienda cinese. In sostanza l’assistente passa in rassegna, per diverse ore al giorno, i contenuti Tik Tok al fine di valutare se possano essere postati o no. Al lavoratore viene fornito un vademecum di politiche dell’azienda sulla validità del contenuto o meno. I problemi di fondo sono due: la discrezionalità affidata all’assistente (che differisce da persona a persona, essendo una valutazione molto soggettiva) e l’ingente quantitativo di flusso di dati che difficilmente finirà sotto rassegna dell’individuo umano. 

Il risvolto psicologico

Il substrato psicologico di partenza non è molto diverso dall’archetipo di altri social, giacché gli utenti sono spinti a una sorta di competizione tra chi risulta migliore degli altri, a tendere alla perfezione socialmente costruita. I profili che hanno la massima popolarità presentano modelli di personalità piuttosto superficiali, confinando l’imperfezione ai margini. Si evince dai tanti commenti rivolti a utenti (soprattutto preadolescenti) contenenti offese sull’aspetto fisico, atteggiamenti veri e propri di cyberbullismo. Non sono pochi i casi di suicidio come conseguenza al sistematico odio digitale proveniente dagli haters.

Controversie

Diverse sono state le controversie legata all’Applicazione installata sugli smartphone:

Gruppo di Hacker-attivisti Anonymous: il 2 luglio 2020 il gruppo di attivisti ha denunciato, su twitter, la pericolosità dell’app tacciandola come un vero e proprio malware controllato dal governo cinese, il quale impiegherebbe il social come uno strumento di spionaggio di massa.

«Cancellate TikTok in questo stesso momento e se conoscete qualcuno che lo usa, spiegategli che non è nient’altro che un malware nelle mani del governo cinese, intento in una colossale operazione di sorveglianza di massa.».

Europa: L’Unione Europea ha istituito una task force per accertare i rischi derivanti dal social cinese, in modo che si raccolgano informazioni in merito a come vengano usati i dati caricati e come vengano gestiti.

India: In aprile 2019 l’Alta Corte di Madras aveva chiesto al governo indiano di vietare l’App, asserendo che favorisse la pornografia e che i bambini dediti all’utilizzo dell’App fossero un target vittimologico dei predatori sessuali. L’azienda cinese dal canto suo si è difesa apponendo la loro completa idoneità a rispettare le leggi locali ma il tribunale si è rifiutato di rivedere l’ordine di divieto e il 17 aprile 2019 Tik Tok viene rimosso da Google Play sia da App store. Il 25 aprile 2019, il divieto viene revocato a seguito di un appello dello sviluppatore dell’App. Sembra strano come la Corte abbia facilmente cambiato idea, nel decorso di alcuni giorni. L’anno successivo, precisamente il 29 giugno 2020, il Ministero dell’elettronica e della tecnologia dell’informazione vieta Tik Tok e altre cinquantotto app cinesi a tempo indeterminato anteponendo la protezione dei dati e la privacy del popolo indiano, sostenendo che tale tecnologia rubasse i dati degli utenti e li trasmettesse privi di autorizzazione su server fuori dall’India. Bytedance, a seguito di questo divieto, registra una perdita di oltre sei miliardi di dollari.

Stati Uniti: il 7 luglio 2020 il Segretario di Stato Mike Pompeo dichiarava che il governo stava valutando la possibilità di vietare TikTok. Gli esperti asserivano che il divieto proposto da Donald Trump su Tik Tok minacciava la libertà di parola e costituiva un precedente pericoloso, inoltre attuando le diverse verifiche erano riusciti a stabilire che la quantità di dati raccolti era perfino inferiore a quella raccolta da Facebook (social americano). Il 14 agosto 2020, Donald Trump ha emesso un ordine esecutivo contro la ByteDance che concedeva novanta giorni di tempo per vendere o scorporare la sua attività negli USA, giustificando quest’azione con la dichiarazione di avere prove credibili che la ByteDance minacciasse la sicurezza nazionale.

Instagram

Instagram è un social network prevalentemente basato sulla condivisione di foto. Viene sviluppato nel 2010 e nel 2012 viene acquisito dalla Facebook Inc. per un miliardo di dollari. Anche su Instagram il limite di età per creare un profilo è di tredici anni (in alcuni paesi il limite è più elevato) ma anche in questo caso non vi sono dei controlli reali sulla dichiarazione di età. Nel tempo il social network ha sviluppato tutta una serie di altre funzioni, quali l’utilizzo degli hashtag che facilita l’efficienza dell’algoritmo (un particolare programma inserito su tutte le piattaforme social che stabilisce l’ordine in cui sono visualizzati i post).

I pericoli di Instagram

Anche Instagram nasconde molti pericoli, alcuni sono simili a quelli presenti in altri social, altri sono del tutto unici. In questa sede ci occuperemo principalmente di due pericoli che ritengo essere quelli più incisivi nel modello social Instagram: il child grooming e il narcisismo digitale.

Child grooming (adescamento del minore)

Nel 2019 il National Society for the Prevention of Cruelty to Children (NSPCC) realizzava un report in cui riconosceva il social network come quello più utilizzato per l’adescamento online dei bambini e degli adolescenti. Il report dell’ente britannico si basava principalmente sulle statistiche della polizia di Inghilterra e Galles, che avevano registrato 428 reati di questo tipo nel periodo tra aprile e settembre del 2018, un aumento del 239% rispetto al periodo analogo del 2017. È importante sottolineare che questo è solo il dato accertato, ma esiste un numero oscuro di questi crimini che non vengono segnalati alla polizia e pertanto restano nell’occulto, insieme alle vittime.

Il NSPCC definisce il child grooming come l’instaurazione di «un legame emotivo con un bambino per ottenere la sua fiducia a scopi di abuso, sfruttamento e traffico sessuale». Con l’avvento dei social networks queste tipologie di fenomeniche criminogene si sono facilitate in maniera ampia. Instagram è risultata essere la piattaforma prediletta per tali azioni, anche altri social networks non risultano esenti da tale uso, ma non al pari di Instagram. (2)

Il narcisismo digitale

Secondo una ricerca (anche in questo caso inglese) Instagram è il social network più narcisista e quello più pericoloso per la salute dei frequentatori (millenial soprattutto). L’Università di Swinburn ha realizzato uno studio nel 2016 in cui definisce due tipi di narcisisti che sono soliti utilizzare il social network in questione: i narcisisti grandiosi e quelli vulnerabili. I primi presentano tratti come esibizionismo, insensibilità, estroversione, manipolazione, superiorità, aggressività, indifferenza e ricerca di consenso; mentre la seconda tipologia implica tratti come inadeguatezza, vuoto e vergogna, rabbia reattiva, impotenza, ipervigilanza nell’insultare, timidezza. Secondo i ricercatori, i narcisisti vulnerabili pubblicherebbero foto di sé durante eventi importanti o in grado di impressionare i followers, con l’aggiunta di hashtag che indicano la richiesta di essere seguiti. La motivazione precipua sta nel fatto che questa tipologia di personalità impiega Instagram come piattaforma per cercare feedback positivi, giacché deve tentare di compensare la loro mancanza di autostima e senso di inadeguatezza, in questo modo ottengano l’accettazione del proprio sé difettato. Per un altro studio pubblicato da Computers in Human Behavior, che ha coinvolto 239 studenti, apparentemente Instagram viene preferito da certe personalità poiché propina interazioni superficiali, basate sulla condivisione di foto e video e non contenuti letterali. Inoltre, i ricercatori spiegano anche l’impiego della funzionalità dei filtri, che consentono al narcisista di modificare e manipolare le foto al fine di creare una loro immagine basata sull’apparenza e non sulla sostanza. È chiaro che non tutti gli utenti di Instagram sono affetti da questi tratti patologici, ma molti di questi tratti si inseriscono in comportamenti digitali che conducono l’utente verso l’omologazione.

Un altro studio portato a termine dalla Michigan State University (USA) e dalla Sejung University di Seul (Corea del Sud) ha delineato una tendenza stranamente contraria a ciò che si potrebbe pensare. A dare la dose di lode quotidiana gli utenti narcisisti, sarebbero altri utenti narcisisti. Infatti, mentre i non narcisisti mostrano atteggiamenti ostili verso i selfie e con una tendenza minore a volerne pubblicare, i narcisisti appaiono molto interessati a seguire utenti Instagram dotati di profili ricchi di selfie. (3)

Salute mentale

Per la United Kingodm’s Royal Society for Pubblic Health, Instagram è il peggior social network per la salute menatale e il benessere. La piattaforma è stata associata ad alti livelli di ansia, depressione, bullismo e FOMO (Fear of missing out, ossia la paura di essere tagliati fuori). La reiterata visione di contenuti di amici costantemente in vacanza o uscite con un certo tenore economico, può far sentire i giovani come se si smarrissero, incastrati in una dinamica stabile e fissa, mentre gli altri si godono la vita. Confronto e disperazione. (4)

Facebook

Il social network Facebook ha un’origine un po’ diversa rispetto agli atri social network. Certo non possiamo definirlo come il predecessore dei social, poiché ben prima del lancio commerciale della piattaforma ne esistevano altri (poi spariti a seguito del successo di Facebook). Facebook fa il debutto online a scopo commerciale il 4 febbraio 2004 e nel tempo si classifica come primo servizio di rete sociale per numeri attivi. Il sito, fondato ad Harvard negli Stati Uniti da Mark Zuckerberg, Eduardo Saverin, Andrew McCollum, Dustin Moskovitz e Chris Hughes, era originariamente progettato esclusivamente per gli studenti dell’Università di Harvard. Per iscriversi su Facebook è necessario che l’utente abbia compiuto tredici anni, questo limite si è abbassato nel corso del tempo. Inizialmente il limite era fissato a sedici anni. Chiaramente, anche in questo caso, il numero ingente di profili presenti non permette di controllare se tutti dichiarano il vero.

A differenza dei social di cui abbiamo disquisito in precedenza, Facebook offre la possibilità di pubblicare e condividere ogni tipo di contenuto, da foto a video, ma è opportuno concentrarci sul fatto che ci sia un numero elevato di interazioni di contenuti letterali. Notizie e comunicati. Difatti molti canali istituzionali lo utilizzano per diffondere in maniera più celere atti e ordinanze emanate. Ad esempio, quasi tutte le pagine istituzionali di Comuni e Regioni pubblicano le ordinanze su Facebook. Questo perché Facebook ricopre un vasto target di persone, tra cui la presenza di molti adulti che in linea del tutto teorica non utilizza molto gli altri social. Ergo i pericoli del social non sono molto diversi da quelli già delineati per i precedenti social, ma in questo caso abbiamo un target differente, meno avvezzo all’uso della tecnologia. Se volessimo avere una classificazione molto sintetica di profili con possibili risvolti rischiosi, potremmo definire tre categorie: profili fake (quelli che utilizzano identità altra con i dati e foto rubati da altri profili reali), i profili ricatto (che mirano a utenti che mostrano particolari debolezze e poi ottenuta la fiducia ricattano il soggetto), i profili pedopornografici (presenti anche su Facebook). 

A parte queste modalità ben conosciute, ci concentriamo sul social, essendo soprattutto un canale per diffondere informazioni e notizie, molto utilizzato per la comunicazione in merito alla pandemia da Covid-19 (che utilizzeremo come esempio palese), analizziamo la questione delle Fake News (bufale), senza dimenticare gli haters (gli odiatori digitali), pagine che inneggiano alla discriminazione di genere, razziale, religiosa; gruppi di revenge porn e molto molto altro. 

Fake News

Quando parliamo di fake news, parliamo della cosiddetta dinamica della disinformazione, quell’attività volta alla redazione di articoli contenenti elementi inventati, distorti o ingannevoli.   Una fenomenica molto diffusa soprattutto durante i periodi di crisi come quello attuale legate all’emergenza da Covid-19, in cui le notizie subiscono già un processo di manipolazione a causa dalla scarsa e lineare informazione proveniente dalle autorità competente. Essendo il virus, un agente patogeno del tutto nuovo e vista la difficoltà nel capire le sue mutazioni e le varie terapie da somministrare, si è creata una certa confusione anche da parte degli esperti. Sulle piattaforme online, considerando la velocità con cui si veicolano le notizie e il quantitativo di informazioni che inonda la rete, riconoscere una fake news diventa veramente difficile. Oltre agli articoli scritti bisogna includere lo scenario dei deep fake ossia video manipolati con appositi programmi o creati da zero tramite intelligenza artificiale, con cui è possibile sostituire o costruire il volto di un personaggio pubblico.

 La stessa piattaforma Facebook nell’ultimo Community Standars Enforcement Report del 2020 segnala delle cifre importanti:

  • 2 miliardi di profili falsi
  • 9,6 milioni messaggi di odio
  • 25,5 milioni di contenuti violenti
  • 6,3 milioni di pagine che incitano al razzismo e alla discriminazione.
  • 500 articoli controllati dai fact checker
  • 50 milioni di contenuti inattendibili sull’emergenza COVID-19 (questo dato, peraltro, si riferisce solo ai mesi di febbraio e marzo). (5)

Perché Facebook come principale social di diffusione di Fake news.

La platea degli utenti di Facebook è un target molto più misto rispetto ai social più orientati ad adolescenti e millenial. Su Facebook è più facile attirare utenti che condividano determinate notizie, questi vengono identificati come colpevoli inconsapevoli. Dall’altro lato troviamo i veri e propri creatori di bufale che di solito lo fanno per due motivazioni:

  • Esistono dei profili che cercano di manipolare l’opinione pubblica tramite la disinformazione
  • Guadagno economico: attraverso la pubblicazione di bufale, il creatore guadagna grazie al clickbaiting (a ogni click viene corrisposta una cifra da parte della presenza dei banner pubblicitari) o truffe più articolate come i siti di (6)

Gli strumenti di Facebook contro la disinformazione

Oltre alla presenza dei fact checker ossia coloro che si occupano di controllare l’attendibilità delle notizie e di post su Facebook, la piattaforma ha introdotto altri sistemi per assicurare un’informazione più sana. Gli ingegneri di Facebook tentano di implementare gli algoritmi di intelligenza artificiale per scovare fake news e profili bot. Inoltre, le notizie potenzialmente false vengono pubblicate più in basso nella pagina dei feed, rispetto a quelle considerate attendibili. (7)

Vademecum: Come riconoscere le fake news               

  • Titoli: il titolo è l’elemento che più attrae, anche perchè l’utente medio difficilmente ne legge il contenuto dell’articolo. Spesso le fake news fanno leva su titoli esagerati, scritti in maiuscolo e con uso eccessivo di punti esclamativi. In questo caso è alta la probabilità che siano fake.
  • URL: il cosiddetto indirizzo web. Molto spesso l’URL viene modificato in maniera leggera in modo da raggirare l’occhio dell’utente. Davanti a un URL molto simile a un sito esistente siamo certamente di fronte a Fake. Tra i più famosi ricordiamo “Il fatto quotidaino” al posto del “Il fatto quotidiano” per far confondere con la testata registrata.
  • Immagini: Anche le immagini impiegate sono pensate per ghermire l’attenzione del lettore. Le immagini possono essere state appositamente ritoccate o a volte possono essere autentiche, ma prese da altro contesto.
  • Formattazione ed errori: I siti che divulgano Fake News di solito sono pieni di errori di battitura o mostrano una formattazione di testo poco lineare.
  • Data: La data di pubblicazione potrebbe essere vecchia e la notizia riproposta solo con l’intento di accalappiare qualche like su social.
  • Altre fonti: se la notizia viene riportata da altre testate giornalistiche online, allora è probabile che la notizia sia vera. (8)

Queste sono condizioni utili ma non sufficienti. A volte anche le testate giornalistiche autorevoli e registrate cadono nella morsa della fake news, triplicando la veicolazione della notizia falsa.

I social networks costituiscono un panorama complesso, i cui pericoli nascosti e occultati si intrecciano in una spirale che va ad edificare un problema generalizzato. Molti pericoli sono del tutto specifici di certi social eppure si riflettono nello specchio di altre piattaforme, in maniera automatica e con effetto boomerang. Difficile inquadrarli in maniera statica, la velocità del web è troppo esponenziale per riuscire a categorizzare le fenomeniche criminogene.

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Deborah Maddalena Bottino Criminologa AICIS

 

  

 

 

 

 

 

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